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Basta indignarsi se si muore per 5 euro l’ora

Basta indignarsi se si muore per 4 o 5 euro l’ora. In Italia è così se si vuole lavorare, per un lavoratore che rifiuta di essere sottopagato e/o sfruttato, una moltitudine di italiani, e non, è pronta ad accettare quel ricatto, perché altrimenti il lavoro va all’estero, Marchionne docet. Le donne di Barletta sono morte per 3 euro e 95 centesimi l’ora, erano in nero, perfino Napolitano si è scosso, come fanno i bambini piccoli quando si spaventano, ma non mi risulta che sia andato al loro funerale. Qualcuno mi ha detto che non è prerogativa del Presidente della Repubblica andare ai funerali di chi muore sul lavoro, forse bisogna apprezzare il suo gesto quando presenzia le morti dei soldati italiani che hanno perso la vita in Afghanistan? Nel rifinanziamento delle missioni all’estero dev’esserci computato anche il costo dei funerali di Stato, con tanto di spesa per gli spostamenti delle cariche istituzionali.

In Italia la maggior parte dei giovani non sono figli di Craxi, Bossi, Di Pietro & co. i quali si sono dati alla politica con la garanzia di avere un posto di privilegio perché hanno le spalle coperte. Molti studenti, come Francesco Pinna, lavorano per pesare il meno possibile sul bilancio familiare, prendono una miseria che a malapena permette loro di pagarsi un posto letto. Questa situazione non è un’eccezione, ma è il risultato di leggi volute da chi governa. Se non si lavora a nero, esistono tipologie contrattuali, previste dalla Legge 30, dove non si scappa: la paga oraria è misera. Questo è anche il risultato di un sindacato concetrato a fare carriera personale: Bertinotti, Cofferati, Polverini noti per il salto di qualità in stipendio.

Basta di indignarsi è ora di agire. Bisognerebbe intervenire sui versanti: formazione, controllo, certezza della pena.

Lavoratori ed imprenditori devono fare corsi di formazione veri, bisogna spiegare loro l’importanza dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza. Spesso i corsi si riducono all’apposizione di una firma. Qualora i dispositivi di sicurezza fossero obsoleti è lo Stato che deve occuparsi di ricerca e finanziamento, il lavoro è la colonna portante dell’economia di un Paese non possiamo permetterci di perderli proprio sul lavoro.

La Asl è l’organo deputato a fare ispezioni nelle aziende attraverso i tecnici della prevenzione, ma ha carenza di personale, si stima che ogni impresa può avere un controllo ogni 33 anni. Se poi aggiungiamo che ogni impresa ha una durata media di 15 anni, il conto è presto fatto: gli imprenditori sanno perfettamente che la probabilità di un controllo è molto bassa, accettano il rischio di una sanzione, perché è inferiore al costo della sicurezza.

Il tasto più dolente è la giustizia, anche per gli infortuni sul lavoro si tratta di malagiustizia. Nella migliore delle ipotesi le pene che vengono comminate ai responsabili sono molto basse, anche quando vengono manomessi i sistemi di sicurezza, per velocizzare la produzione, il reato contestato è omicidio colposo, invece si tratterebbe di omicidio doloso. Molti imprenditori sono incensurati quindi spesso vengono condannati con la sospensione della pena. Ci sono casi in cui addirittura i reati si prescrivono.

Nel 2011 abbiamo superato le morti sul lavoro avvenute nel 2010, 2009 e perfino 2008. Se conteggiamo le morti sulla strada ed in itinere, i lavoratori e le lavoratrici, che hanno perso la vita per sostentare se stessi e la propria famiglia, sono oltre 1100 (dato dell’Osservatorio Indipendente di Bologna). Questo è il fallimento politico e sindacale in un Paese che viene definito civile e democratico. Un Presidente della Repubblica potrebbe proporre la difesa a carico dello Stato, i familiari delle vittime spesso spendono migliaia di euro per non avere giustizia.

appello non chiamatele più morti bianche

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