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Caso Aldrovandi: poliziotti liberi dopo aver ucciso un ragazzo

Condanna sia, condanna resti”.

Non dimenticherò mai queste parole di Patrizia Moretti, dette fra le lacrime dopo la sentenza di primo grado che condannava i quattro poliziotti. Venni a conoscenza di quanto accaduto, la notte del 25 settembre del 2005, al diciottenne Federico Aldrovandi tramite le trasmissione “Chi l’ha visto”; con tanta dignità due genitori chiedevano aiuto ai loro concittadini: “Chi ha visto ci aiuti a capire com’è morto nostro figlio.” 

I protagonisti dei fatti sono gli agenti di polizia Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto e il cittadino Federico. Quattro contro uno. I poliziotti durante il processo dichiararono che il ragazzo era violento, una furia ingestibile e loro si difesero. Difesi a tal punto da creare decine di lesioni, ecchimosi, scroto schiacciato.

I poliziotti vennero iscritti nel registro degli indagati e le indagini vennero affidate alla polizia: controllore e controllato coincidono. Per mesi il fascicolo rimase vuoto e Patrizia fu costretta a denunciare l’inerzia delle forze dell’ordine e fu aperto un’altra inchiesta per falso, omissione e mancata trasmissione di atti. A questo punto Patrizia e Lino iniziarono a reperire prove e si resero conto che i poliziotti avevano fatto il giro delle abitazioni in via dell’Ippodromo: nessuno doveva parlare, ma fortunatamente una donna, Annie Marie Tsagueu, testimoniò quanto visto e ascoltato quella sera.

La perizia medico legale disposta dal Pubblico Ministero indicava come causa di morte l’assunzione di alcol e droghe, invece, per la perizia di parte, Federico sarebbe morto per asfissia da compressione, cioè i poliziotti salendo sul corpo del ragazzo per immobilizzarlo gli impedirono di respirare. Una perizia super partes tolse ogni dubbio: le sostanze assunte da Federico erano talmente esigue che non potevano aver causato la sua morte, tantomeno aver provocato un’alterazione psicofisica.

I poliziotti vennero condannati in primo grado a tre anni e sei mesi per eccesso colposo in omicidio colposo, ma non furono sospesi dal servizio. Dopo la sentenza iniziò un’altra battaglia: la condanna doveva diventare definitiva. Dopo anni di attesa, il 21 giugno del 2012 la Cassazione confermò la pena.

Si potrebbe pensare che finalmente il calvario di una famiglia finisce, invece questa vicenda è contornata da un’umanità da orrore. Subito dopo la condanna, su facebook, sulla pagina prima difesa (ora off line, se ne trova traccia qui, ndr), sono comparse scritte infamanti di uno degli agenti condannati: Patrizia Moretti avrebbe allevato il figlio come un cucciolo di maiale. 

Il sindacato di polizia Coisp, qualche mese fa, si presentò sotto la finestra di Patrizia Moretti per manifestare solidarietà ai poliziotti condannati. Le forze di polizia giurano fedeltà alla Costituzione e alle leggi dello Stato, dunque le pene non dovrebbero essere più severe per chi indossa la divisa e dovrebbe tutela il cittadino in base alle leggi su cui ha prestato giuramento?

Tre poliziotti sono tornati liberi perché una parte della pena rientrava nell’indulto e il sindacato di polizia Coisp ha espresso gioia per la loro libertà, ma non dovrebbero essere sospesi definitivamente dalla polizia? A cosa è servito tanto dolore? A cosa è servita la fatica di una famiglia per trovare testimonianze? A cosa è servito pagare il miglior avvocato per avere giustizia?

Un ragazzo di 18 anni non tornerà mai più a casa, i suoi assassini tornano liberi e potrebbero tornare a fare lo stesso lavoro, si può chiamare giustizia questa?

 

Foto: Wikimedia

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