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Bauman, Israele ed il ghetto di Varsavia

Zygmunt Bauman ha rilasciato giorni fa un’intervista al settimanale polacco Politika in cui identifica il muro di Israele con quello del ghetto di Varsavia.

Esiste una prima differenza che - brutalmente, lo so - fa contabilità dei morti: nella città polacca sono morte centinaia di migliaia di persone, contro i 16 (sedici) morti fra i soldati tedeschi (in realtà ucraini, mi sembra di ricordare) durante la sollevazione del ghetto.

Che il conflitto fra israeliani e palestinesi abbia queste dimensioni e questi rapporti è assolutamente da escludere. Alcune statistiche parlano di circa 7500 caduti fra i palestinesi (compresa l'operazione "Piombo Fuso" su Gaza) e di circa un migliaio fra gli israeliani. Anche se mi ricordassi male, sarebbe di poco.

Ma non è la contabilità dei caduti in ballo, anche se la cosa non è irrilevante: la questione è che in Palestina-Israele c’è un conflitto drammatico, segnato a tratti da violenze inaccettabili, apparentemente irrisolvibile, ma che irrisolvibile non è per la sua caratteristica di essere un conflitto "territoriale". Finalizzato al possesso di un determinato territorio.

Questa finalità lo rende di fatto ‘terminabile’ se e quando le trattative si spoglieranno delle implicazioni ideologiche e religiose, da entrambe le parti, dagli interessi contrapposti di partiti e forze politiche interne ed 'esterne', e potrà parlare chi, pragmaticamente, deciderà fino a qui ci stai tu, da qui in là ci sto io e la smettiamo di spararci addosso. Un conflitto territoriale termina così, quando, finalmente, le due parti si rendono conto che non possono andare avanti all'infinito e si accordano su quanti metri quadrati spettano all'una e quanti all'altra.

Non mi risulta che esistesse affatto questa chance nell’impossibile dialogo con i nazisti. L’ideologia nazista si fondava, nella sua essenza, sulla definitiva sparizione assoluta, fisica, degli ebrei. Dove arrivavano le einsatzgruppen non c’erano trattative, non si poteva discutere se "un po' più in là" ci si poteva salvare. Solo in questa luce si spiega la caparbia costruzione di un sistema di annientamento che andava al di là di tutto, anche dei costi proibitivi, anche delle drammatiche esigenze belliche, anche di uno sforzo organizzativo insostenibile in quelle condizioni. No, la priorità assoluta era far sparire gli ebrei. Dissolverli nel nulla.

Non un problema territoriale quindi, ma un vero problema di delirio totale, irrisolvibile, il cui ‘termine’ coincideva sempre e solo con la morte. Con la morte dell'ebreo, sia chiaro.

So bene che, alla fine degli anni trenta, la questione ebraica si poneva come 'espulsione', come allontanamento degli ebrei dal suolo tedesco, non come sterminio. Ma la 'pulsione di annullamento' - come direbbe Fagioli - era insita nel pensiero hitleriano e nella filosofia heideggeriana che lo sorreggeva. Ed è questa pulsione, questa attività psichica, che agiva le menti naziste fino alla drammatica decisione dello Wannsee, quando il dado della soluzione finale fu tratto, nel gennaio del '42.

Esiste questa logica di sterminio nella mentalità israeliana? Lo escludo e ritengo inaccettabile che qualcuno lo possa semplicemente pensare. Il venti per cento degli israeliani è di etnia araba e la lingua araba è una delle due lingue ufficiali dello Stato insieme all'ebraico. Partiti arabi siedono nel parlamento israeliano e scuole arabe sono sovvenzionate dallo Stato. Se qualcuno paragona Israele alla Germania di Hitler, dimostri che l'ebraico o lo yiddish erano lingua ufficiale accanto al tedesco, tanto per fare un esempio banale.

Paragonare le violenze o l'arroganza israeliana (che naturalmente è innegabile) a quella nazista è ritenuto legittimo come metafora nel racconto epico della 'resistenza' palestinese che tanta parte della sinistra italiana identifica con la 'nostra' resistenza, scordandosi (è un eufemismo!) che identificare l'ebreo con il nazista, cioè la vittima con il suo carnefice, suona un po' male ad orecchie israelite.

E, in più, sbagliando completamente sui 'contenuti' del conflitto in corso; sul suo significato più profondo.

Non capire la differenza tra il conflitto israelo-palestinese e lo sterminio programmato e freddamente perseguito di sei milioni di ebrei europei non stupisce nella logica di alcuni che non hanno mai brillato in particolare acume politico, ma è davvero stupefacente (e un po' deludente) in una mente di solito così lucida come quella di Bauman.

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