Anche per l’Onu le leggi contro la blasfemia vanno superate
Un nuovo report diffuso dal relatore speciale sulla libertà di religione e credenza per il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite da Ginevra evidenzia la necessità di affrontare a livello mondiale l’odio e la discriminazione fomentati sulla base delle religioni.
Un problema aperto e sentito che in varie parti del mondo crea lesione dei diritti e mette a rischio la vita di molti, considerato che sono vigenti tuttora norme che condannano la blasfemia verso le fedi maggioritarie. Leggi impongono il silenzio alle critiche e a qualsiasi parere non allineato, portando anche alla condanna apostati, credenti e non credenti.
Proprio in sede Onu sono in special modo i paesi a maggioranza islamica, talvolta con il sostegno del Vaticano, a spingere per un riconoscimento generalizzato del reato di blasfemia, cercando di imporre una protezione privilegiata per la fede religiosa. Per arginare questi tentativi confessionalisti è costante l’impegno dell’International Humanist and Ethical Union (di cui fa parte anche l’Uaar) presso le Nazioni Unite.
Sulla base del Rabat Plan of Action, elaborato dall’Onu proprio per contrastare anche l’incitamento all’odio su base religiosa, si raccomanda agli stati di abrogare le leggi contro le presunte offese alla fede, dato che “hanno un impatto opprimente sul godimento della libertà di religione e credenza, sul sano dialogo e sul dibattito sulla religione”.
Queste norme “hanno in genere un effetto di intimidazione sui membri delle minoranze religiose come sui critici o i dissenzienti”, ricorda il relatore, sulla base delle proprie esperienze nel trattare la questione. E come tristemente ci ricordano casi in tutto il mondo negli ultimi anni, sia contro i cristiani nei paesi dove sono minoranza, sia verso i non credenti che osano dichiararsi pubblicamente.
Nel report odierno si cita il riconoscimento, da parte della Commissione per i diritti umani nel 1993, che la libertà di religione o credenza debba applicarsi non solo ai culti ma anche a convinzioni “non-teistiche e atee”, come al “diritto di non professare una religione o un credo”. Si avverte che i singoli stati devono farsi garanti dei diritti umani anche su questo fronte, con una “struttura inclusiva in cui il pluralismo di religioni e credenze possa realizzarsi liberamente e senza discriminazioni”.
Per fare ciò, occorre “superare impostazioni esclusiviste”, prima fra tutte l’idea che lo stato “si identifichi in una particolare religione o credenza a danno di un trattamento eguale e non discriminatorio”. Rischio che è presente non solo negli stati palesemente teocratici o con una religione ufficiale ma anche, si ricorda, “in molti apparentemente neutrali dal punto di vista religioso o laici”, dove i governi “possono essere tentati di invocare una particolare religione come base di legittimazione politica o col proposito di mobilitarne i seguaci”, facendo leva sull’impatto emotivo.
Ma “numerose esperienze” dimostrano come “l’uso della religione in senso identitario e politico alimenti seri rischi di discriminazione verso le minoranze”, spesso verso immigrati o nuovi movimenti accusati di minare la coesione interna.
Quindi il modo per uscire dalla spirale dei conflitti religiosi passa anche nell’abolizione delle leggi che condanno la blasfemia e da riforme che garantiscano libertà e laicità. Quello che si chiede in sede Onu è quello che chiediamo anche noi: ovvero che non sia punita l’espressione della critica alla religione e l’affermazione della propria non credenza e che gli stati non si ergano a difensori di una religione particolare, come purtroppo ancora avviene specie in diversi paesi a maggioranza islamica.
Ma non solo, perché se in Grecia Filippos Loizos è stato condannato a dieci mesi con la condizionale, colpevole di aver fatto satira sul monaco Paisios, figura venerata dagli ortodossi. Lozios era stato denunciato dal deputato Christos Pappas, esponente del partito di estrema destra Alba Dorata, accusato a sua volta per associazione a delinquere.
Intanto il poeta di origine palestinese Ashraf Fayad è stato arrestato per la seconda volta in Arabia Saudita. Tra i vari capi d’accusa c’è l’ateismo e, pare, essersi fatto crescere i capelli troppo lunghi e aver ripreso la polizia morale mentre fustigava un uomo sulla pubblica piazza. Le sue poesie sarebbero offensive verso la religione, a detta di chi lo ha denunciato; per il reato di apostasia rischia la pena di morte e al suo caso si sono interessati a livello internazionale tanti attivisti dei diritti umani.
Per Lozios, Fayad e purtroppo per tanti altri è importante impegnarsi al fine di ottenere l’abolizione nel mondo del reato di blasfemia. Non sarà facile, ma un passo avanti è stato nel frattempo compiuto.
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