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Attentato a Beirut, la partita a scacchi continua

Con l’attentato compiuto il 27 dicembre 2013 a Beirut e nel quale è morto l’ex ministro Muhammad Shatah, membro della coalizione filo-saudita e ostile all’Iran, il Libano si conferma territorio aperto ai regolamenti di conti tra gli attori regionali e internazionali.

E il vicino conflitto siriano contribuisce a tenere alta la tensione in un Paese che da almeno dieci anni è tormentato dalla spaccatura politica e confessionale.

L’autobomba che ha fatto saltare in aria Shatah, la sua guardia del corpo e almeno altre quattro persone nel cuore finanziario e istituzionale del Libano, è l’ultima – ma solo in ordine di tempo – a esplodere dall’ottobre 2004.

La contesa tra asse vicino all’Arabia Saudita e quello dominato da Iran riguardava allora la decisione di prolungare il mandato del presidente Emile Lahoud, uomo di Damasco e ostile a Riyad. La prima vittima era un altro personaggio eccellente della coalizione anti-siriana: Marwan Hamade, anch’egli ex ministro libanese, si salvò per miracolo all’esplosione.

Dal 2004 sono state decine gli attacchi mirati contro personalità politiche e intellettuali anti-siriane in Libano, Paese che per 29 anni e fino al 2005 era rimasto sotto dell’influenza di Damasco. L’episodio più clamoroso è stato l’attentato mortale contro l’ex premier Rafiq Hariri, ucciso a poche centinaia di metri dal luogo dell’esplosione odierna.

Rafiq era il padre di Saad Hariri – attuale leader dell’opposizione parlamentare di cui faceva parte Shatah. Per l’uccisione di Hariri padre e per quella di altre vittime degli attentati compiuti dal 2004, il 16 gennaio prossimo si aprirà all’Aja l’atteso processo che vede alla sbarra, in contumacia, cinque membri di Hezbollah. Gli inquirenti avevano in precedenza accusato i servizi di sicurezza siriani.

Ma quando, dopo il 2008, Parigi e Washington erano tornate a dialogare col regime siriano, le sue presunte responsabilità nell’omicidio Hariri sono state dimenticate, mentre gli inquirenti hanno puntato il dito contro gli Hezbollah. Il movimento sciita è impegnato dal 2012 con migliaia di suoi miliziani nella guerra siriana a fianco del regime di Damasco e dei Pasdaran iraniani contro il variegato fronte di insorti, sempre più infiltrato da mercenari jihadisti e qaedisti.

È nell’attuale clima di polarizzazione confessionale sunno-sciita e di crescente instabilità che si inseriscono i più recenti attentati compiuti in Libano: contro la roccaforte di Hezbollah a Beirut (luglio e agosto); contro due moschee a Tripoli, porto sunnita settentrionale (agosto); contro l’ambasciata iraniana a Beirut (19 novembre) e contro un alto responsabile militare di Hezbollah (4 dicembre).

L’uccisione di Shatah appare come l’ennesima mossa di una sanguinosa e interminabile partita a scacchi tra i giganti della regione. 

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