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 Home page > Tribuna Libera > Alfano, il processo a Gesù insegna

Alfano, il processo a Gesù insegna

Scriveva, tanti anni fa, il dotto filosofo Filone (17 a. C – 42 d. C.), che “c’era in Alessandria un povero pazzo che si chiamava Karabas”.

Fu trascinato, il povero demente, fino alla palestra dove "fu fatto salire sopra un palco ben alto perché tutti potessero vederlo. A guisa di corona gli misero sul capo un cesto sfondato e sulle spalle, come mantello, un ruvido tappeto; poi un tale, vedendo un giunco lungo la strada, lo strappò e glielo mise in mano a guisa di scettro. Dopo averlo così decorato con le insegne della regalità, come se fosse un buffone da teatro, alcuni giovani con dei bastoni in spalla formarono intorno a lui la guardia del corpo, mentre altri venivano ad inchinarsi davanti a lui, a chiedergli giustizia, a consultarlo sugli affari pubblici…”

Al contrario non c'è negli scritti filoniani alcun accenno alla vicenda di un predicatore itinerante di nome Yeshuah Bar-Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) nella Palestina del tempo (Filone morì, sembra attorno al 50 d.C., e visse quindi proprio in contemporanea con i fatti raccontati dai Vangeli). Eppure era un erudito sempre ben informato di quanto succedeva nel vasto mondo.

Così la vicenda che noi conosciamo come la storia di un uomo chiamato Gesù di Nazareth, detto il Cristo, cioè l'unto dal Signore, ci è solamente raccontata dai Vangeli: "Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: «Salve, re dei Giudei!»":

Ma non sappiamo se sia una storia con qualche traccia di verità, di cui Filone fosse rimasto misteriosamente all’oscuro (a parte naturalmente la questione dell'incarnazione di Dio in quell’uomo, vicenda che a me continua a sembrare piuttosto poco credibile). Oppure se non si tratti piuttosto di una curiosa manipolazione del triste racconto di Karabas l’egiziano, magari passata di bocca in bocca, fra un boccale e l’altro, nelle lunghe serate mediorientali, quando stesi sui tappeti nella tremolante luce delle lucerne, avvolti dalle spire di fumo di misteriose erbe aromatiche gettate nei bracieri, veniva raccontata la sua storia che via via si arricchiva, grazie alla immaginifica fantasia degli affabulatori e allo scorrere del vino, di particolari sempre nuovi, pregni di sorprendenti fatti e miracolistici avvenimenti, ornata sempre più di vicende di comete e di Re, di sangue e di amori, di amicizie e di inganni e di pesci che si moltiplicavano e di acque tramutate in vino, di morti che resuscitavano e di immense folle acclamanti e di barche e di uomini violenti e sanguinari e di baci e di tradimenti e di donne piangenti e di prodigi e di sventure; e di danari sonanti e scudisciate sibilanti e lacrime e croci di legno e luminosa gloria e meraviglia e soldati genuflessi e squarci nelle nubi e invocazioni disperate e infine di stupefacenti ascensioni, incredibile a dirsi, nell'alto dei cieli.

Insomma, la storia del Cristo era quella di Karabas diventata mistico racconto del prodigio divino nelle parole di inebriati favoleggiatori o la storia di Karabas è quella del Cristo svilita, derisa e resa ignobile farsa dagli astiosi, maligni nemici della parola?

La domanda, che assilla da così tanto tempo, torna impellente oggi nell’attualità politica del nostro povero, martoriato paese.

Perché l’integerrimo vice Presidente del Consiglio ed esemplare Ministro degli Interni che tutto il mondo (quello kazako in particolare) ci invidia, ha ricordato al popolo italiano che il “l'esempio di Cristo evidenzia l'esigenza di un giusto processo e i limiti di un giudizio popolare”, riferendosi alle note vicende del suo leader considerato reo di illecite operazioni fiscali, benché si sapesse bene che anche lui era stato "unto dal Signore".

E che, quindi, bisogna avere l’umiltà di abbassare la testa in segno di rispetto verso una più alta forma di giustizia. Una giustizia superiore in cui ai giusti sarà concessa grazia e ai reprobi la condanna, giustizia che non si può davvero ottenere qui in terra dove siamo tutti, magistrati in primis, vittime della finitudine umana: questo il senso trasmesso dalle sue parole.

Ma, resta il quesito; egli si riferiva alla vicenda di quel fantomatico Cristo, raccontata dagli affabulatori dei secoli successivi sulla base di ricordi forse un po’ confusi ed alterati dal tempo e dal vino, o alla storia puntigliosamente annotata, nel momento storico in cui avveniva, dall'erudito cronista egiziano?

Il Ministro ha parlato del processo all’uomo-dio adorato dai cristiani o alla vicenda del povero pazzo egiziano del racconto di Filone?

Il legame storico tra le questioni del Cavaliere, per il quale il Ministro spende tante impegnative parole, e l’Egitto è noto: si tratta della mai dimenticata signorina nipote di quell'uomo di potere, recentemente rilasciato dalla giunta militare in quanto “Zio di Ruby Rubacuori”. E questo nesso geografico con il paese dei faraoni sembra essere indicativo: non alla vicenda del Cristo si riferiva davvero il prode Alfano, ma a quella, miserevole, del povero Karabas la cui insanità mentale lo condusse alla gogna, con i simboli della sua fantasticata regalità: un cesto in testa, uno straccio come mantello e un giunco in mano.

