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Appello a Dell’Utri - Prima puntata

La sintesi delle 1775 pagine di sentenza in vista del processo d’appello.

Tutto ebbe inizio 15 anni fa, nel luglio del 1995, quando, in seguito alle dichiarazioni rese sul Cavaliere dai pentiti Cancemi, Mutolo, Di Carlo, Ganci, Anzelmo, ma soprattutto dopo le dichiarazioni del mafioso, nonché esponente Dc, Gioacchino Pennino, la DDA della Procura di Palermo, allora guidata da Giancarlo Caselli, iscrisse nel registro degli indagati, al fascicolo 6031/94, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Non li chiamò per nome, ma in sigla. Così Berlusconi divenne XXXXX, mentre il suo fedele Marcello diventò YYYYY. Nomi in codice, X ed Y, che sarebbero serviti ad evitare fughe di notizie, che poi, però, ad un anno di distanza, partirono lo stesso dall’interno della Procura. Così poi le indagini a carico di Berlusconi, che nel tempo si moltiplicarono (cinque, sempre all’interno dello stesso fascicolo), vennero tutte archiviate per scadenza dei termini d’indagine. A Dell’Utri non toccò la stessa sorte. Fu più sfortunato, perché quelle carte, in cui poi confluiranno moltissimi atti processuali, fino a formare un dossier di centinaia di migliaia di pagine, sono diventate le accuse che hanno portato, nel 2004, alla sua condanna a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Così, dopo la sentenza di primo grado, avevano presentato ricorso in Appello sia la procura, che chiede <<pena equa ed adeguata>>, cioè 11 anni, sia i difensori del senatore forzista, che vogliono l’assoluzione totale nel merito. Fin qui, tutto come previsto. Il colpo di scena è arrivato quando la Procura di Palermo, sostenuta dal pg Antonio Gatto, ha portato all’attenzione della corte nuovi elementi d’accusa. Intercettazioni telefoniche e ambientali, tabulati, carte da altre inchieste, nuovi confronti con le agende delle testimonianze di nuovi pentiti. Secondo l’accusa tutto lascia supporre, sembra, contatti con Cosa Nostra del senatore Dell’Utri fino al 2003.
Per questo è nata l’esigenza di questa rubrica. Per raccontare i nuovi fatti e i nuovi documenti emersi dalle nuove indagini (e magari per dare una rispolverata anche a quelli vecchi). Per raccontare il più importante processo eccellente dei nostri giorni, che è anche quello più ignorato. Per tessere insieme, filo per filo, un documento dopo l’altro, la trama della storia occulta del potere degli ultimi quindici anni, le alleanze fra mafia e politica.

La prima puntata....

Sono passati più di dieci anni dall’inizio delle indagini. È l’11 novembre del 2004. Dopo 211 udienze e ben 270 persone interrogate i giudici si riuniscono in camera di consiglio per decidere il futuro di Marcello dell’Utri e del suo coimputato meno famoso, Gaetano Cinà. Condanneranno entrambi. Dell’Utri a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, Cinà a 6 per partecipazione diretta. Cosa ha fatto l’Onorevole Dell’Utri per guadagnarsi, con il concorso esterno, una pena più severa di quella di un mafioso?

<<Gli elementi probatori emersi hanno consentito di fare luce sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti di Cosa nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul ruolo ricoperto dallo stesso nell’attività di costante mediazione, con il coordinamento di Cinà Gaetano, tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo, e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest; sulla funzione di «garanzia» svolta nei confronti di Silvio Berlusconi>>.

Nell’insieme <<la pluralità dell’attività posta in essere […] ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra alla quale è stata, tra l’altro, offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’ economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici>>.

E allora <<per Dell’Utri la pena deve essere ancora più severa>> perché, scrivono i giudici Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari nella sentenza di primo grado <<si deve negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo importo con l’organizzazione mafiosa (sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e 1993, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla «vendetta» di Cosa nostra) e ciò nonostante il mutare della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso suo complesso e pur avendo, a motivo delle sue condizioni personali, sociali, culturali ed economiche, tutte le possibilità concrete per distaccarsene e per rifiutare ogni qualsivoglia richiesta da parte dei soggetti intranei o vicini a Cosa nostra>>.

