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Anime Nere

E’ possibile per chi vive in ambienti dove il regolamento di conti è natura, tradizione, modo di affermare la propria identità desiderosa di “rispetto” e il proprio coraggio, sovvertire la regola ed esimersi dalla vendetta?
 

 

 
Sarebbe possibile ma è difficile, sembra dire il film di valore Anime nere di Francesco Munzi (dal libro di Gioacchino Criaco). Il valore consiste nel tema che – a me pare – il regista vuole porre, ma anche nell’immagine rimandataci di un certo Sud, un angolo della Calabria in questo caso, una fiction che è quasi documentario di piccola grande malavita, veritiero nelle inflessioni, nel suo dialetto (sottotitolato), tradizioni, riti, costumi e celebrazioni di funerali con comari piangenti ed oranti, con traffici di droga ed armi che fanno spesso tenere agli abitanti relazioni con l’”estero”: Milano, Marbella, Sud America, Olanda. Mentre Baarìa rappresentava una Bagheria in carta patinata, più favola che cronaca, il film di Munzi mostra Afrìco nella Locride così com’è, le case tirate su e i piani superiori ancora da finire (secondo il denaro disponibile), i paesi d’Aspromonte cadenti e del tutto svuotati, che servono da rifugio o da sede di piccoli “summit”, anche malavitosi.
 
La difficoltà di esimersi da quell’obbligo nel film è suggerita dalle parole di un anziano signorotto locale, un “verme” lo definisce Luciano parlando con sua moglie: “Siti u primu de frati e nun sapiti nenti?”. Come a dire che Luciano, primo dei fratelli Rocco e Luigi, dovrebbe agire di concerto con loro, o quelli e suo figlio di concerto con lui, essere informato degli “affari di famiglia”. In realtà lui ha preso una strada diversa, cura il suo gregge, si dedica a una personale devozione religiosa, vuole star lontano da faide e conflitti e non sa tenere a freno nemmeno l’irruente e sconsiderato figlio Leo, il quale si sente ormai uomo, libero di vivere la vita che vuole, quella per esempio dell’uomo forte e rispettato come gli appare zio Luigi. In questo ruolo non poteva esserci attore più indovinato, Marco Leonardi, che sembra incarnare perfettamente - nelle movenze, perfino nella statura, nei sorrisi alla volta enigmatici o rassicuranti - la figura di un boss locale ma con affari e residenza a Milano, dove risiede pure Rocco, sposo di Valeria (Barbora Bobulova). Altro personaggio significativo è quello della mamma dei tre, l’anziana Rosa-Aurora Quattrocchi - perfetto e ancora una volta ben interpretato il ruolo di mamma del sud - che ebbe il marito Bastiano ucciso da un clan avverso. Memorabile e tipico il suo sputo allo sbirro. Rivediamo anche Sebastiano Filocamo, autonarrante protagonista del bel film Tutti i rumori del mare, qui nella parte del figlio del capo di un clan rivale o amico, secondo convenienza.
 
Le anime, più che nere, sono come la natura che qui è sporcata dal degrado, soprattutto morale, uomini che se da un lato si sono guadagnati rispetto, timore altrui, piccoli poteri, Land Rover Audi Bmw e le appariscenti e classiche catene d’oro al collo (con esse viene in mente la scena iniziale di Gomorra), dall’altro vivono qualcosa che non è “più una vita, ma un vivere la morte”, lo dice il prete nell’unico funerale che si vede nel film. La difficoltà di Luciano – in questo ruolo un riflessivo e naturale Fabrizio Ferracane, poche parole ma una capacità espressiva fortissima - di isolarsi e non partecipare a queste guerre quasi ataviche, deriva soprattutto dalla logica familiare. Rocco, “sceso” da Milano per l’uccisione di Luigi, pronuncia l’archetipica formula meridionale, “La devono pagare, quant è vero Gesù Cristo!”: il connubio tra religione e malavita è del resto tradizione, ne hanno scritto molto, tra gli altri, Nicola Gratteri in Acqua Santissima e Petra Reski in Santa Mafia. Il vero regolamento di conti viene compiuto proprio da Luciano dunque, ma è tutto interno alla sua famiglia, parrebbe voler estinguere quella logica di guerre tra clan, quel modo di vivere e di pensare. Ha uno sguardo stralunato verso sua moglie dopo aver sparato, pare scusarsi e pare avere un’espressione di saluto negli occhi, o addio alla vita.
 
 

 

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