Poi, così decorato come un buffone da teatro, se ne andava in giro ed “alcuni giovani con dei bastoni in spalla formarono intorno a lui la guardia del corpo, altri vennero ad inchinarsi davanti a lui, a chiedergli giustizia, a consultarlo sugli affari pubblici”. E vennero anche a ricordare a tutti che non c'è giustizia in questo povero mondo mortale...

Ma, naturalmente, come non ricordare - prendendo per buono l'esempio citato dal prode Alfano - che il processo a Gesù fini come finì proprio perché non seguì le regole di una magistratura indipendente capace di indagare ed applicare la Legge senza guardare in faccia a nessuno, seguendo regole ben precise e prestabilite, in modo autonomo dalla volontà dei potenti o dalle tendenze umorali di una folla sovreccitata.

Alla fine la drammatica alternativa fu tra la liberazione di Yeshuah Bar-Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) e quella di Yeshuah Bar-Abbâ (Gesù figlio del Padre), che noi conosciamo come Barabba; alternativa (oltremodo misteriosa) che il prefetto Ponzio Pilato offrì al popolo in ebollizione. Con i risultati che sappiamo.

Repetita iuvant: con i risultati che sappiamo. Quindi, occhio.

Foto: Jeffrey/Flickr

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.197) 26 agosto 2013 11:24

    Certo che ci vuole un bel coraggio ad imbarcarsi in un paragone Biblico del genere .
    Ma lo sai o non lo sai che siamo in un paese confessionale ? Guarda che rischi l’accusa di blasfemia . Adesso vado a riferire tutto a Buttiglione che poi lo dice a Papa Francesco e saranno cavoli tuoi .

    E poi accostare il povero pazzo di Filone ,addobbato da buffone di teatro , al Gesù di Nazareth dei cristiani e al Cavaliere di Arcore dei "malagente " (che in privato si fa chiamare proprio Gesù -guarda la combinazione) è di una cattiveria inaudita .

    Però a pensarci bene è incredibile come i ricorsi storici riescano a riprodurre realtà simili distanti migliaia di anni . Vuoi vedere che il mondo cambia ma gli uomini sono sempre quelli ?
    Chissà come si chiamava l’Alfano di allora , Ponzio Pilato non direi perché quello se ne lavò le mani ,questo le tiene bene in pasto , anche troppo .
    complimenti- ciao

  • Di (---.---.---.251) 7 gennaio 2014 19:21

    Gli ebrei volevano uccidere Gesù, ma non potevano, Pilato poteva condannarlo a morte, ma non voleva, Erode tratto Gesù come fosse il protagonista di un carnevale ebraico (Purim), i soldati romani come se fosse il protagonista di un carnevale romano (saturnali), la scelta tra i due prigionieri famosi riecheggia vecchi riti mediorientali di feste primaverili in cui un dio muore e l’altro vive. Barabba più che un nome proprio, che probabilmente era Gesù, potrebbe essere un titolo relativo ad una funzione ed in ogni caso coincideva con l’imputazione relativa a Gesù: essersi proclamato Figlio del Padre. Per questo Michelangelo quando dipinse il Giudizio Universale per Gesù giudice riprese la figura di Aman (protagonista del carnevale ebraico) dipinta precedentemente nella volta della Cappella Sistina? Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie. 

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.161) 7 gennaio 2014 20:49
      Fabio Della Pergola

      Tutta la ricostruzione è evidentemente mitica. Se fosse stata reale ce ne sarebbero tracce nella letteratura romana o ebraica dell’epoca, cosa che non è. Dovranno passare decenni perché qualche testo (lettere di Paolo) parlino della vicenda della resurrezione e ancora più tardi nei Vangeli. Solo a distanza di molti decenni ci sono evidenze in testi non cristiani, che sono delle evidenti ripercussioni dei testi cristiani.

      Il caso della richiesta al popolo di decidere chi dovrà morire - se Yeoshua (o Yeshu) bar Yosef (figlio dell’uomo Giuseppe) o Yeoshua (o Yeshu) bar Abba (figlio del Padre) cioè Barabba - è chiaramente simbolica. Il popolo decide che il Figlio dell’Uomo deve morire per compiere la funzione di dare la vita per la redenzione dell’umanità gettata nella peccaminosità dalla trasgressione di Adamo. Mentre il Figlio di Dio dovrà vivere, cosa che avviene poi con la Resurrezione.

      Siamo in una dimensione che forse si comprende solo nell’ottica degli studi sul misticismo di Vannini. Comunque grazie per i suggerimenti.

      FDP

  • Di (---.---.---.202) 9 gennaio 2014 18:37

    Mitica mica tanto. E’ il sacrificio di Gesù che ha raccolto tutti i miti contemporanei in se portandoli a compimento e alla contemporanea dissoluzione. In un processo ricorsivo speculare, tipico di Gesù, e dei geni in generale e in particolare di Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti. Ciao e grazie,

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.161) 9 gennaio 2014 18:44
      Fabio Della Pergola

      ...è il sacrificio dell’uomo carnale che ha raccolto tutti i miti contemporanei portandoli a compimento nella resurrezione allo spirito e nello spirito, in un processo mistico che fa del totale distacco da sé e nella morte dell’anima la verità del totale assoluto del vero cristianesimo...insomma un’invenzione della metafisica greca. Grazie a te e ciao.

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