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Cantieri a Beirut. Quando la manodopera siriana serve

Beirut. Cantiere edile (Foto di Sara Manisera)

(di Sara Manisera, per SiriaLibano).

Quando si giunge a Beirut per la prima volta ciò che più sorprende, è la quantità di lunghe braccia metalliche che sorvolano il cielo della città. Un cantiere a cielo aperto senza sosta.

Downtown, Hamra, Ashrafiyya. È qui che le grandi Real Estate innalzano torri interminabili di venticinque, trenta piani. All’interno di uno di questi cantieri, sviluppato dalla Real Estate Jamil and Saab&Co e situato nel cuore di Ashrafiyya – quartier a character traditionelle, indica un cartello – incontro Enrico, architetto italiano che vive a Beirut da un anno e mezzo.

Lui è freelance e lavora per una società italiana di Forlì la Steel Pool– uno dei venti subcontractor – che si occupa di rivestimenti in zinco per l’impresa di costruzione libanese A.R Hourie: “Chiamano noi perché non sanno fare questi lavori e perché il fatto che sia un’impresa italiana a farli, accresce il prestigio degli appartamenti. In questo paese, l’immagine è ciò che conta; sei qualcuno se hai un’auto di lusso o un attico. E lo sei ancora di più, se nello stesso complesso vive qualche personalità influente” – chiarisce Enrico.

All’interno delle due torri, parti del progetto Beirut 2030, appartamenti di 650 e 400 metri quadrati, con qualsiasi confort: piscina, palestra, reception, sale per ricevimenti, pannelli solari e stanze per i domestici. La maggior parte sono già stati venduti grazie a una rilevante operazione di marketing. Uno degli attici di 1.450 metri quadrati, con gru personale all’interno, è stato acquistato da Tony Salama famoso mecenate di opere d’arte e proprietario di Aishti, una catena di negozi di lusso.

Sfruttamento, paghe da miseria e morti sul lavoro: laltra faccia del lusso

Sono circa quattrocento gli operai che lavorano nel cantiere delle due torri ad Ashrafiyya. La maggior parte sono siriani. Numerosi sono i lavoratori che dormono nei sotterranei dell’edificio. Altri, si presentano alle sette del mattino davanti al cantiere e, a seconda della necessità del momento, vengono impiegati per la giornata. “Sono utilizzati perché non c’è nessuna tutela sindacale, né garanzia; oggi servono trecento persone per il lavoro del cemento ma domani no. L’impresa risparmia sul personale abbattendo tutti i costi”.

Mentre entriamo nella seconda torre al diciassettesimo piano, Enrico mi spiega che la maggior parte della manodopera non è qualificata: “Pochi sono i siriani che conoscono il mestiere, molti di loro erano panettieri, commercianti, parrucchieri o studenti”. Uno di loro Said Maaruf, era uno studente di ingegneria all’università di Damasco: “Ho lasciato la Siria un anno e mezzo fa, la mia famiglia è ancora lì. Speravo di poter lavorare come ingegnere ma in genere preferiscono i libanesi”.

Come i suoi connazionali, Said riceve una paga che varia tra quindici e i venti dollari per dodici, tredici ore di lavoro. Una miseria a fronte del prezzo di vendita finale degli appartamenti: “Ogni appartamento è venduto tra i due e i tre milioni di dollari ma il prezzo varia a seconda del piano. Tra un piano e un altro c’è una differenza di centocinquanta dollari. Ovviamente il più costoso è l’attico al trentaduesimo piano”, spiega l’architetto italiano.

Aggrappati ai ponteggi, privi di protezione e sospesi nel vuoto, i lavoratori rischiano continuamente la loro vita. A metà gennaio, un operaio è morto schiacciato da un blocco di cemento sganciatosi da una gru. L’uomo è stato portato via su di un camioncino e il cantiere è stato chiuso per due giorni. “Un caso eccezionale – spiega Enrico – perché l’uomo era libanese e lavorava da tempo con la società ma di solito questo non avviene, soprattutto se si tratta di siriani”. L’impresa di costruzione A.R. Hourie ha un’assicurazione ma copre solo una parte degli infortuni; la famiglia dell’operaio morto lo scorso gennaio è stata risarcita con poco più di 15.000 dollari ma per la maggior parte degli operai non è prevista alcuna tutela sanitaria o infortunistica.

Dopo la morte dell’operaio, i lavoratori sono stati obbligati a indossare un casco di protezione ma i controlli sono assenti, o quasi. Ogni mattina, la polizia passa dal cantiere per effettuare i controlli, ma il capo cantiere, il più delle volte “paga un mazzetta”, afferma l’architetto italiano. Assenza di controlli ma anche di attrezzatura adeguata. Lavorano spesso in ciabatte, a mani nude e senza gli adeguati indumenti protettivi. “Come puoi vedere saldano il ferro senza occhiali, utilizzano il martello pneumatico senza cuffie e camminano nel cantiere in ciabatte. Obbligano anche noi a lavorare in queste condizioni. Ma io non salgo su un ponteggio al ventesimo piano senza protezioni”, chiosa Alessio, proprietario di un’impresa bergamasca che si occupa del montaggio dei pannelli in zinco per la Steel Pool.

Secondo il sindacato libanese degli imprenditori edili, sono circa 350.000 i lavoratori siriani impiegati nel settore edilizio. Uomini necessari al mercato del lusso, pagati al di sotto del salario minimo e sprovvisti di qualsiasi diritto, tutela sanitaria o lavorativa.

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