• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Benedire le scuole ed esporre i crocefissi: poi lo chiamano "dialogo" (...)

Benedire le scuole ed esporre i crocefissi: poi lo chiamano "dialogo" interreligioso

Il (per tanti versi stimabile) Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha inviato al Corriere Fiorentino una lunga lettera, pubblicata non a caso la domenica di Pasqua, che riprende ed ampia il tema da lui già anticipato su Facebook.

Vale a dire la sua solidarietà ai genitori che hanno preteso la benedizione della scuola di Perignano, in provincia di Pisa, che la preside aveva negato, impedendo l’accesso all’Istituto pubblico al parroco locale.

Le ragioni del Presidente Rossi possono essere riassunte nel concetto secondo il quale “il crocefisso è un simbolo universale che unisce le fedi e non le divide” ed è - qui il Presidente cita Natalia Ginzburg - “l’immagine della rivoluzione cristiana che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini”. Non manca naturalmente anche un accenno a Papa Francesco che sarebbe capace di “pronunciare parole nuove e di rovesciare il paradigma dominante”.

Non ho alcuna idea di quale sia il paradigma dominante che sarebbe stato "rovesciato" dal Papa, ma è chiaro che in tutto ciò Enrico Rossi vede la necessità di evitare una “privatizzazione” della religione e sottolinea, al contrario, l’importanza del dialogo, per evitare di “agire in nome di un pluralismo debole che evita argomenti che dividono”, per trovare “un nuovo umanesimo” cui la Toscana potrà “dare un importante contributo, ripartendo dalla croce e dal suo significato universale”.

Fin qui il Presidente.

Che, a mio avviso, non sembra aver approfondito poi tanto il discorso cristiano né nelle sue origini né nelle sue espressioni più recenti. Le ricordo io, se mi è permesso, riprendendo le parole proprio di Papa Bergoglio, pronunciate in occasione dell’Udienza Generale dell’8 gennaio 2014. Testualmente (si può verificare sul sito del Vaticano, qui): 

“è illuminante quanto scrive l’apostolo Paolo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4).

Dunque [il battesimo] non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli”.

E' chiaro il concetto? “Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata”. Questi sono i valori universali del cristianesimo. Chi non è battezzato - ebrei, islamici, buddisti, induisti, animisti, atei eccetera eccetera eccetera - è gente che vive “in balìa del male, del peccato e della morte”.

Questa sarebbe l’idea cristiana “che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini”: noi siamo i buoni, gli altri sono quelli che vivono nel male, nel "peccato originale". Poveretti. Lo ha detto il Papa, non io.

Sono passati poco più di settanta anni quando un crimine devastante ha quasi spazzato via un intero popolo (uno di quelli che vivono “nel male e nel peccato”).

Chiediamocelo: erano forse buddisti gli sterminatori degli ebrei europei? Erano forse induisti? E il Papa, quel Pio XII di cui si favoleggiano mai dimostrati atti coraggiosi e pietà, mosse forse un dito per impedirne lo strazio? Se così fosse non sarebbe interesse primario della Chiesa aprire finalmente agli storici gli archivi vaticani relativi a quegli anni che invece restano, tuttora e inspiegabilmente (inspiegabilmente?), chiusi ad ogni seria indagine?

Ancora: è passato poco più di un secolo da quando i colonialisti hanno compiuto stragi inenarrabili in quel Congo che per tanti decenni è stato definito “belga”. Si parla di oltre dieci milioni di indigeni massacrati da uomini che, al collo, portavano una croce e che la domenica andavano alla Messa. Erano forse zoroastriani quei massacratori? O seguaci di Osiride?

Erano forse animisti i conquistadores spagnoli o portoghesi, i francesi, gli inglesi o gli olandesi che hanno costruito i loro imperi coloniali? Erano forse adoratori del Sole quegli italiani che hanno sparso gas velenosi sulle popolazioni libiche ed eritree mentre si facevano largo fra i “grandi” del mondo?

