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Antartide, la vita tra i ghiacciai che si sciolgono

Il mare di Ross ha ora la sua area marina protetta, culla di 16mila specie. Ma lo scioglimento dei ghiacci non si ferma e le popolazioni di pinguini antartici potrebbero crollare a meno della metà entro il secolo.

di Eleonora Degano

Il 2016 è stato un anno intenso per l’Antartide. Il mare di Ross ha finalmente la sua area marina protetta e il progetto PolarGAP ha svelato i primi segreti dell’area del Polo Sud inaccessibile ai satelliti, scovandovi un enorme bacino di oltre mille chilometri che va dal mare di Weddell fino al polo e ha un ruolo chiave nella regolazione del flusso di ghiaccio che raggiunge l’oceano. Ma non sono mancate le cattive notizie. Le due specie di “veri pinguini” antartici, il pigoscelide di Adelia e il pinguino imperatore, sembrano destinate all’estinzione. E il ghiacciaio più grande del continente, il Totten Glacier, si sta sciogliendo a ritmo serrato, investito ogni secondo da 220 metri cubi di acqua calda dell’oceano. La sua massa diminuisce di 63-80 miliardi di tonnellate ogni anno nonostante si trovi nella parte orientale del continente, quella più “inaccessibile” e considerata finora meno minacciata dall’aumento delle temperature, più stabile grazie all’enorme quantità di ghiaccio ancora presente.

Più grande degli interi Stati Uniti e anche dell’Europa, con i suoi 13,8 milioni di chilometri quadrati il continente antartico ci sembra comunque una fortezza lontana. Un inespugnabile palazzo di ghiaccio su un enorme deserto polare, inospitale e quasi privo d’acqua liquida, spoglio di vegetazione. Ma per i cambiamenti climatici in corso su scala globale anche l’Antartide sta pagando un caro prezzo, che i dati da satellite hanno permesso di quantificare specialmente nella parte occidentale del continente. Più di 20 anni di osservazioni hanno mostrato che i ghiacciai più grandi, Pine Island, Smith, Kohler, Pope e Thwaites diventano sempre più bassi, perdendo fino a sette metri in altezza ogni anno. Tutti e cinque si estendono nel mare di Amundsen e giocano un ruolo cruciale nell’innalzamento del livello degli oceani: ogni anno perdono tra i 120 e i 140 miliardi di tonnellate di ghiaccio, il che li rende in grado, da soli, di contribuire a un incremento di oltre 0,30 millimetri.

Un successo per la cooperazione internazionale

Quasi tutta l’Antartide è coperta dal complesso glaciale più grande del pianeta; è lo scrigno di un buon 80% dell’acqua dolce sulla Terra, ma anche un complesso di ecosistemi delicati e poco resilienti. Che hanno vissuto a lungo in isolamento anche dalla presenza umana, al riparo dal turismo e dagli interessi e dalle pressioni di pesca, intense rotte commerciali ed esplorazioni sottomarine alla ricerca di idrocarburi. La cooperazione internazionale ha raggiunto un ottimo traguardo nell’ottobre 2016, quando i 24 Paesi della Commission for the Conservation of Antarctic Marine Living Resources e l’Unione Europea hanno istituito un’area marina protetta di 1,55 milioni di chilometri quadrati nel mare di Ross. Gran parte di questo nuovo “santuario”, grande due volte la Spagna, sarà un’area no-take: vietata ogni forma di pesca commerciale.

“È un gran giorno per la biodiversità dell’antartide”, ha commentato Carl Gustaf Lundin, direttore del Global Marine and Polar Programme dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). L’istituzione dell’area protetta è stata una delle tematiche centrali al meeting annuale dell’organizzazione, tenutosi alle Hawaii a settembre. “Il fatto che le aree protette nel mare di Ross si trovino in acque internazionali fa ben sperare che trattati simili possano essere ratificati anche per altri hotspot di biodiversità marina, in zone non comprese nelle giurisdizioni nazionali. In ogni caso, le negoziazioni in corso in merito a un accordo di implementazione della Law of the Sea [United Nations Convention on the Law of the Sea] non devono interpretarlo come un indicatore del fatto che la protezione dovrebbe essere a tempo. La IUCN crede in aree marine protette che restino tali per sempre”.

La decisione di istituire l’area protetta nel mare di Ross ha invece una scadenza, perché tra 35 anni la commissione dovrà riunirsi e stabilire se rinnovare lo status. In ogni caso c’è fiducia che i membri prenderanno la decisione giusta: la conservazione di un ecosistema e delle specie che ospita (in questo caso almeno 16 000) si fa sul lungo termine, con lungimiranza. Il mare di Ross, infatti, è considerato dagli scienziati il Serengeti antartico, anche chiamato “The Last Ocean”, l’ultimo oceano del pianeta a non aver ancora subito le conseguenze delle attività umane in modo importante. Le sue acque sono ricche di nutrienti e di creature straordinarie, come foche leopardo e foche mangiagranchi, orche, balenottere minori e balenottere comuni antartiche, pinguini imperatore e pigoscelidi di Adelia.

