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A dangerous method

Vale la pena riportare le frasi esatte e le parole, almeno della versione italiana, del film A dangerous method, del 2011, che si suppone il regista David Cronenberg e il soggettista-sceneggiatore Christopher Hampton abbiano voluto preparare basandosi su documenti, fatti, citazioni. Qui è quasi lo stesso soggetto di Prendimi l’anima di Roberto Faenza, film del 2003: “quasi” perché mentre il film di Faenza si concentrava esclusivamente sulla passione tra Sabina Spielrein e Carl Jung, lei dapprima paziente del medico poi sua amante, successivamente da laureata collega-psicanalista sia di Jung che di Freud, il film di Cronenberg, più interessante, dice della stessa passione inquadrata nelle teorie psicanalitiche di inizio del secolo scorso, quelle dei due medici precursori, Freud e colui che ne fu prima allievo poi competitore, Jung. Una prima paziente forse inconsapevole della Spielrein (Keira Knightley) fu proprio la moglie di Jung, all’insaputa di questa il medico e l’allieva applicano su di lei il trattamento sperimentale di Freud (Viggo Mortensen), “la cura delle parole”.

Sabina, ricoverata a 17 anni nella clinica zurighese dove lavora Jung (Michael Fassbender), il 17-8-1904, picchiata dal padre da quando aveva quattro anni e costretta poi a baciargli la mano, rivela al medico, quando comincia a fidarsene: mi bagnavo ogni volta che mi mandava nella stanzetta dove mi avrebbe raggiunta, mi piaceva, sono sporca, oscena, non devono farmi uscire di qui.

Jung chiede a Freud se non si possa usare un termine più blando che non libido e gli attribuisce l’interpretazione esclusivamente sessuale del materiale clinico e dei sogni, che il maestro puntualmente spiegava. Nella clinica svizzera di Jung arriva Otto Gross (un Vincent Cassel perfetto nella parte del ribelle alle norme sociali dell’epoca, simili del resto a quelle di oggi), mandato da Freud come paziente ma che è psichiatra a sua volta e che si definisce pubblicità deambulante delle possibilità della psicanalisi, avendo avuto numerose amanti anche tra le sue stesse pazienti che, lui dice, altro non desideravano. Questo genio sregolato – differente dal compunto e compreso nel ruolo professionale Jung – addebita alla psichiatria dell’epoca la ferma repressione di un forte desiderio sessuale ribelle. Quindi lei non crede nella monogamia?, chiede Jung a Gross. E lui: Per un nevrotico del mio livello immaginare un concetto più logorante è impossibile. Jung: E non trova che in fondo sia necessario e desiderabile porsi qualche limite come contributo al tranquillo svolgersi della civiltà? Ma la “regola” di Gross è non reprimere mai niente e non c’è da stupirsi che gli ospedali trabocchino, considerata la repressione sessuale del tempo. Il piacere è semplicissimo finché non decidiamo di complicarlo. E’ quello che mio padre chiama maturità. E io chiamo arrendersi. Perché tanti affannosi sforzi per soffocare i nostri più elementari istinti naturali? Jung considera invece arrendersi il cedere al desiderio che già egli stesso avverte della Spielrein. In fondo dunque ha ragione Gross che, nella lettera che gli scrive fuggendo dalla clinica, consiglia di non passare mai davanti all’oasi senza fermarsi a bere.

 

Jung alla Spielrein quando lei la prima volta prende l’iniziativa, baciandolo: E’ opinione comune che sia l’uomo a prendere l’iniziativa. Sabina: Non c’è qualcosa di maschile in ogni donna e di femminile in ogni uomo?Quando vorrà prendere l’iniziativa io abito nel palazzo col bovindo! Sarà una passione liberatoria e tenerissima tra i due, Sabina soddisferà anche suoi desideri masochistici e a Jung si è come aperto un mondo. Le confesserà alla fine in preda a un esaurimento, dopo l’allontanamento di un periodo e aver dovuto confessare a Freud che la paziente è stata sua amante, e mentre Sabina, che è ebrea-russa, parte per Rostov dove si dedicherà alla psicologia infantile: Eri tu il gioiello prezioso. Mi hai fatto capire chi sono. A volte devi fare qualcosa di imperdonabile per continuare a vivere. Solo il medico ferito può guarire.

