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Appello Dell’Utri - 22a puntata

Dell’Utri e la tentata estorsione a Vincenzo Garaffa. Il boss: "Dell’Utri lo avevamo nelle mani". La storia raccontata nella requisitoria del pg.

Venerdì scorso il pg ha chiesto la sospensione della requisitoria per interrogare nel processo i pentiti Spatuzza e Graviano (ne abbiamo parlato qui). Conosceremo questa settimana cosa deciderà la Corte.

Intanto continuiamo a pubblicare, in questa rubrica, la requisitoria che ha impegnato il pg Antonino Gatto nelle udienze precedenti. Oggi ne pubblichiamo alcuni stralci relativi al caso Garraffa, la vicenda che riguarda la Pallacanestro Trapani, società che rimase vittima, secondo l’accusa, di una presunta estorsione a cui avrebbe preso parte il senatore Dell’Utri (che per questi fatti è stato recentemente prescritto, in secondo Appello, per minaccia grave).

Marcello Dell’Utri, assente in aula durante la requisitoria, ha risposto in un comunicato affidato alle agenzie: “È stupefacente che il procuratore generale possa ancora sostenere che Garraffa abbia detto la verità sulla vicenda della Pallacanestro Trapani, considerato il personaggio e che anche la Cassazione ha recentemente espresso un giudizio molto severo sulla credibilità di quel teste e dei suoi fantasiosi racconti.”

 “Nella stagione ’91-’92, la Pallacanestro Trapani era stata promossa a una serie superiore. Il suo presidente, Vincenzo Garraffa, aveva stipulato un contratto di sponsorizzazione (dell’importo di un miliardo e mezzo di lire) con una società di Messina, la Birra Messina, tramite l’intermediazione di Publitalia che fa capo all’imputato Marcello Dell’Utri. Dopo il pagamento dell’importo se ne pretendeva la restituzione della metà a Publitalia per asseriti diritti di agenzia. La restituzione deve avvenire in nero. Il Garraffa si rifiuta e pretende la fattura per giustificare l’uscita in bilancio. Questo l’assunto accusatorio.”

“Per cercare di risolvere questa diatriba – racconta il pg – si incontra il Vincenzo Garraffa con Marcello Dell’utri, vertice della Publitalia a Milano a fine ’91, primi ‘92. Il Garraffa continua a rifiutare [di pagare e …] Dell’Utri - a dire del Garraffa e anche dei pubblici ministeri e del Tribunale che ha ritenuto provato il fatto - lo avrebbe minacciato dicendogli “ci pensi, perché abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Fatto sta che Garraffa rientra in quel di Trapani e qualche mese dopo, la data non è determinata con esattezza, […] il Garraffa riceve, verso le 7 del mattino, in ospedale la visita di due persone : Vincenzo Virga e Michele Buffa, che non sono due persone qualsiasi. Vincenzo Virga è il capo mandamento di Trapani e Vittorio Buffa è un altro uomo d’onore […] Vincenzo Virga chiede al Garraffa se si può aggiustare questa faccenda con la Pallacanestro Trapani, il Garraffa gli chiede chi lo manda. Quello prima gli risponde amici. “Sì, ma amici chi?” E fa il nome di Marcello Dell’Utri. Garraffa continua a insistere nel suo rifiuto, il Virga gli risponde” che avrebbe riferito.

“Questi sono i fatti del costrutto accusatorio. Per questi fatti ha proceduto separatamente il Tribunale di Milano contestando agli imputati un tentativo di estorsione, li ha ritenuti colpevoli, la Corte ad’Appello ha confermato la sentenza di condanna, la Cassazione ha annullato con rinvio questa sentenza di condanna e la Corte d’Appello di Milano in sede di rinvio ha ritenuto […] prescritto il reato di minaccia aggravata.”

“Mi pare che sia troppo ovvio che l’attendibilità di Garraffa deve essere valutata con riferimento a questi fatti accertati e non con riferimento alle sue vicende personali e familiari come purtroppo è avvenuto il procedimento di primo grado.”

“I difensori si attestano essenzialmente su tre linee. Innanzitutto una riguarda l’inattendibilità di Garraffa, poi il fatto che egli avrebbe preso un impegno di restituzione in nero non in favore della Publitalia ma della Birra Messina all’atto della stipula del contratto di sponsorizzazione perché si sostiene che c’era un’usanza in questo senso. Quindi il Garraffa già lo sapeva che doveva restituire queste somme. E poi, soprattutto, [i difensori sostengono] la sostanziale estraneità dell’imputato a questa vicenda.”


Secondo la difesa “la possibile conoscenza delle affermazioni del Messina [Giuseppe Messina, uno dei collaboranti che riferì la vicenda ai magistrati, ndr] che avrebbero potuto esporre il Garraffa alla contestazione del reato di associazione mafiosa potrebbe avere indotto quest’ultimo ad anticipare potenziali accusa nei propri confronti facendo presente di essere stato lui stesso oggetto di minacce e pressioni mafiose. La possibile conoscenza potrebbe avere condotto ad anticipare le potenziali accusa. Quindi è la stessa difesa - assicura il pg - che dice che si tratta di una ipotesi. E una ipotesi che poggia sul un presupposto che non è assolutamente dimostrato, ovvero che il Garraffa potesse conoscere quanto dichiarato dal Messina. Siccome il presupposto non è provato in alcun modo e non vi è alcun indizio che lo indichi esistente, il presupposto cade e l’ipotesi cade insieme al presupposto. È una ipotesi assolutamente astratta perché non si vede come queste dichiarazioni potessero essere conosciute dal Garraffa.” Inoltre “il Garraffa non fu sottoposto a nessun procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa, evidentemente proprio per l’inefficacia indiziaria delle affermazioni del Messina.”

”L’altra affermazione che viene fatta per contestare l’attendibilità di Garraffa concerne il fatto che egli non confidò a nessuno […] alcuni particolari [della vicenda]. Quest’affermazione è smentita perché […] si tratta di una vicenda che riguarda Cosa nostra, è una vicenda delicata ed è quindi ovvio che a secondo che si parla non si può narrare tutto per filo e per segno.”

“Il teste Valentino Renzi ha confermato di avere appreso dalla viva voce del Garraffa, il quale l’aveva convocato nel suo studio, che qualcuno gli aveva consigliato di adempiere all’impegno assunto con Publitalia e di avere avuto modo di constatare che in quelle occasioni il Garraffa appariva abbastanza preoccupato.”

Un altro teste, Giuseppe Vento, commissario della Pallacanestro Trapani in quel periodo “dichiara che il Garraffa gli aveva chiesto di pagare la Birra Messina perché era disperato in quanto gli erano state rivolte, per costringerlo a versare gli 800 milioni, vere e proprie minacce provenienti da ambienti malavitosi e che il Garraffa aveva una preoccupazione tale da fare pensare che le minacce gli fossero state rivolte da soggetti di notevole spessore criminale.”

Quanto all’impegno preso dal Garraffa, secondo la difesa, di restituzione in nero in favore della ditta sponsorizzata, il pg si chiede: “questi fatti scriminerebbero il comportamento del dottor Dell’utri, nel senso che egli avrebbe il diritto di dire al suo interlocutore guardi che abbiamo uomini e mezzi per costringerla a pagare?”

Il pg passa poi alla presunta estraneità di Dell’utri alla vicenda, sostenuta da suoi avvocati. “Se il problema c’era […] e Dell’utri era estraneo all’operazione, perché mai Vincenzo Garraffa era così cocciuto da incaponirsi a voler risolvere la questione proprio con Dell’Utri e non con i funzionari della Dreher [la società Birra Dreher Spa, in cui la Birra Messina è entrata nel 1988, nda] che era la ditta interessata? E perché indicò proprio Dell’utri come mandante della successiva visita che egli avrebbe ricevuto da Vincenzo Virga? Avrebbe potuto, e sarebbe stato più logico, indicare qualcuno della Dreher. […] La difesa [ha giustificato queste questioni] dicendo che il Garraffa aveva sviluppato un astioso livore nei confronti dell’imputato.”

Vincenzo Sinacori, uomo d’onore trapanese, […] ha detto di avere ricevuto mandato da Matteo Messina Denaro, che era il capo della commissione provinciale di Cosa nostra trapanese, di riferire al capo mandamento Vincenzo Virga - quello che poi fece la visita a Garraffa -che doveva contattare il Garraffa perché costui doveva dare ai Palermitani 6-700 milioni per una cosa di pubblicità. Sinacori [aveva saputo che a questo recupero di somme era interessato Vittorio Mangano e “forse” Marcello Dell’Utri].”

“La vicenda rivela il persistere del rapporto con Mangano e soprattutto la capacità dell’imputato di interagire con il sistema criminale che egli è stato capace di piegare al proprio interesse nell’ottica di uno scambio di favori, che bene il giudice di primo grado evidenzia nelle sue conclusioni finali, reso palese anche dalle parole di Patti Antonio, uomo d’onore di Marsala, il quale apprese da Vito Parisi, uomo d’onore di Paceco, con cui era ristretto in carcere in regime di 41 bis che Dell’Utri “l’avievamu né manu”. E lo apprese nel corso di una discussione in cui i detenuti, ristretti in regime di 41 bis, si sperava che qualcuno di questi “tipo” Dell’Utri arrivasse a levare questo 41 bis.”

 

Commenti all'articolo

  • Di Chucko (---.---.---.228) 28 ottobre 2009 20:25

    Se fosse vero che gli italiani accettano tranquillamente che Berlusconi abbia ospitato nella sua magione un "uomo d’onore" con fedina penale macchiata, adducendo che era un simpaticone che frequentava la Bagicalupo (cosa mi tocca dire), per quale motivo dovrebbero insorgere per le frequentazioni (sia pure assidue) con donnine a pagamento?

    La speranza è che molti non conoscano le vicende oggetto di questi articoli e magari venendone a conoscenza possano rendersi conto della triste realtà italica.... è possibile i politicanti del PD rinfaccino a Silvio le donnette e mai lo stalliere?

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