Sopravvivere in Antartide su un pianeta che si scalda

Queste ultime due specie, considerate i “veri pinguini” antartici, sono tra quelle che più stanno risentendo dei cambiamenti climatici. Già nel 2009 le stime avevano previsto un crollo del numero di pinguini imperatore entro questo secolo, ma ora i pigoscelidi di Adelia sembrano destinati a seguire la stessa sorte: arrivati al 2099 le loro popolazioni potrebbero essersi ridotte fino al 60%. I due fattori che più preoccupano gli scienziati sono entrambi correlati al riscaldamento globale: la scarsa disponibilità di cibo e i cambiamenti climatici, che potrebbero rendere sempre più complicato nidificare. I pigoscelidi fanno il nido e depongono le uova sul terreno, un substrato che solitamente è arido e freddo, ma potrebbe cambiare con l’aumento delle precipitazioni. Un terreno bagnato e la formazione di pozze sono fatali per uova e piccoli dal piumaggio non ancora idrorepellente, destinati se bagnati a morire di ipotermia. Il mare di Ross e quello di Amundsen potrebbero essere le due ultime spiagge per la specie, che è sopravvissuta su un continente così poco ospitale, adattandosi, per oltre 40 000 anni.

La scarsità di acqua liquida in Antartide rende la vita sul continente particolarmente estrema, ma gli organismi che ci vivono si sono adattati dotandosi delle più ingegnose strategie, come molecole anti-gelo per isolarsi dal freddo (per esempio gli acidi lichenici), ma anche rinunciando a elementi troppo costosi per climi simili. Tra le creature più affascinanti ci sono infatti gli icefish o pesci ghiaccio, la famiglia dei Cannictidi, che hanno rinunciato a globuli rossi ed emoglobina. L’acqua viaggia su temperature sempre molto basse (fino ai -2°C) e ha alti valori di ossigeno disciolto, il che contribuisce a permettere a questi pesci di farlo arrivare a organi e tessuti in soluzione.

L’acqua in forma liquida sul continente è molto scarsa, ma nondimeno ha permesso la vita di colonie di alghe azzurre e di un gran numero di piccoli organismi che svolgono l’intero ciclo biologico in Antartide, come protozoi, muschi, licheni, batteri, rotiferi, tardigradi. Molti si sono adattati a vivere in anidrobiosi, una condizione che permette di prevenire l’essiccamento ma anche la formazione di cristalli di ghiaccio nei tessuti. Molti uccelli compiono parte del loro ciclo qui, ma sono gli ambienti costieri – dove l’alternarsi delle stagioni è più marcato – che ospitano un gran numero di organismi come foche, pinguini, crostacei, cefalopodi, pesci. D’estate questi ambienti si arricchiscono di fitoplancton e zooplancton, di spugne, anellidi, molluschi ed echinodermi. Ma il vero anello cruciale della catena è assai piccolo, pochi centimetri appena. È il krill.

Questo termine indica un insieme di crostacei (ordine Euphausiacea) che nutrono uccelli, pesci, foche, cefalopodi e cetacei: tra i misticeti, cioè i cetacei dotati di fanoni, un adulto può mangiarne anche tre tonnellate al giorno. A loro volta sono sostentati dalle microalghe, che proliferano nella primavera australe quando ci sono più ore di luce, e dunque maggiori quantità di nutrienti nell’acqua. Ogni chilometro quadrato, durante questa stagione, può ospitare milioni e milioni di questi crostacei, che continuano a riprodursi fino all’arrivo dei cetacei, in estate.

Il ritorno delle megattere

Uno degli aspetti più sorprendenti al riguardo, legato al cambiamento climatico, è che negli ultimi anni varie specie hanno iniziato a modificare i loro spostamenti. Le maestose megattere e le balene della Groenlandia sembrano per ora trarre addirittura benefici dal riscaldamento delle acque. Il fatto che il ghiaccio si ritiri rende loro più facile trovare cibo, un fattore che, insieme al divieto di pesca commerciale in vigore dal 1966, ne ha favorito il recupero. Esattamente l’opposto di quanto le temperature in aumento comportano per altre specie come gli orsi polari, che muoiono di fame su coste spoglie dal ghiaccio.

Gli scienziati hanno iniziato a notare questo cambiamento nel 2009, quando le acque di Wilhelmina Bay, una baia di circa 24 chilometri, pullulavano di megattere, oltre 300 individui intenti a banchettare in mezzo al krill. In passato uno scenario simile sarebbe stato impossibile, perché la baia si copriva letteralmente di ghiaccio e nessun cetaceo vi si spingeva in cerca di cibo nei mesi più freddi. Ora il ghiaccio arriva due mesi più tardi rispetto agli anni Settanta del secolo scorso e si ritira con almeno un mese d’anticipo, permettendo alle megattere di trattenersi molto più a lungo. Secondo l’ecologo Ari Friedlaender dell’Oregon State University Marine Mammal Institute, intervistato da National Geographic sul suo studio a lungo termine sulle popolazioni di cetacei in Antartide, non è da escludersi che stiano iniziando a riprodursi direttamente in quelle acque, senza più migrare verso Nord. Per saperne di più sarà necessario aspettare qualche anno, probabilmente, ma una cosa è certa. Le balene stanno facendo ritorno su un pianeta che non è più lo stesso di quando la caccia le ha quasi spazzate via. E si tratta di uno degli effetti imprevedibili, ancora tutti da esplorare, del cambiamento climatico.

@Eleonoraseeing

Questo articolo è stato pubblicato qui

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