No, erano tutti accompagnati da sacerdoti salmodianti e benedicenti ed agivano sotto lo sguardo benevolente dei Papi della loro epoca, all’ombra di quel crocefisso “simbolo dell’amore universale”. Ce lo siamo dimenticato davvero, o si fa solo finta di non ricordare un po’ di storia semplicemente perché scomoda?

Quante pagine si potrebbero riempire di fatti, date, elenchi di morti e di distruzioni che l’universalismo cristiano ha disseminato nel mondo per secoli e secoli? Volumi e volumi. C’è chi l’ha fatto. E noi ci ricordiamo di quante volte i Papi hanno, anche recentemente, ritenuto di dover “chiedere scusa” a ebrei, indigeni, donne, omosessuali, "eretici".

Si ritiene davvero che tutto questo si possa accantonare, dimenticare, relegare nei libri di cui si devono occupare solo storici pedanti quanto noiosi? E che sia poi sufficiente affacciarsi ad una finestra - rigorosamente ripresi in primo piano, ogni santo giorno, dalla televisione pubblica - e declamare un “amore universale” perché ci si possa davvero credere?

Se la radice della cristianità, la sua essenza, tanto apprezzata anche a sinistra (ricordiamo il fremente entusiasmo di alcuni egualitarsi per definizione come Nicki Vendola e Fausto Bertinotti) sta nelle parole dell’apostolo Paolo - “Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna” (Galati 3,28) - perché dimenticarsi (o fare finta) che l’epistola, subito prima, diceva anche “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Galati 3,26-27).

I battezzati sono “uguali”. Se battezzati - giudei e greci, uomini e donne, liberi e schiavi - sono uguali. L’egualitarismo esiste, ma solo per chi si fa uguale. Ma ciò non riguarda chi non è battezzato. L’uguaglianza cristiana: diventate come noi oppure vivete nel male e nel peccato. Questo sarebbe il concetto di uguaglianza “universale”?

Questo sarebbe il valore “universale” di quel crocefisso e delle ritualità ad esso connesse, come la benedizione nelle scuole.

Ma, chiediamocelo senza polemica e senza infingimenti: di quale universalità, di quale “simbolo che unisce le fedi” stiamo parlando? E’, che piaccia o non piaccia, un simbolo fortemente divisorio, radicalmente di parte, profondamente esclusivista anche se, a parole, si declama universale.

Se questo è il modo di “dialogare” fra le religioni, caro Presidente Rossi, lasci perdere. Dialogo significa parlarsi, non imporre la propria ritualità a chiunque; costringendo chi non la vuole subire passivamente ad andarsene da uno spazio che, essendo pubblico è anche “suo”.

L’Unione Europea ha già rifiutato di fare proprie, ufficialmente, quelle “radici cristiane” che il papato sollecitava. Inutile cercare di farle rientrare dalle finestre di una piccola scuola pubblica della provincia pisana.

Proprio perché viviamo in tempi in cui si decapita e si è decapitati - come fino a pochi anni fa si gasava e si era gasati - è molto più opportuno che gli spazi istituzionali siano tenuti sgombri dalle pretese “universalistiche” delle religioni.

Pretese che poi, a ben guardare, di religioso hanno ben poco essendo solo, palesemente e banalmente, pretese politiche di imposizione di una cultura di parte, per quanto maggioritaria sulle istituzioni. Maggioritaria e, per ciò, definita “nostra” cultura. Nostra? Nostra di chi? Degli ebrei, dei valdesi, dei buddisti, degli atei? Forse che non esistono da sempre o quasi queste minoranze, qui, in casa "nostra"?

Lasciate stare: laicità non è un’offesa, né, tanto meno, una brutta parola. Se ne faccia una ragione e, sia gentile signor Presidente Rossi, non la squalifichi usando spregiativi coniati per l’occasione come “pluralismo debole”, “iperlaicismo”, “idea astratta di multiculturalismo” e così via.

Che le istituzioni, ed i loro ambienti, siano laici, cioè privi delle simbologie e delle ritualità di parte; ne avremo davvero da guadagnarci tutti.

 

Foto: Leonsky oh Leonsky/Flickr

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità