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Adinolfi: il volantino di rivendicazione e la retorica degli anarchici informali

Lo scorso lunedì Roberto Adinolfi, amministratore di Ansaldo Nucleare, è stato gambizzato a Genova. In un primo momento sembrava di essere tornati in una giornata qualsiasi del 1977: l’attentato ha esalato una zaffata piuttosto stantia di “ideologismo militante”, “partito armato”, “risoluzioni strategiche”, P38 e così via. Poi, l’11 maggio, una lettera di rivendicazione firmata Federazione Anarchica Informale è arrivata al Corriere della Sera, riportandoci immediatamente nel 2012. Riceviamo e pubblichiamo un’analisi fatta da un collaboratore de La Privata Repubblica che preferisce farsi chiamare Domenica.

A leggere il volantino di rivendicazione si riconosce subito che è un testo anarchico, non tanto per una retorica contro lo sviluppo scientifico-tecnologico, tipico di un certo anarco-ecologismo:

Il binomio scienza-tecnologia non è mai stato al servizio dell’umanità; nella sua più profonda essenza mostra il bisogno impellente di eliminare tutto cio che è irrazionale, di disumanizzare, annichilire, di fatto distruggere l’umanità.

Oppure per un mai rinnegato estetismo della violenza – estetizzazione tra l’altro esaltata al massimo nell’opera di Alfredo Bonanno dal titolo assai eloquente (“La gioia armata”, uno dei testi di riferimento dell’anarchismo insurrezionalista):

con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore.

A colpire non sono nemmeno le ragioni che hanno portato a scegliere come obiettivo Adinolfi, che tra l’altro sono liquidate in mezza pagina all’inizio del documento.

La prova dell’autenticità sta nel fatto che, per tre quarti, la rivendicazione non è che una sequela di critiche alle altre organizzazioni anarchiche, in una sorta di gioco al rialzo nel mettersi in mostra in chi è il più rivoluzionario, nel far vedere – le femministe non me ne vogliano – chi ha veramente le palle.

Il presunto nucleo “Olga [Ikonomidou, anarchica greca attualmente in carcere, Nda]” parte con l’attaccare chi porta avanti:

un anarch-ismo ideologico e cinico, un anarch-ismo svuotato da ogni alito di vita che solo nella teoria e nel presenzialismo ad assemblee e manifestazioni trova la sua realizzazione, il tutto invigliacchito da un cittadinismo che puzza di morte.

Lo fa prima indirettamente, poi rivolgendosi apertamente a chi li accusa “di essere velleitari, avventuristi, suicidi, provocatori, martiri”. A quest’ultimi rispondono:

che con le vostre lotte sociali con il vostro cittadinismo lavorate al rafforzamento della democrazia (1).

Qui gli attentatori si riferiscono agli anarchici che fanno lavoro sociale, militando nelle organizzazioni sindacali (l’USI), o in altre associazioni come la Federazione Anarchica Italiana (2). Le critiche che portano avanti possono essere riassunte in “siete dei mollaccioni”:

sempre alla ricerca del consenso senza mai oltrepassare i limiti del possibile e del razionale, l’unica bussola delle vostre azioni il codice penale.

Si prosegue con una filippica verso chi è un rivoluzionario solo a parole, ma nei fatti non fa nulla o si limita “a qualche sporadico scontro di piazza, tanto per mettere a tacere la propria coscienza”, forse riferendosi in questo caso agli anarco-insurrezionalisti che ogni tanto compaiono nelle piazze italiane, come il 15 ottobre scorso a Roma.

Nel testo di rivendicazione ad un certo punto si nota un principio di autocritica:

Sia ben chiaro che è un autocritica quella che facciamo, non ci sentiamo cosi diversi dagli altri anarchici.

Nella frase successiva, tuttavia, compare subito l’autoassoluzione:

Impugnando una stupida pistola abbiamo solo fatto un passo in più per uscire dall’alienazione del non è ancora il momento, i tempi non sono maturi…

Gli anarchici informali del gruppo “Olga” arrivano persino a criticare chi ha spedito plichi esplosivi e quant’altro a Equitalia:

Potevamo colpire alla ricerca del consenso li dove il dente duole per esempio qualche funzionario dell’Equitalia, ma con questa azione non siamo alla ricerca di consenso.

Questa è una critica indirizzata alla stessa area anarchica-informale. A chi vuole continuare con le bombe e chi ha effettuato il salto di qualità: l’uso della pistola. Critica che può essere compresa appieno solo leggendo i verbali di una riunione dell’area anarchico-informale tenutasi a “Paperoli casa di Paperino”, con protagonisti più o meno tutti i personaggi dell’universo Disney e pubblicata qualche anno fa su Anarchaos.

