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Cambio dieta e salvo il clima

di Veronica Meneghello

Il consumo mondiale di carne e prodotti caseari è troppo elevato e rischia di avere gravi ripercussioni sul cambiamento climatico. Ma i governi e i moderni ambientalisti, temendo una contrazione dei consumi, non fanno nulla per affrontare il problema. Questa l’attuale situazione secondo il nuovo report Livestock – Climate’s change forgotten sector, commissionato dal Chatham House (Royal Institute of International Affairs).

"Prevenire un riscaldamento globale catastrofico dipende dal controllo sul consumo di carne e latticini, ma il mondo sta facendo davvero poco".

Così Rob Bailey riassume il report di cui è il principale autore.

"Si sta facendo molto a livello di deforestazione e trasporto, ma c’è un enorme gap sul settore dell’allevamento".

Il report non ha dubbi, il consumo di carne e la produzione lattiero-casearia sono due dei principali driver del cambiamento climatico.

  • Le emissioni di gas effetto serra derivanti dalla filiera della carne e dei latticini pesano per circa il 14,5% delle emissioni globali, percentuale maggiore rispetto anche alle emissioni dirette derivanti dal settore dei trasporti;
  • Pur attuando ambiziose azioni di riduzione delle emissioni derivanti dal settore dell’allevamento, la crescente domanda mondiale di carne e latticini comporterà un continuo aumento delle emissioni stesse;

In sintesi il report annuncia la fondamentale necessità di uno spostamento della domanda di questi prodotti, senza il quale sarà impossibile mantenersi entro i 2°C. La mancanza di attenzione al tema da parte dei governi si traduce in una disincentivazione a condurre studi e ricerche nazionali e internazionali, che potrebbero invece aprire un dibattito e contribuire a trovare valide alternative o parziali soluzioni al problema. Lo stesso disinteresse impedisce di prendere in seria considerazione il cambiamento climatico nella creazioni delle food policy locali, nazionali e internazionali.

A livello internazionale le negoziazioni avviate durante la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) hanno ignorato l’argomento, fallendo anche sul fronte agricolo e concentrandosi unicamente su deforestazione e degrado di foreste. Una situazione, questa, che si riflette anche nelle politiche nazionali: dei 40 Paesi sviluppati compresi nella UNFCCC, solo Francia e Bulgaria hanno previsto un obiettivo di riduzione legato al settore dell’allevamento. Per i Paesi in via di sviluppo, invece, solo 8 dei 55 firmatari del Nationally Appropriate Mitigation Actions (NAMAs) nominano il settore dell’allevamento nelle linee guida del Paese e solo il Brasile ha stabilito specifici target di riduzione delle relative emissioni.

A livello globale ci sono casi di monitoraggio delle emissioni derivanti da queste attività (Nuova Zelanda), di supporto finanziario per miglioramenti nell’efficienza come digestori anaerobici o impianti di biogas (Cina, Usa etc) o di target di riduzione delle emissioni non vincolanti (25% entro il 2020 rispetto al 2009 negli USA); in tutti questi casi, però, le politiche adottate sono di gran lunga meno stringenti rispetto a quelle vigenti per gli altri settori.

QUESTIONE DI EMISSIONI E NON SOLO

Come evidenziato da una ricerca pubblicata negli scorsi giorni su Nature non manca l’evidenza della diretta correlazione tra produzione e consumo di carne e latticini e ricadute su ambiente, società ed economia:

  • Salute: nei Paesi a maggior consumo di carne si è riscontrato un aumento di problemi cardiaci, diabete e insorgenza di cancro.
  • Sicurezza alimentare: un quarto di tutte le coltivazioni è destinato al consumo animale, che toglie terre alla coltivazione cerealicola creando competizione tra paesi ricchi “mangiatori di carne” e paesi poveri “mangiatori di verdure e cereali”.
  • Uso del terreno: circa il 75% delle terre agricole mondiali e il 23% di quelle coltivabili sono destinate all’allevamento; questo rende i terreni inefficienti e sottoutilizzati, con una destinazione d’uso che è nettamente a favore dei pochi consumatori di carne, a discapito dei molti popoli che si cibano per di più di vegetali.
  • Sicurezza idrica: anche l’utilizzo di risorse idriche è altamente inefficiente. Un chilo di manzo, maiale e pollo richiedono rispettivamente 9, 4 e 3 volte più acqua della produzione cerealicola. C’è anche molta differenza tra allevamenti intensivi e pascoli aperti: i primi attingono da acque sotterranee, mentre i secondi si riforniscono principalmente da acqua piovana. Allontanarsi dall’allevamento intensivo comporterebbe già di per sé enormi benefici a livello di risparmio di risorse.
  • Biodiversità: nonostante la sempre più massiccia e documentata perdita di biodiversità, gli animali da allevamento sono tra gli essere più numerosi della terra, basti pensare che la popolazione avicola conta 22 miliardi di capi (più di tre volte quella umana). Alcune stime ritengono che circa il 30 percento di perdita di biodiversità mondiale sia causata dagli allevamenti intensivi, che comportano deforestazione, uso di suolo, desertificazione.

Anche l'IPCC ritiene indispensabile il cambiamento di alcune azioni quotidiane, tra cui la diminuzione del consumo di carne, per diminuire i livelli di emissioni in atmosfera.

"Questo non vuol dire che dobbiamo diventare tutti vegetariani per non superare i 2° di innalzamento delle temperature", continua Bailey.

Bisogna ridurne il consumo e accertarsi delle tipologie di produzione delle carni che acquistiamo. Gli allevamenti intensivi causano da soli il 15% delle emissioni globali, di cui il 65% derivano da allevamenti bovini e settore lattiero-caseario.

Due recenti ricerche hanno stimato che, se il sistema produttivo agroalimentare non subirà modifiche, entro il 2050 agricoltura e allevamento produrranno da soli lo stesso quantitativo di emissioni prodotte oggi da tutti i settori industriali a livello globale.

In Europa il WWF ha perfino avviato il progetto triennale LiveWeel for LIFE che si concluderà il 30 dicembre 2014. Focus centrale è il problema delle emissioni di CO2 in atmosfera dal punto di vista della catena del cibo. Il progetto vuole dimostrare come una dieta sana e a basso impatto ambientale aiuti a ridurre l’emissione di gas serra dalla filiera alimentare.

Il progetto LiveWell dimostra con dati alla mano che un’alimentazione a base di frutta e verdura, con una riduzione del consumo di carne può ridurre di circa ¼ le nostre emissioni in atmosfera - afferma Brigitte Alarcon, sustainable food policy officer del progetto. I governi dovrebbero puntare di più sull’educazione alimentare e incoraggiare abitudini alimentari salutari e ambientalmente sostenibili.

@Vera_Meneghello

Credi immagini:

Fabbrica di carne - Essere Animale/Flikr

Grafici - Veronica Meneghello/Fonte: FAOSTAT, 2011

Fabbriche di carne – Autore: Essere Animale
Fabbriche di carne – Autore: Essere Animale
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