Ora, per capire come i giudici siano arrivati a trarre queste conclusioni un tantino agghiaccianti, nonché per capire, come vedremo dalla prossima puntata, cosa sta succedendo nel processo d’appello, è utile ricostruire, in estrema sintesi, i fatti emersi dal processo.

Anni ’60. Silvio e Marcello, come nasce un’amicizia

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri si conoscono a Milano, dove Dell’Utri, originario di Palermo, si è trasferito per frequentare, insieme al futuro Presidente del Consiglio, l’Università Statale, facoltà di giurisprudenza (strano ma vero).
Nel 1964, a 23 anni, lavora come segretario per Berlusconi, che sponsorizza il Torrescalla, piccola squadra di calcio di cui Dell’Utri è allenatore. Ma l’avventura con l’amico Silvio dura pochi mesi. Nel ’65 Dell’Utri lascia Berlusconi per seguire la sua strada: prima direttore di un centro sportivo a Roma per l’Opus Dei, poi di nuovo a Palermo, ancora in veste di direttore sportivo presso l’Athletic Club Bacigalupo, dove conosce Gaetano Cinà, detto Tanino, che, proprietario di una lavanderia di Palermo, verrà condannato per mafia. È il padre di uno dei ragazzi che allena, nonché uno dei dirigenti della Bacigalupo.Tra loro si crea una <<grande amicizia>>, al punto che Cinà considera Dell’Utri <<come un figlio>>.

Anni ’70. Ritorno a Milano, stalliere al seguito

Nel 1970 inizia a lavorare per la Cassa di Risparmio delle Province Siciliane. Dopo tre anni è già direttore della Sicilcassa a Palermo. Nel frattempo, a Milano, Berlusconi si impossessa di Villa Casati Stampa, con annesse proprietà terriere (che comprendono il centro abitato di Cusago, un meraviglioso castello dichiarato fin dal 1912 monumento nazionale, varie tenute agricole, poderi, una sessantina di cascine e rustici, boschi, seminativi, prati, stagni per la pesca, rogge, canali di irrigazione) che pagherà alla marchesa Anna Maria Casati Stampa di Soncino, dopo diverse operazioni contabili, la miseria di 345 lire al metro quadro. Berlusconi, dopo aver acquistato questa sorta di riserva sconfinata (2,5 milioni di metri quadri) della Brianza, ha bisogno di qualcuno che segua i lavori di ristrutturazione. Decide di rivolgersi al caro amico dei tempi dell’università. Dell’Utri accetta subito: il 5 marzo 1974 si dimette dalla banca (la seconda in Sicilia per importanza) per cui è direttore e si trasferisce ad Arcore. Nello stesso periodo, dice Berlusconi, di avere avuto <<bisogno ad Arcore di un fattore, più precisamente, di un responsabile dei terreni e della cura degli animali, cioè cavalli>>. Chiese a Dell’Utri di occuparsene. Capitò così che Dell’Utri andò a pescare questo stalliere in Sicilia. Era, racconterà poi, <<una specie di tifoso. Commerciava cavalli. […] Si comportò benissimo. Trattava con i contadini, si occupava di cavalli>>. Sfortuna volle che Vittorio Mangano si occupasse anche di mafia da anni e che i cavalli che commerciava, dimostrarono Falcone e Borsellino nel maxiprocesso, erano in realtà partite di droga (<<questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu asseverata dalla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga.>> Paolo Borsellino, 21 maggio 1992).

