• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Assad e la politica estera siriana. Il Grande gioco

Assad e la politica estera siriana. Il Grande gioco

La brutalità dello Stato Islamico, a molti sembra non lasciare alternative, meglio Asad. Ma è la sola alternativa posta tra due regimi totalitari di diversa natura a essere sbagliata. L’articolo mira a mettere in risalto l’ambigua politica estera e interna degli Asad, attraverso l’analisi di alcuni fatti a cominciare dall’Iraq, per passare al Libano e infine alla Siria. La politica siriana degli ultimi dieci anni si è mossa tra gestione del fondamentalismo religioso, assassinii mirati e riabilitazione agli occhi dell’Occidente. Alla luce di quanto sta accadendo il Grande gioco di Asad non è cosa nuova. Chi pretende di fare della tragedia siriana una lotta ideologica, spesso non conosce la storia; la creazione e gestione del fondamentalismo è pratica nota al regime, è la carta di un Grande gioco già utilizzata in passato per riaccreditarsi agli occhi degli Stati Uniti e dell’occidente.

(di Alberto Savioli) 

 L’Iraq

La guerra anglo-americana contro l’Iraq di Saddam Hussein ha causato la destabilizzazione dell’intera struttura statale irachena, senza riuscire a crearne una nuova altrettanto stabile. Molti elementi salafiti siriani hanno cominciato allora ad organizzarsi per andare a combattere l’esercito di George W. Bush (presidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009) e il nuovo governo iracheno, in una lotta percepita come guerra di liberazione dall’invasore straniero. Il regime siriano ha favorito il movimento di questi gruppi estremisti verso l’Iraq, sia per allontanarli dalla Siria, sia per “impantanare” gli americani in quel paese con una guerra lunga; la Siria infatti sembrava essere il secondo paese ad essere minacciato da un intervento americano.

I servizi segreti siriani hanno cominciato a tessere la loro trama, uno dei loro collaboratori era un chierico salafita di Aleppo, Mahmoud Abu al-Qaqaa (12), che è diventato il polo di reclutamento regionale dei combattenti stranieri (libici, algerini, sauditi) diretti in Iraq, soprattutto verso il gruppo di Abu Musab al-Zarqawi, leader del ramo iracheno di al-Qaeda.

Secondo quanto affermato dal portavoce della sicurezza di Baghdad, Qassim al-Moussawi nel 2009, gli iracheni erano in possesso della confessione di un militante di al-Qaeda, Mohammed Hassan al-Shemari, che accusava agenti dei servizi segreti siriani di addestrare combattenti stranieri come lui in un campo apposito, prima di mandarli a combattere in Iraq. Arrivato in Siria dall’Arabia Saudita, era stato accolto da un militante che lo aveva portato in un campo di addestramento di al-Qaeda in Siria. Il responsabile del campo era un agente dell’intelligence siriana chiamato Abu al-Qaqaa, il militante raccontò inoltre: “Ci hanno insegnato lezioni di diritto islamico e ci hanno addestrati a combattere. L’accampamento era ben noto ai servizi segreti siriani”.

 Nel luglio 2012 l’ambasciatore siriano a Baghdad, Nawaf al-Faris, ha lasciato il regime non tollerando più le uccisioni: “Vedendo i massacri perpetrati, nessun uomo sarebbe in grado di vivere in pace con se stesso, visto quello che ho visto e sapendo quello che so”. Le sue dichiarazioni sono state una conferma di quanto già si conosceva, ossia del gioco praticato da Asad nella gestione del fondamentalismo in chiave prima anti-americana in Iraq e poi per riabilitarsi agli occhi di questi ultimi come baluardo laico contro l’integralismo; strategia che sta riproponendo ora alla fine del 2014.

Secondo le dichiarazioni di al-Faris: “Tutti gli arabi e gli altri stranieri sono stati incoraggiati ad andare in Iraq attraverso la Siria, e i loro movimenti sono stati facilitati dal governo siriano”. Lui stesso ha aggiunto che conosceva personalmente numerosi elementi del regime “ufficiali di collegamento” che ancora nel 2012 avevano contatti con al-Qaeda: “Al-Qaeda non svolgerebbe attività senza il supporto del regime. Il governo siriano vorrebbe utilizzare al-Qaeda come merce di scambio con l’Occidente”.

Gli Stati Uniti hanno stimato nel 2007 che il 90% dei kamikaze iracheni erano stranieri, di questi, l’80% era entrata nel paese dalla Siria (123). Il gioco di Asad si è concretizzato nel 2005. Con l’operazione Iraqi Freedom impantanata nella guerriglia irachena, il regime siriano ha potuto considerare scampato il pericolo di una guerra imminente.

Il 28 settembre 2007, lo sheikh Abu al-Qaqaa dopo un sermone in moschea, è stato ucciso misteriosamente da un suo seguace con un colpo di pistola (12). Migliaia di sostenitori islamisti si sono presentati al funerale di al-Qaqaa, al quale hanno partecipato anche dei parlamentari e il fratello del muftì della Siria. La sua bara era avvolta in una bandiera siriana, il funerale aveva tutte le caratteristiche simboliche di un evento di stato.

