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 Home page > Tribuna Libera > Bersani e l’illetteratismo politicante

Bersani e l’illetteratismo politicante

Ormai è risaputo: lui, Bersani, è contrario a tutto; anzi, non è contrario proprio a tutto: più semplicemente, è fermamente contrario alla adozione di qualsiasi iniziativa suscettibile di tornare in qualche modo utile alla gente comune. Lui si è assunto questo onere, per cui ostacola in qualsiasi modo le istanze di quelle stesse persone alle cui spalle ha costruito la sua fortuna di politicante e che non lesina di seguitare a sfruttare pur di riuscire ad accattivarsi le simpatie degli ambienti bancari e finanziari (1). Costui non trascura di ribadire di essere “di sinistra”. Guardandosi però bene dal precisare cosa intenda con quella sua affermazione. Una cosa però è certa, ed è la sua indiscussa appartenenza all'”asinistra”(2): vale a dire, a quella inquietante pseudosinistra, sempre più manifestamente autoritaria, la quale è ignominiosamente prostrata ai piedi dell'aberrante neoliberismo divenuto il cavallo di battaglia degli ambienti finanziari (3).

Questa sua umiliante deriva, culturale ancor prima che politica, è di agevole acquisizione da parte di coloro che sappiano esercitare ancora un minimo di senso critico nell'orwelliano marasma idiomatico scientemente indotto dai sudditi finanziari dell'odierna “asinistra”. Naturalmente, tali considerazioni suonano cofotiche alle orecchie di coloro i quali, da anoetici tifosi, seguitino, nonostante le drammatiche evidenze, a confondere l'originaria sinistra con un coacervo politicante autovilipesosi ai piedi del depravato potere finanziario (4).

Sulla base di queste considerazioni, si evince facilmente perché Bersani sia accanitamente contrario all'abolizione dell'IMU sulla prima casa. Lui non farebbe mai un simile torto ai suoi amici della finanza! Perché, stando alla sua alquanto singolare logica, ciò contraddirebbe il criterio di progressività fiscale sancito dall'art. 53 della Costituzione, cancellando così la differenza tra i ricchi e i poveri. Proprio così: Bersani e il PD parlano della Costituzione! Cioè di quella stessa Carta che loro mortificano sistematicamente con l'adozione di provvedimenti legislativi volti a stravolgerne la fisionomia!

Questa sua uscita fuori luogo, solleva un inevitabile quesito: Bersani ha letto, e ancor più, ha capito, quanto disposto da quella norma costituzionale? A quanto pare, no. Diversamente, non sarebbe incorso nella dozzinale confusione tra il reddito e il patrimonio, peculiare degli illetterati (5), i quali, appunto, leggono senza tuttavia capire quel che stiano leggendo. A scanso di equivoci, vale la pena riportare il dettato dell'art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Come superlativamente dimostra, Bersani non sa cosa si intenda per “capacità contributiva”. Se così non fosse, si sarebbe anche reso conto dell'altra assurdità relativa alla imposizione di soglie relative al pagamento con il denaro contante: vale a dire a una inalienabile libertà personale del cittadino, e non del suddito, il quale ha il sacrosanto diritto di poter disporre liberamente dei soldi legalmente guadagnati (6). Se lo Stato, o meglio, la sua parodia, non si dimostra capace di attuare una adeguata politica fiscale, questo non lo autorizza a vessare le persone oneste equiparandole ai tantissimi politicanti, funzionari pubblici, banchieri e industriali, i quali sono i veri responsabili della evasione fiscale, come le cronache quotidiane dimostrano ormai sempre più inconfutabilmente.