Un mafioso ad Arcore

Che la fedina penale di Mangano, quando arrivò da Berlusconi, fosse pulita, non si può dire affatto: la polizia lo conosceva come <<persona pericolosa>> già dal 1967, indagato per vari reati (dalla ricettazione alla tentata estorsione), fermato in auto con un mafioso trafficante di droga nel 1972. Venne assunto risolutivamente ad Arcore nel 1974, in seguito ad un incontro a Milano fra Berlusconi, Bontate (capo di Cosa Nostra), Mimmo Teresi e Francesco Di Carlo, che poi racconterà ai giudici dell’incontro, organizzato da Marcello Dell’Utri.
I giudici accerteranno che il motivo per cui Berlusconi ha sentito la necessità di mettersi un mafioso in casa, incaricando Dell’Utri della questione, è che in quegli anni a Milano tutti i miliardari temevano sequestri di persona e Mangano era la persona che, in seguito alla riunione con Stefano Bontade, Cosa Nostra assegnò a Berlusconi per proteggere la sua famiglia. Racconterà Berlusconi al Corriere della Sera: <<Rapporti con la mafia ne ho avuti una volta sola, quando tentarono di rapire mio figlio Pier Silvio, che allora aveva cinque anni: portai la mia famiglia in Spagna e lì vissero molti mesi>> (Corriere della Sera, 20 marzo 1994). Vittorio Mangano infatti, vero esperto di cani da guardia, oltre alle sue mansioni di fattore, si concedeva anche a degli extra. Per esempio accompagnava i figli di Berlusconi a scuola, o la moglie in città, <<ad implicita conferma – scrivono i giudici – del ruolo di “garanzia” e “protezione” costantemente svolto dal predetto e non già da guardie private>>.
La sera del 6 dicembre fu ospite a cena a casa di Berlusconi uno fra i suoi migliori amici, il principe D’Angerio. Alla cena era presente anche Vittorio Mangano, il fattore, che con moglie e figli siede, molto democraticamente, alla tavola del padrone di casa. Dopo la cena, l’ultimo ospite ad andarsene fu proprio Luigi D’Angerio, che, uscito dalla villa, venne rapito da dei sequestratori in macchina. Fortunatamente quella notte c’era una nebbia intensa che mandò la macchina dei sequestratori fuori strada, a sbattere, e D’Angerio riuscì a salvarsi. La polizia scoprì che ad organizzare quel sequestro era stato Vittorio Mangano (anche se fu <<una messa in scena, appositamente per intimorire il signor Berlusconi, per farlo mettere, diciamo, [incomprensibile] un pochino qualcuno a più stretto contatto con il signor Mangano>>, Nino Giuffré, 7 gennaio 2003). Nonostante il tentativo di sequestro, Mangano, arrestato nello stesso mese, non venne mai allontanato dalla villa, ma accolto a braccia aperte ogni volta che usciva di galera. Infatti, Mangano, durante la sua permanenza ad Arcore venne arrestato due volte (truffa, ricettazione, porto abusivo di coltello).
Il 26 maggio 1975 esplose una bomba contro un ufficio di Berlusconi in Via Rovani. Non se ne saprà nulla per oltre 10 anni perché l’immobile era formalmente intestato a un tale Walter Donati, uno dei tanti prestanome di Berlusconi che non denuncerà mai di essere la vittima dell’attentato. La Fininvest inizia a versare contributi in denaro a Cosa Nostra, consegnate tuttavia non a titolo di pizzo, ma di regalo.
Nel 1976 un quotidiano locale lombardo scrive che Berlusconi ospita un mafioso in casa. A quel punto lo spessore criminale di Mangano è evidente (<<uscendo [dalla galera, nda] ho trovato tutti i giornali della Lombardia, pure i… pure quelli di Topolino, che parlavano di me.>> Vittorio Mangano, 13 luglio 1998). Così il fattore di Arcore decide spontaneamente di andarsene dalla villa, di licenziarsi per ragioni di <<sensibilità>>, per un suo personale <<scrupolo>>, ma dovette affrontare le resistenze di Dell’Utri e Berlusconi. Andatosene dalla villa di Berlusconi, subito rimpiazzato da una scorta privata, Mangano si trasferisce, dopo un breve periodo a Palermo, all’Hotel Duca di York, da dove continua a gestire il traffico di droga e il riciclaggio di denaro mafioso.