Il Libano
 Ai primi di settembre del 2007 si era conclusa la battaglia nel campo profughi palestinese di Nahr al-Bared, nel nord del Libano, tra l’esercito libanese e i miliziani del gruppo di Fatah al-Islam (12). Questo avvenimento apparentemente solo “libanese”, in realtà coinvolgeva quegli elementi salafiti “coccolati” dal regime siriano e già inviati a combattere in Iraq dal 2003. Fatah al-Islam era nata tra il 2001 e il 2002 da una scissione di un piccolo gruppo palestinese filosiriano Fatah-Intifada.

Tra i miliziani uccisi a Nahr al-Bared dai soldati libanesi, vi erano sauditi, giordani, libanesi, iracheni, palestinesi e siriani. Il governo libanese aveva accusato i servizi segreti siriani di essere alle spalle del gruppo, dopo il duplice attentato a due bus in un villaggio cristiano a nord di Beirut.

Questa accusa era stata riconfermata dopo l’attacco a Nahr al-Bared, diverse fonti hanno accusato la Siria, e in particolare il capo dell’intelligence Assef Shawkat (cognato del presidente siriano, Bashar al-Asad) di essere collegato con il gruppo terroristico, l’azione rientrava in un piano per distruggere la fragile democrazia libanese. Ancora una volta quindi, stando alle accuse, il regime siriano utilizzava l’arma del fondamentalismo, dopo l’Iraq era la volta del Libano, i mandanti erano sempre gli stessi.

Ad accusare il generale Assef Shawkat era un esponente del gruppo stesso di Fatah al-Islam, Ahmed Merie, un cittadino libanese arrestato a Beirut. Secondo la testimonianza di Merie, egli stesso era il collegamento tra il leader di Fatah al-Islam, Shaker Abssi, e il generale Shawkat; quest’ultimo avrebbe fornito esplosivi, esperti per insegnare ad usarli e supporto alle attività del gruppo.

A parlare del legame tra Fatah al-Islam ed il mukhabarat di Damasco era stato anche l’ex vicepresidente siriano Abdel Halim Khaddam, fuggito all’estero, secondo il quale il gruppo era stato creato dal servizio militare siriano di informazione. In modo retorico Khaddam si chiedeva: “Da dove proviene la grande quantità di esplosivi ed armi in possesso di Fatah al-Islam, un arsenale del quale non dispone neppure l’esercito libanese”, affermando che erano stati i siriani a fornirlo, dichiarava che era lo stesso Assef Shawkat in persona a dirigere il gruppo.

L’intellettuale: Samir Kassir

 Il 2 giugno 2005 veniva ucciso a Beirut, con un’autobomba, il giornalista e attivista libanese Samir Kassir (123). Kassir era un intellettuale cristiano che sosteneva la necessità di porre fine alla tutela siriana del Libano e voleva la democratizzazione della Siria.

I suoi rapporti con gli intellettuali siriani promotori della “Primavera di Damasco” (12) erano molto stretti. Assieme al movimento da lui fondato, Sinistra Democratica, e al giornale con cui collaborava, al Nahar, era una delle figure più importanti della mobilitazione politica che aveva portato alle grandi manifestazioni di massa anti-siriane seguite all’assassinio dell’ex-primo ministro libanese Rafiq Hariri.

Kassir aveva ricevuto in passato minacce da agenti dei servizi segreti e dagli apparati di sicurezza libanesi e siriani, la sua uccisione è rimasta senza un responsabile anche se molti dietro il suo omicidio hanno visto una vendetta siriana.

Le parole negli scritti di Samir Kassir, alla luce di quanto sta avvenendo ora in Siria e di quanto è avvenuto negli ultimi tre anni, sono come un macigno.

Nel 2001 poco dopo l’11 settembre scriveva: “Con la tentazione corrente di cedere all’idea di uno scontro di civiltà, un completo ripensamento ideologico diventa sempre più urgente… Non dobbiamo confondere il terrorismo con la resistenza, come l’Occidente ha confuso la resistenza con il terrorismo… Mentre alcune persone all’interno delle società musulmane potrebbero essere attratte dall’islamismo radicale da un punto di vista difensivo (a causa della loro sensazione di essere minacciati), la retorica dei leader militari di questo islamismo radicale vuole essere invece offensiva. Essi giustificano il loro proselitismo trionfale con le definizioni di “Altro”, civiltà “decadente”, “inferiori”… Dobbiamo contrastare lo status di vittima che le società arabe si sono date. Non dobbiamo cercare di fare questo coltivando un complesso di potenza, o uno spirito di vendetta, ma accettando l’idea che, anche se il ventesimo secolo ha portato sconfitte nel mondo arabo, ha anche fornito molti strumenti che possono contribuire utilmente ad un’agenda progressista… Dobbiamo accettare l’idea che i valori democratici sono diventati uno dei patrimoni comuni dell’umanità”.

