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Brexit, ovvero quanto è reale la globalizzazione

Ora che il popolo britannico si è pronunciato a favore del divorzio dall’Unione europea, tentiamo qualche considerazione in ordine sparso e senza pretesa di esaustività, per cercare di immaginare cosa ci attende, scusandoci sin d’ora per le banalità che leggerete di seguito.

Sulle motivazioni profonde dell’uscita: i dati mostrano che a voler l’uscita sono state soprattutto le regioni rurali e gli elettori meno giovani o più propriamente quelli anziani. Servirà leggere ed interpretare questo dato. L’uscita è frutto della reazione a condizioni economiche fortemente deteriorate da anni di crisi? Guardando la performance economica complessiva (e media) del Regno Unito negli ultimi anni, si direbbe di no. Si tratta quindi di una reazione alla crescente diseguaglianza globale, guidata dalla casta non meno globale dei banchieri (per semplificare e sloganizzare)? Può essere. I dati indicano che le zone a maggior sostegno per il Leave sono quelle di vecchia tradizione industriale, dellaworking class bianca, che evidentemente subisce ed ha subito gli effetti negativi della globalizzazione, soprattutto dal versante dell’immigrazione. Una lezione per il Labour di Jeremy Corbyn.

Su tempi e modi del divorzio dalla Ue: con l’annuncio di dimissioni del premier David Cameron, prima servirà capire che governo guiderà il Regno Unito. Sull’incertezza estrema di tempi e modi del divorzio, si è scritto sino alla nausea. L’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, da parte del successore di Cameron, potrebbe non essere immediato ma molte delle conseguenze, anche in termini di eventuali rappresaglie Ue, dipenderanno da iniziative unilaterali del nuovo governo britannico, volte a liberarsi di parti della legislazione comunitaria senza aver avviato il processo negoziale formale di separazione. Delle opzioni per regolare il commercio internazionale, i rapporti economici con la Ue ed il resto del mondo, si è detto: esiste l’elevato rischio che Londra sia costretta a pagare un pesante dazio. Chi favoleggia di un mondo asimmetrico in cui, post Brexit, l’immigrazione viene frenata e l’export britannico fiorisce, rischia di avere un risveglio molto ruvido. Se poi Londra finisse costretta a piegare il capo e seguire la strada norvegese (o anche quella svizzera), cioè di fatto obbedire e pagare, la storia (con o senza la minuscola) riuscirà anche a farsi una bella risata.

Sui mercati, quanto accade in queste ore è frutto dello shock per l’esito, che a sua volta è amplificato dal compiacimento con cui nei giorni scorsi si è scontata una vittoria delRemain, spingendo gli attivi rischiosi. Rimarchevole il fatto che gli attivi italiani sembrano avere un “beta” alto ma asimmetrico: cioè si schiantano ad ogni fase di avversione globale al rischio ma recuperano meno di quanto atteso nelle fasi di ripresa. Qualcosa su cui riflettere. Le banche centrali potranno certamente intervenire per ammortizzare lo shock, ma su incertezza ed effetto paralizzante del negoziato potranno fare poco e nulla. Ma c’è anche un altro rischio, che tutto sovrasta: la fuga verso il porto apparentemente sicuro del dollaro Usa rischia di creare una nuova stretta alle condizioni monetarie, americane e globali. Considerando lo stock di debito in dollari contratto da entità non statunitensi in giro per il mondo, i rischi di una recessione globale tornano ad innalzarsi. Se poi un eventuale apprezzamento del dollaro innescasse per reazione il deprezzamento dello yuan, eccetera eccetera. Confidiamo nel coordinamento monetario globale, non potendo avere quello fiscale. Ma ricordiamo che parliamo di un’arma depotenziata.

Comunque vada, questa vicenda servirà (forse) a far comprendere ai “popoli” due cose: che l’interconnessione globale non è un concetto astratto ma si abbatte sulle nostre esistenze quotidiane, a volte in modo distruttivo; e che, comunque vadano le cose, non saranno “i banchieri” a pagare, ma noi comuni mortali.

La democrazia ci serve, anche quando viene evocata per regolamenti di conti tra fazioni politiche locali che finiscono con l’aprire il vaso globale di Pandora, le scorciatoie servono assai meno. Ben venga quindi un minimo (o probabilmente molto oltre) di ruvida pedagogia del reale.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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