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"Capitan Fantastic", in viaggio verso l’utopia

“Una mappa del mondo che non include Utopìa non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo paese al quale l'umanità approda di continuo”.

Questa frase estrapolata dal saggio “L'anima dell'uomo sotto il socialismo” di Oscar Wilde ci pone di fronte ad un interrogativo sempre attuale e cioè a quale latitudine e longitudine si trovi Utopìa.

Tommaso Moro coniando questo nome aveva del resto già chiarito tutto a partire dalle intenzioni; utopìa è come ben sappiamo l'unione di due voci greche che stanno a significare “non luogo” e pertanto si prospetta come meta desiderabile ma complicata da raggiungere.

L'uomo ha cercato più volte di trasporre nella realtà un tale sistema teorico ideale, ma questo passaggio alla pratica non sempre è riuscito a mantenere le proprie finalità, così ad esempio gli ideali più nobili si sono trasformati in ideologie che in mano a centri di potere ristretto non hanno finito che avere come unico obiettivo la propria preservazione abbandonando per sempre la rotta verso Utopìa.

Questa premessa ho ritenuto fosse necessaria per parlare di un film come “Capitan Fantastic” (uscito da pochi giorni nelle sale cinematografiche) del regista Matt Ross.

Il film racconta la storia di Ben (interpretato da Viggo Mortensen) e sua moglie Leslie Abigail i quali hanno deciso di crescere i loro sei figli nel profondo di una foresta del Nord America allontanandosi così dalla cosiddetta “società civile”.

All'inizio della narrazione vediamo i ragazzi (di età compresa tra i cinque e i diciassette anni) vivere sotto la guida del padre che provvede alla loro educazione fisica ed intellettuale.

Nel contempo veniamo anche a sapere che la madre (e moglie del protagonista) si trova ricoverata in ospedale a causa di una grave forma di disturbo bipolare post partum.

Ben, come detto cerca di crescere dei figli forti nello spirito e nel corpo insegnando loro le più svariate discipline che vanno dal procacciarsi il cibo andando a caccia, scalare pericolose pareti rocciose senza dimenticare però lo studio approfondito di tutti i classici della letteratura e del pensiero filosofico oltre che l'apprendimento delle scienze e delle più importanti lingue straniere.

Non è certamente una famiglia ordinaria quella al centro del film la quale preferisce festeggiare il compleanno di Noam Chomsky rifiutando di riconoscere festività quali il Natale.

Una famiglia particolare che non tollera alcun tipo di religione considerata “oppio dei popoli” ma al contempo vive una vita profondamente ascetica nel vero senso della parola.

I protagonisti ascoltano musica classica (in particolare Bach) e sanno suonare qualsiasi tipo di strumento musicale, vivendo la vita in modo pieno ribellandosi alla contemporanea American way of life.

Abbasso il sistema” è il loro motto, delineando così i contorni di una piccola comunità capace per davvero di autodeterminarsi.

Ma tutto questo verrà messo in discussione dalla morte della madre la quale porrà fine alla propria esistenza togliendosi la vita.

A farsi carico delle esequie della donna saranno i famigliari di lei i quali osteggiano Ben incolpandolo dell'aggravarsi degli squilibri della moglie e di conseguenza ritenendolo responsabile di quella drammatica morte.

L'uomo, ritrovato il testamento della moglie nel quale ella esprime il desiderio di essere cremata dopo la morte decide così di mettersi in viaggio con i sei figli per impedire il funerale Cristiano e la sepoltura della salma.

Quest'azione porta con sé però il grave rischio che Ben possa venire arrestato e perdere la patria potestà dei ragazzi come minacciato dal suocero (ricco e potente uomo d'affari) il quale ha intimato al genero di non presentarsi al funerale della donna.

La pellicola diventa così un road movie familiare dove a scorrere lungo i finestrini del pulmino utilizzato da Ben e famiglia, è il ritratto dell'intero mondo occidentale contrastato dai protagonisti fatto di centri commerciali, fast food e dove ogni individuo ha perso la propria singolarità in cambio di una spietata omologazione che svuota i corpi e le anime.

Naturalmente sarà un viaggio complicato, affrontato da ragazzi che se sentono nominare Nike pensano alla divinità greca della vittoria e non ad un paio di scarpe da ginnastica, i quali si dovranno confrontare con la la loro unicità resa plasticamente dagli incontri con i coetanei così diversi e lontani.

La cifra picaresca della storia dona maggior ritmo alla pellicola senza però mai togliere l'intimismo della riflessione amara sul nostro quotidiano.

La crisi giunta con la morte della madre ed il viaggio sopra descritto porteranno le proprie conseguenze all'interno del nucleo minando le certezze della famiglia ed alcune cose finiranno col modificarsi e cambiare ma senza però offrire segno di resa incondizionata.

Matt Ross scrive e dirige un film “singolare” capace di sottoporci a quesiti che non andrebbero ignorati.

Per le riprese egli si avvale, nella parte iniziale del film, di campi lunghi e lunghissimi che esaltano la bellezza della natura incontaminata delle grandi foreste americane mentre nella seconda parte i primi piani delle persone connotano il prototipo di americano medio.

“Capitan Fantastic” non è comunque un film politico in senso stretto, gli echi di un “altro mondo possibile” portati avanti dal movimento no global di inizio millennio sono ormai lontani e hanno finito con l'affievolirsi poco a poco e l'idea di un mondo nuovo è stata spazzata via paradossalmente dalla crisi economica del 2008 che invece di portare sensibili modifiche a quel sistema che l'ha generata ha invece favorito la conservazione di uno status quo nel quale le disparità sociali sono aumentate in modo impietoso.

L'intento del regista americano non è però in alcun modo quello di fare un film rivoluzionario o marxista e sarebbe totalmente fuori strada una simile lettura.

Ross crea un gruppo di personaggi che osservati con scarsa attenzione potrebbero sembrare una grande parata in maschera ma che visti da vicino delineano bene i contorni della narrazione che pone al proprio centro il tema dell'educazione dei figli e del ruolo della famiglia in tutto questo.

E questo ci è chiaro quando assistiamo alla scena in cui il figlio di otto anni di Ben non solo recita a memoria la “Dichiarazione dei diritti”(Bill of Rights) del 1689 ma riesce ad argomentarla e spiegarla a ragazzini più grandi i quali a malapena riescono a dare una definizione di cosa sia quel documento.

In un mondo che pare aver smarrito se stesso Ross vuole ricordarci che sono le azioni a definirci e le nostre azioni finiscono per essere vuote e prive di senso se esse non hanno alla base la conoscenza di ciò che ci spinge ad agire.

La famiglia in tutto questo si trova certamente al centro del percorso educativo dei propri figli ancor prima del sistema scolastico.

Aprire uno squarcio ed un dibattito sull'importanza di buoni sistemi educativi diventa la reale missione di “Capitan Fantastic” affrontata con i toni efficaci della commedia amara.

Alla fine del film non ci viene rivelato se Utopìa si trova davvero su qualche cartina geografica ma quello che certamente ci risulta chiaro è che il viaggio verso essa può avvenire solo attraverso l'amore della conoscenza capace di donarci la libertà utile per affrontare il nostro cammino.

 

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