La sinistra autentica, quindi quella storica e non l'ibrido oligarchico che abbacina i seguaci del PD, non avrebbe mai neppure ipotizzato l'adozione di un così dissennato provvedimento. Quella, non avrebbe mai criminalizzato il cittadino, ma avrebbe intrapreso una severa lotta all'evasione di coloro che si riparino dietro lo scudo istituzionale. Evidentemente, nella sua sempre più degenerata ottica orwelliana della società, Bersani trascura che in democrazia, in quella autentica di democrazia, competa al “demos” tracciare, tanto per riportare una terminologia a lui cara, il “kràtos”(7). Quando ricorre il contrario, come si evince dalla fattispecie, non si parla più di democrazia, ma, nella migliore delle ipotesi, di oligarchia (8).

Tornando alla “capacità contributiva”, solo un illetterato, o chi agisca in malafede, confonde il patrimonio con il reddito. Diversamente, saprebbe che il patrimonio, in quanto tale, non produca reddito. Un esempio è utile per dipanare meglio l'equivoco. Prendiamo il caso del proprietario di alcune abitazioni sfitte. Esse, naturalmente, non producono reddito; anzi, comportano il versamento di alcuni oneri fiscali, tra i quali rientra l'IMU. Questo, fino a quando esse non vengano affittate. In questo modo diventa agevole capire come il patrimonio in sé non produca reddito. Neppure qualora si trattasse di una lussuosa villa. Perché, se essa risultasse come prima casa, non produrrebbe comunque reddito.

Qualcuno, formatosi magari alla scuola neoliberista di Bersani, potrebbe obiettare: ma allora scompare ogni distinzione tra una villa e una casa popolare? Ebbene, si. Non c'è alcuna differenza tra esse. Sebbene ciò possa sembrare paradossale. Non c'è nessuna differenza, per il semplice motivo che la stessa debba essere ricercata a monte: essa va infatti ricondotta al concetto di “capacità contributiva”, il quale consenta all'abbiente l'acquisto della villa. In tal caso, se il patrimonio non concorda con la “capacità contributiva” della persona, vuol dire che i conti non tornino. Vuol dire che puzzi di imbroglio. E a quel punto bisogna perseguire l'imbroglio ravvisabile a monte di quella situazione. A quel punto, compete al proprietario dell'immobile dimostrare come con il suo esiguo reddito abbia potuto acquistare una villa. Un altro esempio, varrà come ulteriore riprova. Consideriamo il caso di chi erediti un immobile di lusso, disponendo però di un reddito tale da non farlo altrimenti procedere a tale acquisto. Stando alla suggestiva logica di Bersani, l'erede dovrebbe esser ritenuto presunto ricco, pur essendo il suo reddito quello di un operaio o di un impiegato. Qualora costui dovesse subire una tassazione proporzionata al bene ereditato, sarebbe costretto ad alienarlo per oggettiva inadeguatezza economica. Tale situazione, oltre che ingiusta, sarebbe illogica, poiché esulerebbe dalla premessa, applicando la tassazione sul patrimonio piuttosto che sul reddito.

La vera questione, che evidentemente sfugge a Bersani e ai suoi proseliti, è che bisognerebbe ridurre veramente le tasse, segnatamente alle aliquote più basse, e alzarle per quelle più alte. Purtroppo, però, non possono farlo per non danneggiare loro stessi e i loro amici della finanza (9). Questo suggerirebbe di fare il buon senso per non offendere l'intelligenza degli italiani, la quale viene invece pesantemente oltraggiata dalla pretesa di questi signori di criminalizzare come di prammatica il cittadino negandogli la possibilità di poter liberamente disporre dei propri risparmi ponendo assurdi vincoli e sottoponendolo a inauditi controlli inerenti la sua sfera privata. Questa orwelliana rappresentazione della democrazia, viene attuata da individui mimetizzatisi all'ombra di una pseudodestra e di una pseudosinistra, entrambe annichilite ai piedi del sempre più malvagio potere finanziario. Chiunque non la pensi come loro, viene naturalmente bollato come...populista! (10)

Foto: BEE FREE - PGrandicelli [the social bee]/Flickr

 

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