Sembra un paradosso che il regime siriano che grida al pericolo fondamentalista, negli anni passati abbia avuto così tanta paura di intellettuali che sostenevano la necessità di una società più democratica e che si schieravano contro la possibile deriva estremista di alcuni settori della società arabo-musulmana. A questo proposito va ricordato che ancora oggi è detenuto in carcere in Siria, dal 2012, il giornalista e direttore del Centro per la libertà di espressione, Mazen Darwish (123), assieme a molti altri intellettuali ed elementi non violenti della società siriana. Questo non è un paradosso poiché i regimi oscurantisti, siano essi di matrice religiosa o laica, hanno sempre temuto la libertà di pensiero anticamera di una libertà civile dei popoli.

Sempre Kassir ha scritto: “In tutto quello che ho scritto da quando Bashar al Asad ha ereditato il potere dal padre, non ho mai ceduto all’illusione che avrebbe riformato volentieri il suo regime…”. E ancora, a proposito della Siria in un’intervista dell’8 giugno 2004 ha dichiarato che: “In Siria, è ancora più difficile da superare (la paura dei servizi di sicurezza), ed è per questo che dovremmo apprezzare il coraggio dei dissidenti siriani sempre più audaci, come è stato dimostrato nei due tentativi falliti di protestare pubblicamente a Damasco… La Siria è stata governata nella paura. Se la paura scompare, il regime troverà molto difficile mantenere il potere…”.

La Siria
In concomitanza con dello scoppio della rivolta siriana, cominciata ufficialmente il 15 marzo 2011, la coalizione libanese “14 marzo” ha organizzato un grande raduno in piazza dei Martiri a Beirut, per celebrare il sesto anniversario della “Rivoluzione dei Cedri” (14 marzo 2005) che aveva ottenuto il ritiro delle forze siriane dal territorio libanese, questa volta tra i diversi argomenti si chiedeva anche il blocco alle forniture di armi verso Hezbollah. Nella piazza gremita si stagliavano le gigantografie dei volti dei Martiri della Rivoluzione dei Cedri: Rafiq Hariri, Samir Kassir, George Hawi, Gebran Tueni, Pierre Amine Gemayel, Walid Eido, Antoine Ghanem. Uomini politici e giornalisti oppositori della Siria del clan degli Asad, tutti uccisi tra il giugno 2005 ed il settembre 2007 (1234, i link all’evento vogliono solo essere dimostrativi di quanto accaduto, non sono articoli di approfondimento).

Sulle maglie e sugli slogan di quel giorno si leggeva la parola araba “la” (no!). Era un no alle armi, che non fossero quelle dell’esercito libanese, no ai ricatti delle milizie armate (un chiaro riferimento al partito sciita dotato di una milizia armata, Hezbollah), no alla strategia stragista mirata ad eliminare personaggi scomodi della politica e della cultura.

Quel raduno del marzo 2011 non solo non ha ottenuto il suo scopo, ma in breve tempo le milizie di Hezbollah sono entrate a combattere in Siria a sostegno di Asad.

Dopo la sua defezione l’ex ambasciatore siriano al-Faris ha dichiarato: “All’inizio della rivoluzione, lo Stato ha cercato di convincere la gente che le riforme sarebbero state emanate al più presto… Abbiamo vissuto in quella speranza per un po’. Abbiamo dato loro il beneficio del dubbio, ma dopo molti mesi è diventato chiaro per me che le promesse di riforma erano bugie”.

Ha accusato inoltre il regime siriano di essere il vero responsabile degli attentati suicidi contro edifici governativi, citando quello compiuto contro un edificio dell’intelligence militare nel sobborgo di al-Qazzaz di Damasco (2012) ha dichiarato: “So per certo che non un solo funzionario dell’intelligence è stato ferito durante quell’esplosione, tutto l’ufficio era stato evacuato 15 minuti prima… Tutte le vittime erano passanti. Tutte queste esplosioni sono state perpetrate da al-Qaeda attraverso la cooperazione con le forze di sicurezza siriane”.

Dall’Iraq nel 2003 al Libano nel 2007, molti fatti di sangue perpetrati dall’estremismo religioso, secondo le accuse, hanno sempre avuto lo stesso mandante, il clan degli Asad tramite i servizi di intelligence. C’è chi sostiene un’infiltrazione del mukhabarat siriano anche tra le fila stesse di gruppi qaedisti quali lo Stato islamico e Jabhat al-Nusra.

Per questo motivo la domanda retorica posta da molti “è meglio il regime laico e socialista degli Asad o i fondamentalisti dello Stato islamico?”, non ha basi logiche e storiche per essere posta.

Chi pretende di fare della tragedia siriana una lotta ideologica, spesso non conosce la storia; la creazione e gestione del fondamentalismo è pratica nota al regime, è la carta di un Grande gioco già utilizzata in passato per riaccreditarsi agli occhi degli Stati Uniti e dell’occidente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità