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Canicattì: quando l’arte è poesia

Fin dall’antichità arte ha significato la capacità dell’uomo di realizzare un qualsiasi manufatto. Nel corso della storia il concetto di arte subisce varie trasformazioni. Nel periodo ellenistico si distingueva in arti comuni e liberali, dove le prime erano il prodotto dello sforzo fisico, le seconde di quello intellettuale. In ogni caso, già etimologicamente arte, in sanscrito “are”, dal latino “ars” e “artis”, corrisponde alla capacità umana di “ordinare”, “articolare”. E dunque, se per arte, in ogni sua forma, in senso ampio intendiamo ogni attività umana che riesca a togliere un frammento dell’irrealizzato pensiero cosmico che tutte le idee informi contiene per restituire ad esse una forma compiuta, inevitabilmente l’artista, sempre in senso ampio, è colui che riesce a dare un qualche ordine al caos cosmico.

In un senso invece più moderno e più comune e indicante in particolare un’attività umana più esclusiva, un’altra definizione di arte potrebbe essere che essa, sempre in ogni sua forma, è ciò che riesce a mutare uno stato di cose informi, casuali e disutili in qualcosa di bello, compiuto e utile ai fini comunicativi. L’arte, infatti, può e deve comunicare emozioni, sentimenti e idee attraverso i mezzi espressivi più idonei.

La poesia in particolare, oltre a usare il significato semantico delle parole per trasmettere un messaggio, utilizza il suono e il ritmo che le stesse parole riescono a imprimere alla frase grazie alla caratteristica dei versi. Frase che in tal modo diventa musicale, perciò molto più evocativa ed efficace di quella della scrittura in prosa, e quindi più adeguata per trasmettere emozioni e sentimenti.

Nella poesia, infatti, “l’a capo” obbedisce solo a esigenze ritmiche, mentre nella prosa serve a indicare una separazione concettuale. La poesia è nata prima della scrittura, in forma orale e così tramandata principalmente per trasmettere emozioni, poi accompagnata dalla lira per meglio emozionare. Perciò la poesia non ha necessariamente un significato compiuto, dove esso comunque è solo una parte della comunicazione; la rimanente è emotiva piuttosto che verbale, e quindi la sintassi e l’ortografia possono anche non essere rispettate rigidamente, se ciò, chiamata “licenza poetica”, è funzionale all’efficacia del messaggio complessivo.

Anche nelle arti figurative in un certo senso esistono le “licenze”, arte che più si avvicina alla poesia come modello comunicativo. Il termine “avanguardia” (dal francese avant-garde, cioè, “prima della guardia”, che è la parte dell’esercito che procede avanzato rispetto al grosso della truppe), nel 1830 indicava il ruolo degli intellettuali, per lo più di sinistra, di ispiratori delle lotte politiche del liberalismo. Verso la fine del XIX secolo si usò per indicare i movimenti letterari e artistici, spesso in polemica tra di loro, che intendevano essere più “avanti” rispetto ai contemporanei, ritenendo moderno rompere con la tradizione e biasimare gli imitatori dei classici. Un elemento per inquadrare i movimenti di avanguardia è il nesso attuato dai vari gruppi tra oggettività e soggettività, enfatizzandone l’uno o l’altro aspetto a seconda del gruppo; inoltre si distinguevano per il loro attivismo esasperato, il gioioso senso dell’avventura e il piacere dell’opposizione e dell’antagonismo.

Gli impressionisti e gli espressionisti, tendenze dell’avanguardia (come pure i cubisti, i futuristi, i metafisici, i surrealisti e i dadaisti), si sono contrapposti nell’intendo di rivoluzionare il linguaggio artistico in base al differente peso che rispettivamente attribuivano alla oggettività e soggettività. Per i primi era la realtà oggettiva a imprimersi nella coscienza soggettiva dell’artista; per i secondi il moto era inverso: dall'interno all'esterno, dall’anima dell’artista alla realtà, senza mediazioni, generando una sorta di ribellione dello spirito contro la materia. Quindi, gli “occhi dell'anima” diventano il principio della poetica espressionistica.

Visitando la mostra della pittrice canicattinese Rosaria Scaglione, organizzata da Valeria Guadagnino e che si è svolta nella prima decade di Marzo nei locali dell’Associazione Culturale Arci Samarcandadi Canicattì (associazione presieduta dall’Avvocato Totò Facciponti), si può notare un dipinto che rappresenta e s’intitola appunto: “L’occhio dell’anima”. Il collegamento con l’espressionismo viene spontaneo, ed espressionista è in prevalenza il genere pittorico di Rosaria Scaglione. Nelle sue opere inoltre si scorge una lenta metamorfosi dello stile, per certi versi una maturazione dell’artista e della sua arte nell’arco di tempo di circa trent’anni, da quando ragazzina di Scuola Media cominciò a cimentarsi coi colori e i pennelli, incoraggiata dal suo insegnante di Educazione Artistica, il Professore Licata, che vedeva in lei un potenziale talento artistico da coltivare.

Pur essendo un’assoluta autodidatta, i dipinti dei primi tempi si caratterizzano per la maggiore cura dei dettagli e la precisione delle sfumature, quasi come un’accademica pur non raggiungendo la perfezione delle forme obbligatorie nei percorsi universitari. Nel tempo però si è svincolata da regole e osservanze accademiche, come si suol dire in poesia, si è presa delle “licenze”, trattando la materia colorante e i pennelli con più istintività e aggressività. Ciò, come già detto, non necessariamente è una involuzione, anzi. Il risultato è una pennellata più vigorosa e vivace e delle tinte più forti, quest’ultime in qualche modo armonizzate, più o meno consapevolmente o comunque ben guidate dal personale istinto dell’artista. Tutto questo ha dato molta più poesia ai suoi soggetti, che siano paesaggi, nature morte o figure umane: tutti, egualmente, riescono a comunicare molta emozione. Soggetti dai colori vivaci, solari, mediterranei, propriamente insulari.

Visitando la mostra di Rosaria Scaglione, o andando a visionare le altre sue opere qui non esposte nel sito “Ioarte”, è come leggersi dei versi composti da una sensibile poetessa che si esprime coi colori invece che con le parole. Il risultato, il messaggio emotivo è lo stesso se non superiore, se si considera la maggiore immediatezza e la quasi universale fruizione della forma pittorica rispetto a quella letteraria.

Graziosissimi e fortemente poetici sono i soggetti dedicati al mare: i tramonti, il porticciolo di Acireale presentato come villaggio di pescatori, o l’isola di Capri con nello sfondo i famosi faraglioni; romanticissimi e nello stesso tempo burleschi quelli raffiguranti dei teneri momenti tra amanti; particolarmente caldo e poetico emerge quel paio di originali nature morte.

In definitiva, sicuramente, per gli amanti delle emozioni e quindi della poesia, è una mostra da visitare e un sito da andare a ricercare e aggiungere tra i “preferiti” quando essa si chiuderà ma si vuol continuare a godere della poesia di Rosaria Scaglione.  

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