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Chernobyl al largo della Calabria e il governo pensa al nucleare

Almeno tre navi piene di rifiuti tossici e radioattivi sono sul fondo del nostro mare, al largo della Calabria e della Basilicata, in corrispondenza di spiagge meravigliose, come Cetraro e Maratea. Altre, a decine, a centinaia forse, si suppone siano disperse lungo le coste italiane. I rifiuti vengono dalle centrali nucleari che tanto invidiamo, sparse al di là delle Alpi. Oppure dalle aziende del Nord, che si fregiano di essere la motrice della nostra economia.

Mi chiedo: a scapito di cosa? I fusti di rifiuti sono ancora per la maggior parte chiusi e già lungo le nostre coste ci sono picchi di patologie tumorali. Cosa succederà fra 10, 20 anni, quando l’acqua, corrodendo i fusti, farà fuoriuscire il contenuto? In un colpo solo saranno distrutte fauna e flora marina, sarà dato un colpo mortale al turismo e al commercio. Senza parlare della salute. Le radiazioni arriveranno a noi attraverso il mare, attraverso il cibo e attraverso l’aria che respiriamo. E questo perché? Per risparmiare. Per avere più energia che deve far funzionare pc, cellulari, condizionatori d’aria; che deve tenere accese le luminarie dei negozi giorno e notte e far andare avanti l’economia. Morire per campare, insomma. Ma si può? E intanto in Italia continuano a parlare di centrali termonucleari per risollevare un’economia drogata, non disintossicandola, ma iniettando nelle sue viscere altro veleno.



Un sistema economico dove l’unico valore è il consumo, dove ci si dimentica delle conseguenze della produzione sull’ambiente e sugli stili di vita. Si fa tanta fatica per finanziare la ricerca sui tumori, quando il primo passo dovrebbe essere diminuirne le cause, disintossicando l’ambiente, evitando di scaricare altra merda nell’aria, nella terra, nell’acqua. Ogni mese, nelle periferie delle grandi città italiane va a fuoco (per autocombustione?) una discarica di pneumatici. In Campania, nella famigerata terra dei fuochi, questi incendi ci sono ogni giorno. La diossina ha invaso e coperto piante, animali e uomini. Eppure, per risollevare l’economia si pensa subito al mercato automobilistico. Si finanzia la costruzione di nuove macchine. Ma nessuno pensa a come smaltire quelle che sono state costruite negli ultimi 50 anni. Dove sono? Disperse nell’ambiente. Mischiate alla terra delle nostre campagne, alle verdure, sciolte nel latte delle nostre mucche e nelle acque dei nostri mari. Le abbiamo mangiare, bevute, inalate. Ci abbiamo nuotato dentro.

Perché nessuno propone di incentivare, anziché le aziende che producono, quelle che smaltiscono i prodotti? Quelle che tolgono la roba dalle discariche, dalle campagne, quelle che liberano i tanti depositi di auto, di vecchi computer. Quelle che trattano batterie e liquidi tossici… Bisogna riconvertire il nostro ciclo produttivo, far girare all’indietro le macchine per provare a rimediare ai guai che abbiamo fatto nell’ultimo secolo: noi Occidentali, in soli cento anni, abbiamo fatto più guai di quanti siano riusciti a farne, in migliaia di anni, i Romani e i Cartaginesi, gli Unni e i Vandali, gli Ateniesi e gli Spartani, i Fenici e i Babilonesi.

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