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Arabia Saudita, in carcere per un selfie e scomparsa da mesi

Manahel al-Otaibi, 29 anni, istruttrice di fitness, difensora dei diritti umani e blogger dell’Arabia Saudita, è vittima di sparizione forzata dal 23 novembre 2023. Da allora la direzione delle carceri e altre autorità non forniscono informazioni su di lei e impediscono ogni suo contatto col mondo esterno.

Manahel al-Otaibi è stata arrestata un anno e mezzo fa. È sotto processo per aver pubblicato su Snapchat un selfie in cui non indossava l’abaya (l’abito tradizionale saudita), aver postato contenuti in favore dei diritti delle donne e aver chiesto l’annullamento delle oppressive leggi sul tutore di sesso maschile usando l’hashtah #EndMaleGuardianship.

Al Tribunale penale speciale – che dovrebbe occuparsi di casi di terrorismo e che, invece, abitualmente, processa dissidenti e difensori dei diritti umani – deve rispondere della “violazione dei principi religiosi e dei valori sociali e minaccia alla sicurezza della società” e della “pubblicazione e diffusione di contenuti che mostrano peccati in pubblico e istigano a denunciare i principi religiosi”.

La sorella di Manahel al-Otaibi, Fawzia, ha raccontato ad Amnesty International:

“Poco prima di perdere i contatti con lei, Manahel ci aveva detto che era stata picchiata da una detenuta. Sono preoccupata per quello che le succederà, di fronte a un tribunale ingiusto. Ecco come le donne saudite vengono trattate. Le autorità cercano di nascondere questa realtà raccontando ai media altre storie. Ogni attività che promuove il femminismo e i diritti delle donne viene criminalizzata”.

Una di queste “altre storie” è stata raccontata nel 2018, in un’intervista televisiva, dal principe della Corona Mohamed bin Salman:

“Sta solo alle donne decidere quale abito decente e rispettoso indossare (…) La legge parla di abbigliamento decente e rispettoso, ma non espressamente di un’abaya nera o di un velo nero”.

Fawzia vive nel Regno Unito e non può tornare in Arabia Saudita, dove verrebbe arrestata per “aver diretto una campagna di propaganda per istigare le donne saudite a denunciare i principi religiosi e a ribellarsi contro usi e costumi della cultura saudita”, avendo usato l’hashtag #society_is_ready per “promuovere la liberazione e la caduta del sistema del tutore di sesso maschile”.

Una terza sorella, Mariam al-Otaibi, vive a sua volta nel Regno Unito. Nel 2017 ha trascorso 104 giorni in carcere per il suo attivismo in favore dei diritti delle donne e per la fine del sistema del tutore di sesso maschile.

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