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Sempre pochi gli studenti stranieri che scelgono l’Italia come meta universitaria

 

Se la Germania in questi ultimi mesi sta facendo i conti con l'ondata migratoria proveniente dai Paesi fanalini di coda dell'Europa, l'Italia, che tra le altre cose rientra in questa categoria (ben il 40% dei migranti in Germania sono italiani), sta attraversando un fenomeno di svuotamento delle università anche da parte degli studenti stranieri.

Come rilevato dal West (quotidiano sulle politiche sociali europee, http://www.west-info.eu/it/), il numero delle iscrizioni di studenti stranieri nelle università italiane si aggira circa a 80.000 (periodo di riferimento a.a. 2011/2012), cifra ripartita per lo più da studenti albanesi, cinesi, camerunensi, iraniani e peruviani.

I dati sono stati fotografati nel 6° rapporto EMN Italia, il quale rileva la presenza di un gap "d'attrazione" del bel Paese per gli studenti; se la "dimensione calda" dell'Italia, quella della cultura, del clima e della sua storia, nonché di tutta una serie di fattori che seducono e influiscono la scelta degli studenti, la "dimensione fredda", quella che riguarda tutta la burocrazia, le risorse finanziarie, le pratiche amministrative e quant'altro, destabilizzano in maniera rilevante l'organizzazione e l'efficienza delle università italiane.

Nonostante il continuo avanzamento percentuale degli stranieri che scelgono di studiare in Italia stia crescendo (2007/2008 al 3%, 3,2% nel 2008/2009, 3,4% nel 2009/2010, 3,6% nel 2010/2011 e 3,8 nel 2011/2012) dello 0,2% ogni anno, il divario rispetto le altre nazioni europee resta grande. Per esempio la Germania aumenta a vista d'occhio: dal 2000 al 2011 le università tedesche hanno ospitato circa 725.000 studenti stranieri. Il portavoce del Governo tedesco, Steffen Seibert, ha descritto la politica culturale all'estero come una colonna portante della politica tedesca all'estero, appropriata per trasmettere un'immagine positiva della Germania nel mondo. Per questa forma di dialogo interculturale, il Governo tedesco aumenta la disponibilità di mezzi finanziari di anno in anno. Solo l'anno scorso sono stati stanziati 1,6 miliardi di Euro contro 1,48 miliardi di Euro nel 2011.

Nelle conclusioni del 6° rapporto EMN raccomanda che il “sistema Italia” si debba configurare attrattivo anche a livello professionale e si debba presentare come uno sbocco promettente per una maggiore quota di studenti internazionali che hanno compiuto o completato qui la loro carriera, facendo dell’Italia una “azienda internazionale”, cosa che già attualmente avviene ma solo a livelli più bassi o per realtà ristrette.

La realtà è anche più tragica però. Il "sistema Italia" dell'università e della ricerca non ha un piano competitivo in questa materia, e non solo in questa ovviamente. Le possibilità e le risorse finanziarie non sono efficaci a garantire una permanenza degli studenti stranieri anche dopo la laurea italiana. Il costo della vita e la crisi economica poi, defatigano ulteriormente le opportunità di studio e vita in Italia.

In un paese che ha come uno dei fondamentali problemi da risolvere il fenomeno della "fuga dei cervelli", se vuole cominciare realmente e con i fatti ad essere un competitor a livello europeo, il quadro presentato delinea una ulteriore piega sulla quale riflettere. 

Non basta essere il Paese della cultura e della civiltà antica, il Paese dell'arte e della cucina, il Paese dei grandi uomini del passato; si resta troppo arrancati a questo passato che immobilizza la crescita qualitativa del paese dal punto di vista economico e culturale, per non parlare di quello politico. Il bel Paese, agli occhi del mondo esiste solo in vacanza, ma ormai forse neppure più sotto questo aspetto. Se ad un cittadino non italiano che ha scelto noi come investimento per la sua vita umana e professionale non gli si dà quegli strumenti necessari alla sua formazione all'interno del territorio, se l'ambiente in cui questi vive e studia è pieno di difficoltà, delle più piccole difficoltà che diventano muri insormontabili, se la sua permanenza non è proficua né per egli stesso né per noi dal punto di vista sociale e se non si cerca di valorizzare questa risorsa, lo slancio italiano non partirà mai; farà solo quei due o tre passi indietro, aspettando inutilmente di compiere questo gran salto che ancora tutti stiamo aspettando seduti e comodi.

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