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A Sanremo non c’è più l’X-Factor?

Sanremo vs X-Factor: Il talent-show di matrice inglese non nasconde in alcuna situazione le sue assonanze con la forma del reality che si rivela vincente nel campo della televisione italiana a dispetto di altre tradizioni considerate da qualcuno ormai passate.

E’ ormai innegabile non affermare che il fenomeno X-Factor dilaga in Italia sugli schermi di tanti appassionati, sulle pagine dei giornali e sulle frequenze radiofoniche riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica. Ma non si può non dire anche che gli italiani si sono affezionati ai reality e alle sue forme di comunicazione. E così giù con i piagnistei, con le confidenze ai confessionali e con altri atteggiamenti appartenenti a uno stile prettamente trash dandy, che non in tutti i casi trasmette messaggi eticamente adatti, e di questo a subirne di più è il popolo giovanile.
 
Il programma in onda su Rai Due oscura in questa maniera ciò che di buono esiste realmente nella trasmissione: la componente artistica e professionale, dei concorrenti e dei giudici, del direttore artistico e della produzione, finisce spesso per nascondersi dietro e lasciare ampio spazio a lacrime, litigi e smanie di protagonismo. La televisione oggi dà così ai suoi abbonati e telespettatori quello che vogliono, o meglio, quello che li attira, senza pensare al dovere e al compito educativo che ha, in qualità di primo mezzo di comunicazione.
 
E mentre queste nuove realtà nel panorama comunicativo avanzano, evolvendosi e migliorando i propri risultati, altre, riconosciute da anni come tradizioni culturali, si eclissano. E’ questo il caso del Festival di Sanremo che sta perdendo anno dopo anno il suo impatto e la sua importanza verso il grande pubblico. 

 
Un esempio è dato dalla scontentezza che alcuni fan degli Afterhours hanno suscitato quando hanno saputo che il gruppo milanese parteciperà all’edizione di quest’anno. Ma questo è un atteggiamento sbagliato che condanna una grande realtà della musica italiana, di rilevanza internazionale, e che condanna anche la maggior parte dei gruppi alternative e underground italiani a rimanere in un circolo di nicchia, senza possibilità di allargare i confini del mercato discografico italiano. Ma questa possibilità sarà davvero reale ed educativa nel caso in cui gli Afterhours si presenteranno sul palco dell’Ariston non seguendo necessariamente il cliché del bel canto italiano melodico, bensì portando la propria musica e le proprie tendenze, restando fedeli ai propri influssi.
 
Una novità decisamente sorprendente è la partecipazione al festival di quest’anno del vincitore della settima edizione del talent-show Amici, Marco Carta, al festival della canzone italiana. Una novità che non è neanche del tutto sorprendente, essendo Marco Carta un buon portatore di audience, come la collega Giusy Ferreri, che invece per quest’anno ha declinato l’opportunità di partecipare al Festival della città dei fiori.
 
Tanto lavoro dunque per il direttore artistico-presentatore Paolo Bonolis, che comincia la cinquantanovesima edizione dovendo fare i conti con le polemiche per il suo lauto compenso, 1 milione di euro, che qualcuno definisce come uno schiaffo in faccia alla crisi. Ma il conduttore romano dovrà fare i conti anche con le convinzioni di quegli italiani che dicono che il Festival è ormai superato, appartenente a un’altra generazione, che rispetta stereotipi televisivi troppo vecchi e usati per avere successo nella televisione moderna.
 
Ma in questo girovagare televisivo di talenti naturali e diamanti grezzi c’è, o ci sarà, spazio nel mondo della musica per milioni di giovani che da anni calcano i palchi di tutto lo Stivale senza passare per quello di un talent-reality show?

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