Marcello e Vittorio, la storia continua



Il 24 ottobre 1976 Marcello Dell’Utri partecipa su invito di Mangano (dice lui) al pranzo di compleanno del boss Antonino Calderone. Spiegherà di aver partecipato perché <<mi ero reso conto della personalità del Mangano>> e <<avevo un certo timore nei suoi confronti>>. Poco dopo Mangano, seguirà anche lui, per ragioni diverse, la stessa strada dello stalliere. Lascerà la villa di Berlusconi, che non lo riteneva in grado di fare il dirigente nel suo gruppo imprenditoriale. Su raccomandazione di Gaetano Cinà viene assoldato nel gruppo Inim, facente capo a Filippo Alberto Rapisarda, uomo legato all’ambiente di Cosa Nostra, in affari con Vito Ciancimino. La Inim è un’impresa dai <<capitali mafiosi>> e Marcello Dell’Utri <<nella società serviva proprio a garantire gli interessi mafiosi>>. Diventa amministratore della Bresciano, che però è destinata a fallire presto. Rapisarda fugge latitante in Venezuela. Così Dell’Utri, che in quel periodo si ritrova alla canna del gas, si imbuca prontamente nella casa lasciata vuota dal Rapisarda. A quella casa, il 14 febbraio 1980, arriva una telefonata di Vittorio Mangano. Dell’Utri, a dimostrazione del <<timore>> che nutriva per mangano, lo accoglie con un <<Oh, caro Mister!>>. Chiede Mangano <<Ah, l’appartamento, lì è?>> . E Dell’Utri gli spiega: <<Si, e per forza. Perché senza ufficio, questa è diventata casa, ufficio, tutte cose.>> Quindi Mangano si preoccupa di averlo disturbato, ma Dell’Utri, con il fare tipico di chi è terrorizzato del proprio interlocutore, lo rassicura << Chi mi disturba? Io stavo lavorando qua, per cui … Dov’è, dov’è?>>. Mangano è in albergo e lo ha chiamato per proporgli <<il secondo affare che ho trovato per il suo cavallo>>. Un affare con un non meglio precisato Tony Tarantino, che Dell’Utri aveva già contattato telefonicamente. Ma per quell’affare ci vogliono i <<piccioli>>, i soldi. E Dell’Utri, nelle condizioni in cui versa (<<Sono veramente in condizioni di estremo bisogno>>), di piccioli proprio non ne ha. Allora Mangano, dopo aver specificato che <<senza piccioli non se ne canta messa>>, gli suggerisce di chiederli <<al suo principale Silvio>>, ma Dell’Utri gli risponde che <<quello è un santo che n’ sura>>, cioè un santo che non suda, non sgancia. Alla fine si mettono d’accordo per fissare un incontro. Ora, intendendo per cavallo quel <<mammifero erbivoro, con il collo eretto ornato di criniera>> il senso di questa telefonata rimane indecifrabile. Apparirebbe molto più chiaro alla luce delle dichiarazioni che rilascerà Paolo Borsellino a due giornalisti francesi, poche ore prima l’attentato a Falcone: <<Il Mangano [si occupava] di droga... Vittorio Mangano - se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti - risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come "magliette" o "cavalli". […] Perché c’è, se ricordo bene, nell’inchiesta della San Valentino, un’intercettazione fra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di "cavalli".

Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che dovevano essere mandati in un albergo, quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo>>. Ma Dell’Utri confermerà che l’affare riguarda proprio un cavallo vero che si chiama Opera, anche se l’unica documentazione che fornirà alla procura è una
<<scrittura privata, apparentemente risalente al 1974 (priva, però, di qualsiasi data certa) e asseritamente ritrovata solo di recente nella biblioteca di villa Casati, concernente l’acquisto da parte del Mangano di una cavalla purosangue dal potere di tal Pepito Garcia>>.

Nel frattempo Berlusconi fa incetta di antenne in tutti’Italia, per creare “l’effetto diretta”. In Sicilia le società create o acquisite da Berlusconi sono quasi tutte legate, indirettamente, con personaggi legati a Cosa Nostra.
Il 5 maggio 1980 Vittorio Mangano viene arrestato da Falcone in seguito alle indagini che porteranno al “processo Spatola” e rimarrà in galera per 11 anni.

Anni ’80. Da Bontate a Riina


Dopo l’attentato a Stefano Bontate il controllo delle “antenne” di Berlusconi in Sicilia passa ai Corleonesi. I Pullarà soffocano Berlusconi nelle richieste di denaro, non più a titolo di regalo, che Berlusconi pagava già dalla fine degli anni ’70, ma di pizzo. Berlusconi, allora, chiama Dell’Utri a lavorare in Fininvest. Malgrado la bancarotta fraudolenta della Bresciano, lo designa amministratore delegato di Publitalia. L’11 novembre 1983 Dell’Utri viene sorpreso dalla polizia, che cerca di arrestare i mafiosi che si occupano dei casinò milanesi, nella casa di Ilario Legnaro, socio del boss catanese Gaetano Corallo.
La Fininvest, in seguito ad un accordo raggiunto con Pippo Di Napoli, ambasciatore di Totò Riina, smette di pagare il pizzo a Cosa Nostra e torna a pagare il più abituale “regalo”.

