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Berlusconi/Gheddafi: c’eravamo tanto amati...

Un dittatore è un dittatore. E tale rimane. Anche se durante la sua azione dittatoriale, può in alcuni casi far sembrare di fare addirittura qualcosa per i cittadini che tiene sotto smacco. La dittatura è quasi uguale in ogni nazione in cui opera. Abbiamo da un lato una cittadinanza prostrata “grazie” al rigoroso impegno nel mettere in atto ogni azione violenta o meno al solo scopo di assoggettare completamente ogni singolo cittadino. Dall’altra, un usurpatore che detiene un potere assoluto. Anche e soprattutto, di vita o di morte. Ha dalla sua, nel bene e nel male, il supporto degli eserciti e di ogni componente le istituzioni, perché il dittatore diviene "LE" istituzioni. La dittatura, essendo l’antitesi massima della Democrazia, non prevede personaggi ma "IL" personaggio. Punto.

In queste ore, cadono - o si tenta di far cadere - regimi prima consolidati al punto da non riuscire più a discernere i limiti e le conseguenze dello stesso Regime. Le popolazioni, spinte al massimo sacrifico, prima o poi si sa, si spingono oltre il terrore, perché di terrore quotidiano è fatta la loro esistenza. Chi non teme più nemmeno di perdere la vita, può operare il cambiamento. O almeno, ci prova. La corda tirata al massimo, non rende. Ma il potere assoluto può far uscire dalla realtà qualsiasi persona. Che tenderà a non limitare più in alcun modo, la sua azione vessatrice nei confronti di popoli che ritiene ormai disconnessi al punto da non ribellarsi di fronte a nulla.

E’ questo invece, e per fortuna in qualche modo, il granello nell’ingranaggio aberrante di chi detiene un potere assoluto. Drogati di assolutezza, ci si discosta dal reale, si spinge al massimo sul pedale della follia e non si pensa che il meccanismo potrà, ad un certo punto, incrinarsi fino a spaccarsi in mille pezzi.

Non citerò qui gli accadimenti che accomunano l’Egitto alla Tunisia, all’Algeria, alla Libia al Bahrein. Le cronache sono zeppe di informazioni sempre aggiornate. Ma vorrei approfondire un po' ciò che è stato, è e forse sarà Moammhad Gheddafi. Protagonista da oltre trenta anni di un film che fino ad oggi, appariva in qualche modo metabolizzato a livello internazionale.

Per alcuni versi, Gheddafi negli anni è apparso persino come una figura di mezzo fra il dittatore ed il “benefattore”. Colui che è riuscito a dominare un popolo di guerrafondai al proprio assoluto volere. Prima, ha tolto tutto a tutti. A cominciare dalla dignità. Poi, ogni tanto, ha asperso la folla di qualche briciolo di ritrovata dignità. Briciole, appunto. Che non potevano certo sfamare il corpo e l’anima di chi ha il terrore negli occhi da troppo tempo.

In questo mio articolo , ho spiegato un po' la storia di Gheddafi. Ed ho spiegato anche l’interconnessione fra Libia ed Italia. Oggi, quell’articolo appare comunque presagio di ciò che sta accadendo. Gheddafi non è mai stato un nostro amico né, tantomeno, un alleato. Fece pagare caro all’Italia, con la cacciata degli italiani in massa, ciò che l’Italia fece subire alla Libia ai tempi della colonizzazione. E mai bastarono scuse e risarcimenti. Peraltro, molti dimenticano che la famosa cacciata degli italiani nel 1970 – 20.000 persone – non fu solo un contro esodo, ma una rapina. Gli italiani in questione infatti, persero ogni cosa. Persino i contributi versati in anni ed anni di onorato lavoro in terra libica.

Il “riavvicinamento” del dittatore alla nostra nazione, avvenne solo perché l’Italia strinse nuovi accordi economici. E per quanto Gheddafi abbia sottoscritto gli accordi, non si può parlare certo di amicizia o simpatia nei nostri confronti. I missili sempre ben direzionati su Lampedusa, dovrebbero essere una controprova.

Il quantitativo di energia che ottenevamo dalla Libia inoltre, non giustificherebbe questi grandi accordi con un paese così ostile. Nella realtà dei fatti, dalla Libia affluiva in Italia circa un 8% del nostro fabbisogno.

Eppure nel 2008, un ennesimo “Trattato di amicizia” accorda “affari” con la Libia per 5 miliardi di dollari in infrastrutture varie, fra cui la famosa autostrada per Tripoli. O addirittura – come si legge al capo II art. 8-13: “L'Italia si impegna, inoltre, a realizzare, per un ammontare di spesa complessivo che sarà concordato tra i due Paesi, alcune «iniziative speciali» (articolo 10): la costruzione di 200 unità abitative; l'assegnazione di borse di studio universitarie e post-universitarie a un contingente di 100 studenti libici, rinnovabili più volte e che saranno oggetto di una specifica intesa; un programma di cure presso istituti italiani a favore di alcune vittime dello scoppio di mine in Libia; il ripristino del pagamento delle pensioni di guerra ai titolari libici, civili e militari, e ai loro eredi; la restituzione alla Libia di manoscritti e di reperti archeologici trasferiti in Italia in epoca coloniale”. C’è di tutto e di più.

Malgrado questi accordi, malgrado i baciamano ed i teatri osceni spacciati per rapporti internazionali, Gheddafi oggi, al picco massimo di follia dato dal sentimento che tutto ormai è in distruzione, ostenta un odio nei nostri confronti che non consente dubbi: abbiamo qualcosa da temere.

Berlusconi peraltro, si è alla fine dissociato dall’”amico” dittatore – non poteva fare altro, dal momento che il mondo intero condanna il genocidio in atto – ed il trattato di amicizia è ora stracciato in mille pezzi. Non so chi dei due sia più di cattivo umore, per questa amicizia andata a male, ma tant’è.

C’è da chiedersi cosa dobbiamo aspettarci. C’è da ragionare su quali possano essere gli effetti di questa guerra che non è certo di pace. E nel caso in cui il dittatore Gheddafi riuscisse a riprendere il controllo della situazione, in quali acque ci troveremmo? Mentre tentiamo di generare qualche risposta, nel Mediterraneo i cacciatorpedinieri sono pronti all’attacco ed alla difesa del nostro territorio. Ed i caccia bombardieri, pronti per il decollo. Non avrei mai pensato di provare l’orrore di una possibile guerra. Prima di fare “amicizia” sarebbe sempre il caso di capire bene con chi abbiamo a che fare.
 
Documento integrale del Trattato di amicizia Italia/Libia

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.36) 2 marzo 2011 19:30

    Proprietà transitiva >

    "L’Italia deve scusarsi per la sua visione coloniale. Ci pentiamo del rapporto intrattenuto con l’Italia”, afferma Gheddafi.
    Ribatte Frattini:
    "Parlare ancora con una retorica anti-italiana vuol dire cercare qualcuno contro cui puntare il dito” e, conclude, “questo è un segno di debolezza e di isolamento".

    Ad oltre vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, riferendosi alla “sinistre”, il suo Premier ripete sempre che:”Gli orfani ed i nostalgici del comunismo” sono portatori di “un retaggio ideologico che stride e fa pugni con le esigenze di una societa’ moderna e libera"
    .

    Chissà se Frattini conosce la proprietà transitiva.
    La retorica (anti-italiana o anti-comunista) è sempre retorica.
    Cercare qualcuno contro cui puntare il dito giova al Consenso Surrogato di chi è sensibile alla fascinazione mediatica …

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