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Attacchi a Parigi: quale altra guerra volete?

Nei commenti a caldo ai tragici episodi parigini, molti quotidiani autorevoli non hanno esitato a fornire chiavi di lettura belliciste: il “Corriere della sera” ha titolato su tutta la pagina “Guerra a Parigi”, accompagnato da un forsennato editoriale di Pierluigi Battista che denuncia la cecità e rassegnazione dell’Europa sotto assedio…; il “Messaggero” ha sentenziato “Massacro islamico”.

In questo caso, dopo aver messo in conto a una religione seguita da centinaia di milioni di persone gli atti di una decina di appartenenti o simpatizzanti del Daesh (che conta secondo molti osservatori su non più di 30.000 combattenti tra Siria e Iraq) il giornale romano ha denunciato con durezza gli errori dell’Europa, tra cui incredibilmente ritiene particolarmente grave “l’etichettatura di prodotti israeliani non prodotti in Israele”, eufemismo dietro cui si nasconde semplicemente non il boicottaggio (che casomai sarebbe legittimo ed efficace, come lo fu nei confronti del Sudafrica dell’Apartheid) ma la modesta richiesta europea di far risultare l’origine di quei prodotti provenienti dalle colonie costruite nei territori occupati in spregio a molte decisioni dell’ONU e a norme consolidate del diritto internazionale.

Analogamente molti altri commentatori hanno associato agli attentati di Parigi i gesti disperati dei giovani palestinesi, ovviamente continuando a parlarne a vanvera, anziché riflettere sulle riflessioni di una israeliana come Amira Hass che è anche testimone oculare. 

Non vale neppure la pena di parlare di Salvini o dei giornali della destra organicamente bellicista. Ma in gran parte dei commenti, anche in quotidiani abitualmente “moderati”, e su molti canali televisivi, emerge chiaramente che la “soluzione” della guerra è ben presente, come d’altra parte è esplicita nelle dichiarazioni di Hollande. Solo alcuni, tra cui Romano Prodi, hanno espresso dubbi in senso opposto, ammettendo che proprio gli interventi in Iraq, in Afghanistan e in Libia e le ingerenze pesantissime in Siria hanno perlomeno contribuito a rendere più facile il reclutamento di disperati disponibili a divenire terroristi. Non era una vera e completa autocritica, ma si avvicinava.

Ho sentito per strada e nei supermercati commenti agghiaccianti di persone travolte dall’isterismo bellicista. Un commerciante che conosco da tempo, e che ostentava fino a poco fa nostalgie per “il glorioso PCI” del tempo di suo padre, mi ha detto testualmente che “bisognerebbe prenderli uno a uno a uno, nelle case in cui vivono tra noi, e spedirli tutti al paese di origine, siano colpevoli o innocenti”. Non si rendeva conto che non era una novità, era in pratica la “soluzione” nazista, per giunta irrealizzabile in un’Europa in cui gli immigrati extraeuropei consolidati da decenni si contano a milioni in gran parte dei principali paesi; la loro espulsione tra l’altro provocherebbe danni irreparabili all’economia degli stessi paesi che oggi sono in migliori condizioni, a partire dalla Germania.

Quanto a chi sollecita la deportazione nei paesi di provenienza di tutti quelli arrivati da poco e che non possono ottenere la qualifica di rifugiati perché non sono in grado di provare che sono stati vittime di repressione e di persecuzione politica, non si rende conto che un provvedimento simile porterebbe alla disperazione tutti quelli che avevano venduto i beni di famiglia per pagarsi un viaggio in gommone verso l’Europa, e probabilmente spingerebbe una parte di essi a gesti disperati.

E come ignorare che tra le ragioni che spingono a migrazioni rischiosissime ci sono le crisi ambientali che devastano regioni intere dell’Africa e del Medio Oriente, di cui le popolazioni locali sono vittime e non certo responsabili, ma che non sono considerate valide per la concessione dello status di rifugiato? L’articolo di Antonio Mazzeo (La guerra totale della Francia in Africa e Medio oriente) per giunta ha ricordato che la Francia in questi ultimi anni non è mai stata con le mani in mano, e la guerra l’ha già praticata dovunque ha potuto grazie all’enorme asimmetria degli armamenti, e altrettanto hanno fatto altri paesi, non solo gli Stati Uniti.

Ad esempio l’Italia, che aveva già messo il naso in vari paesi, dal Libano alla Somalia, dall’Afghanistan all’Iraq e alla Libia, a che pro si sarebbe dotata di ben due portaerei, di un numero sproporzionato di cacciabombardieri e di navi da guerra? Bisognerebbe domandarsi: con quale efficacia ai fini del contenimento del terrorismo?

 

Foto: Punai Pasqual Loyante/Flickr

I discorsi bellicisti d’altra parte non sono una conseguenza e una risposta agli attentati parigini, ma una costante. Ad esempio mi è parso vergognoso che il presidente Mattarella abbia organizzato il suo viaggio in Estremo Oriente cominciando con l’allucinante apologia della cultura indonesiana del dialogo (Mattarella elogia l’Indonesia come modello di dialogo! ) ignorando sia il passato, sia il terribile contributo attuale al dissesto ecologico (Mezzo secolo dopo il massacro anticomunista in Indonesia, e L’Indonesia sta bruciando… ), per concludere poi il tour a bordo di una nave da guerra, con tanto di apologia dei marò assassini… Moltissimi commentatori televisivi si sono riempiti la bocca di citazioni da papa Francesco, sulla Terza guerra mondiale già cominciata “a pezzi”, ma si rendono conto di cosa occorrerebbe fare se si intendesse proseguire su questo piano per rispondere al moltiplicarsi di attacchi individuali di disperati?

I protagonisti delle due azioni parigine di gennaio erano nati in Francia e cresciuti a emarginazione e spaccio, prima della “conversione” e dell’arruolamento. Cosa si doveva bombardare, per una risposta muscolare: i casermoni della banlieue parigina? A suo tempo, uno dei commentatori più acuti di questioni militari, il generale Fabio Mini, aveva detto che la guerra in Afghanistan non aveva ridotto il terrorismo, ma lo aveva disseminato. Possibile che non si capisca che un mondo in sfacelo produrrà sempre più disperati disposti a morire? Fin qui la denuncia.

Ma la soluzione c’è ed è quella abbozzata nel primo comunicato “a caldo” dei compagni francesi del NPA Parigi, 13 novembre, "Le loro guerre, i nostri morti" pubblicato sul sito:

“La sola risposta alle guerre e al terrorismo è l’unità dei lavoratori e dei popoli, al di là delle rispettive origini, del colore della pelle, della religione, al di là delle frontiere, per battersi insieme contro chi vuole farli tacere, sottometterli, per farla finita con questo sistema capitalista che crea la barbarie. Per mettere fine al terrorismo, bisogna mettere fine alle guerre imperialiste che puntano a perpetuare il saccheggio delle ricchezze dei popoli dominati dalle multinazionali…”

È un compito difficile e arduo, perché il capitalismo non è separabile dalla guerra. Ma senza di questo, si sprofonderà in una spaventosa spirale di barbarie.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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