Pronto, Silvio?

Rispettosa bomba acustica
Il 28 novembre 1986 esplode un’altra bomba in Via Rovani. Berlusconi chiama subito Dell’Utri, confidandogli che << da una serie di deduzioni>> e <<per il rispetto che si deve all’intelligenza>> quella bomba deve averla messa Mangano. La bomba, poi, << fatta proprio rudimentale… con un chilo di polvere nera!>>, ma comunque fatta <<con molto rispetto, perché mi ha incrinato soltanto la parte inferiore della cancellata>> e quindi <<mi spiace, però, se i carabinieri... da questa roba qui... da un segnale acustico, gli fanno una limitazione della libertà personale a lui>>. Così Dell’Utri si informa da Gaetano Cinà, che però dice che <<quell’ipotesi [di Mangano, nda] è proprio da escludere […] Perché [Mangano, nda] è ancora dentro>> in seguito alla condanna del processo Spatola. Si scoprirà, infatti, che quella bomba l’ha fatta mettere Ritto Santapaola che voleva agganciare Craxi per le elezioni.
Nelle intercettazioni di quella vicenda, si scopre, inoltre, che Mangano è un habitué delle bombe. Infatti, dice Confalonieri, la bomba che scoppiò dieci anni prima a Via Rovani ce l’aveva messa lui.

Anni 90. Fininvest scende in campo


Nei primi mesi del 1990 esplodono alcune bombe contro i magazzini e i negozi della Standa (Fininvest) a Catania, sempre per tentare di avvicinare Berlusconi a Craxi.
Nel 1991 Mangano esce di galera. Vorrebbe riprendere i rapporti con Berlusconi e Dell’Utri, ma Salvatore Cancemi gli consiglia di <<farsi da parte>> perché lui li ha <<nelle mani>>.
Nel ’92, in piena tangentopoli, Dell’Utri ingaggia Ezio Cartotto, ex democristiano, per elaborare un’iniziativa politica di Fininvest, presagendo il crollo degli altri partiti. Si oppongono al progetto Letta, Confalonieri e Maurizio Costanzo, che è vittima di un attentato mafioso il 14 maggio 1993.
Stando alla testimonianza del pentito Nino Giuffré, secondo per importanza solo a Buscetta, Provenzano raggiunge degli accordi politici con Dell’Utri. Le richieste di cosa nostra erano centrate a diminuire la pressione dei collaboratori di giustizia, di risolvere il problema del sequestro e della confisca dei beni mafiosi e di alleggerire il regime carcerario del 41 bis.
A novembre del ’93 Mangano incontra a Milano Dell’Utri due volte, come risulta dalle agende.
Il 31 dicembre 1998 Dell’Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra, a Rimini, un pentito fasullo con il quale sta organizzando un complotto per screditare i pentiti veri che lo accusano.
Il 5 maggio 1999 una cimice registra una conversazione fra alcuni uomini di Provenzano che esortano a votare Dell’Utri, candidato alle Europee: <<lo dobbiamo aiutare perché se no lo fottono>>. 
Nel 2001 Dell’Utri viene eletto senatore. Giuseppe Guttadauro, boss di Cosa Nostra, dice al telefono che <<con Dell’Utri bisogna parlare>> anche perché <<alle elezioni del ’99 ha preso degli impegni e poi non s’è più fatto vedere>>.

È evidente, a questo punto (e lo sarà ancor più nel processo d’appello, che racconteremo dalla prossima puntata) che durante il secondo governo Berlusconi , Dell’Utri è ancora legato a Cosa Nostra. E nonostante sia sotto processo per mafia da quattro anni, viene eletto senatore. O forse, come dicono alcuni, proprio per questo.

A martedì per la seconda puntata...



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