La moglie di Jung invece non ha mai voluto sapere nulla delle dicerie e delle lettere anonime che descrivono la tresca, è appagata – forse era un ruolo autoimposto delle mogli di quel tempo - dall’aver dato, alla terza o quarta gravidanza, un figlio maschio a Carl. L’amore diventa abitudine se vivi sotto lo stesso tetto con una persona, è lo stesso Jung a dirlo alla Spielrein, che gli fa notare che il loro rapporto è un’altra cosa.

Freud sostiene di non avere obiezioni a che Jung sconfini nella telepatia e parapsicologia, vede che l’allievo si sta avventurando in terreni che lui non ha coltivato, Carl non vuole delimitare strettamente i confini scientifici e così escludere degli interi ambiti d’indagine. E’ fautore del percorrere territori inesplorati, del reinventarsi del paziente. Gli sfugge con la Spielrein un giudizio su Freud, che sarebbe vittima di un rigido pragmatismo, che non si può reprimere e dimenticare il sentimento, che secondo questi nulla è possibile che esista se la nostra intelligenza non è in grado di dimostrare che esista. Per Freud infatti il mondo è lì ed è quello che è, quasi immodificabile e forse senza altro da scoprire. Il maestro è timoroso che le loro ricerche abbandonino la (sua) terraferma della teoria sessuale per sguazzare nel fango nero della superstizione … i detrattori ci faranno a pezzi. Non si può fare!

La scienza psicanalitica si è evoluta anche per intuizioni ed errori, Freud – il cui venerare le donne era frutto della coercizione educativa e sociale dei tempi - ne è il padre, Jung e altri l’hanno progredita fino a noi. Dopo la rottura tra i due una scena mostra Freud che ripone in una scatola il ritratto di Jung indugiando ad osservarlo alcuni secondi, sembra convinto in cuor suo che Jung andrà più lontano. La Spielrein volle studiare e laurearsi per restituire la libertà alle persone come tu mi hai ridato la mia, questo dice a JungSembra convincere perfino Freud (Vienna, 1912) interessato ai suoi studi che associano l’amore alla morte, quando afferma che se la pulsione sessuale è un semplice stimolo verso il piacere, la repressione dello stimolo porta all’autodistruzione. Ma questa può essere un’autodistruzione creativa, generare un essere nuovo nella persona che si abbandoni al piacere, si annulli e si perda nell’altro, rinunciando al proprio ego per la natura autoannientante dell’atto sessuale.

Nel film c’è il riferimento storico alla prima guerra mondiale di qualche anno dopo: Jung racconta alla Spielrein di un sogno fatto, un’inarrestabile marea che scende dal mare del Nord e che supera le Alpi e si mischia alle acque del lago, acqua che diventa sangue, cosa che avverrà molto presto. Non si direbbe che all’inizio del nostro secolo nuovo le convenzioni sociali, le norme della nostra organizzazione sociale, siano di molto cambiate: le nevrosi generate dai ruoli che ognuno deve recitare, dagli imperativi che il “progresso” o la moderna società impongono, la necessità o desiderabilità di porsi qualche limite non sono diminuite e gli ospedali traboccano comunque: qualcuno ha detto che sia più manovrabile o guidabile una società basata sulla famiglia, sulla coppia come nucleo stabile, sarebbe arduo amministrare dei “cani sciolti” come Otto Ross, che nella realtà peraltro morì di fame a Berlino nel 1919. La Spielrein, dopo aver istruito molti psicanalisti in Russia, fu deportata dai tedeschi in Germania e lì fucilata con le sue due figlie nel 1941. Freud fu costretto a lasciare Vienna, si trasferì a Londra dove morì di tumore nel 1939. Jung se ne andò serenamente nel 1961.

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