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Caffeina /2 – Due sguardi sul dopo-Berlusconi

Ieri a Caffeina Cultura due incontri di stampo prettamente politico: il primo con Sofia Ventura e Alessandro Campi, in cui i due "finiani" hanno detto la loro sull’aspro litigio Bondi-Fini del pomeriggio ? a cui erano presenti ? e il secondo che ha visto fronteggiarsi il direttore del Tempo Mario Sechi, l’autore televisivo e firma del Foglio Massimiliano Lenzi e il giornalista di AnnoZero Corrado Formigli. In entrambi Filippo Rossi, organizzatore del Festival, ha fatto gli onori di casa inserendosi a volte nella discussione.

Caffeina /2 – Due sguardi sul dopo-Berlusconi

 
Questi, in breve, gli spunti di riflessione. Innanzitutto, il PDL di fatto non esiste più. E’ morto, manca soltanto un certificato che lo attesti. Il testamento, tuttavia, è già scritto. Dalle parole di Fini, certo, ma anche da quelle – posate, ma durissime – di Sofia Ventura. Che raccontano non soltanto le tante differenze tra berlusconiani e finiani, ma anche e soprattutto le grosse difficoltà di comporle in unità. Per la docente bolognese, infatti, il problema di fondo non è di merito, ma di metodo: alla base c’è un dissidio sulla concezione stessa della politica e sul modo di stare in politica. Un dissidio profondo, che fa in ultima analisi riferimento a una concezione opposta del potere. Da un lato, secondo Ventura, quello della politica, ossia di chi lo utilizza per realizzare concretamente i propri ideali; dall’altro l’antipolitica, ossia “lo stare coi vincenti e coi potenti, anche a costo di sacrificare le proprie idee” (“Bondi stava facendo la difesa d’ufficio di qualcosa di non più difendibile. La spiegazione di certe posizioni del PDL erano davvero poco convincenti anche per lui”). Ventura si dice possibilista (“non so se oggi abbiamo assistito alla fine del PDL oppure no“), ma sono solo parole: i concetti esprimono chiaramente un bisogno di rottura che è anche e soprattutto un bisogno di identità per una certa destra che nei modi, nei toni e nelle priorità di Berlusconi proprio non si riconosce.
 
E Alessandro Campi rincara: “Oggi si è consumata una pagina anche un po’ drammatica per gli effetti che potrebbe avere, perché si è capito che Fini potrebbe essersi stancato di un certo PDL, e che non farà più sconti né a Berlusconi né ai berlusconiani“. Difficile dire quanto durerà ancora questa situazione da “separati in casa” e – soprattutto – quali effetti elettorali avrà, ma chi era presente allo scontro Fini-Bondi si dice pronto a giurare che si arriverà a elezioni anticipate in primavera. Chissà.
 
Nel secondo incontro, invece, non si è affrontato un solo tema, ma molti. Massimiliano Lenzi mette tutti d’accordo – per rimanere su quanto appena detto – prevedendo che “presto si arriverà a due scissioni, perché né PD né PDL hanno un’identità“.
 
Filippo Rossi se la prende con un certo giornalismo di destra che “invece di stampare giornali stampa volantini”. Prima di rivelare che, secondo lui, “anche se fosse innocente Dell’Utri dovrebbe dimettersi solamente per aver definito Mangano un eroe“. E Formigli alza la voce quando si scaglia – giustamente – contro l’idea, figlia del ddl intercettazioni, che sia il governo a decidere cosa sia una notizia e cosa non lo sia.
 
Ma è il direttore del Tempo, Mario Sechi, il vero e proprio matador della serata. Para colpi a destra – è il caso di dirlo – e a manca, incassando con un sorriso i fischi del pubblico quando dice che il “Tg1 non ha perso ascolti“, che Busi e Borrelli non si sono lamentati perché paladini dell’informazione ma in quanto non andavano più in video, e che tutto sommato se “Minzolini fa un tg berlusconiano” (lo ammette) non resta che fare spallucce: “e allora?”, chiede il direttore, nello sconcerto della piazza. Ho trovato interessante tuttavia una provocazione di Sechi: quella che considera il berlusconismo (e, si badi bene, non Berlusconi) l’espressione di un elettorato di centro, di moderati bisognosi di rimpiazzare la DC e fortemente anticomunisti. In particolare, è interessante la chiusura del ragionamento: “la sinistra perde perché confonde Berlusconi con il suo elettorato“. Insomma, “fino a che non ci sarà una leadership di sinistra capace di interpretare i moderati la sinistra perderà”. Vengono in mente le due elezioni vinte da Prodi, e tutto sommato il ragionamento sembra filare.
 
Non che questo cambi gli orizzonti tutt’altro che rosei che si profilano nel cielo della politica di domani.
 

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