In questa riunione svoltasi nel dicembre del 2006 – e che assomiglia alle riunioni clandestine del capolavoro dello scrittore inglese G. K. ChestertonL’uomo che fu giovedì” (1908) – si faceva il punto della situazione dopo quattro anni di attività. Già allora emergevano due linee strategiche che all’epoca sembravano convivere: quella dell’uso dell’esplosivo (prediletto per la sua spettacolarità) e quella dell’uso della pistola (strumento più preciso e sicuro che non comporta i rischi del maneggiare la dinamite):

ARCHIMEDE PITAGORICO- Secondo me il problema è opposto. Dobbiamo far vedere che facciamo sul serio, che non ci nascondiamo dietro cervellotici ragionamenti e non abbiamo problemi a passare all’attacco anche a rischio di giocarsi la vita!

PAPERINA- Che retorica del cazzo!

ARCHIMEDE PITAGORICO- Lasciami finire, il problema è un altro, abbiamo scrupoli non ci spingiamo mai oltre. Bisogna essere più efficaci, non lesinare con gli esplosivi e non aver paura di rischiare di far male ad una segretaria se l’obbiettivo è uccidere il padrone.

QUO – è una questione di mezzi, bisogna usarne di più selettivi: pistole non esplosivo. Chiunque riesce a procurarsele, noi invece andiamo avanti a dinamite, diserbante e qualche manciata di polvere nera. Io parlo per il nostro gruppo, ne abbiamo già discusso, abbiamo deciso di procurarcele e iniziare ad usarle.

ARCHIMEDE PITAGORICO- Non è questo il problema, io so come fare a farvele avere, da parte mia mi sembra di essere l’unico qui ad agire anche individualmente, per quanto ne so è meglio la buona vecchia dinamite: riesco a gestire tranquillamente l’azione e i tempi di fuga e soprattutto ha un maggiore effetto, spaventa di più insomma. E poi, lo ripeto il rischio di venire presi è molti minore, non possiamo permetterci di cadere siamo pochi e quindi, non ridete, preziosi.

PAPERINA- Bah, a parte salvare i gioielli di famiglia…non credo che i rischi con l’esplosivo siano bassi. Noi non siamo degli esperti, continuo a dirlo, però pur usando tutte le precauzioni del caso, una volta per colpa di un circuito elettrico isolato male stavamo per saltare in aria…non sto scherzando io già quella volta mi ero ripromessa di mollare con le bombe e usare le pistole, non per uccidere però!

ARCHIMEDE PITAGORICO- Come cazzo le vuoi usare, come fionde?

PAPERINA- Colpire senza uccidere è chiaro! Non perché non mi farebbe piacere uccidere qualche porco, ma per il solito, vecchio discorso…Insomma la repressione si scatenerebbe in maniera indiscriminata…

ARCHIMEDE PITAGORICO- La repressione è sempre indiscriminata e poi gli anarchici devono essere pronti a sostenerla, mi dispiace per le retate di compagni, ma è sempre stato così, soprattutto con i giornali, le casse di solidarietà e compagnia bella…

Sono passati quasi sei anni da quella riunione e, osservando le recenti azioni, si potrebbe pensare ad una spaccatura di metodo all’interno dell’area informale. Ad ogni modo, se la rivendicazione è un falso ci troveremmo di fronte ad un capolavoro nel suo genere: il gergo è preciso nei minimi dettagli, e le critiche rispetto alle varie correnti anarchiche sono molto coerenti.

Secondo una certa mentalità anarchica, non è importante quanta gente si riesce a catalizzare, ma solo quanto le proprie azioni sono coerenti secondo la propria ideologia: non importa se si è in quattro, riuniti in uno scantinato. Importa la purezza, e spesso si è invischiati dentro un gioco di reciproche accuse, critiche e frecciatine più o meno velate. Nei testi difficilmente si critica direttamente una specifica organizzazione, gruppo o persona: nel nostro caso si preferiscono giri di parole, come a dire che chi vuole capire, capisca.

Probabilmente ci sono due correnti armate che si stanno fronteggiando in una grottesca partita a poker. A chi ha sparato non gliene fregava nulla delle “colpe” di Roberto Adinolfi, altrimenti non sarebbe stato talmente generico da copia-incollare un profilo del manager compilato dell’Ansa.

Si tratta di un’esibizione, una dimostrazione autoreferenziale – al massimo circoscritta all’interno del movimento anarchico – della propria purezza rivoluzionaria. Ora sono riusciti a fare il colpaccio tanto cercato nella lontana riunione del 2006. O meglio, entrambe le correnti sono riuscite a farlo: chi dilaniando le mani di un direttore locale di Equitalia, chi “azzoppando” l’ad dell’Ansaldo Nucleare.

Per gli amanti della cospirazione, infine, si può notare come la rivendicazione sia arrivata lo stesso giorno della nomina di Gianni De Gennaro a sottosegretario.

Domenica

 

 

  1. Da intendersi non nel senso letterale, ma nel sistema di dominio attuale che i nostri governanti continuano a chiamare democrazia. []
  2. Molti anarchici hanno un rapporto con la FAI simile alla relazione che c’era tra gli autonomi e il Partito Comunista italiano, ovviamente con numeri e partecipazione molto più ridotte. []
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