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41 bis: le tante proteste e il passo in dietro del governo

«In prospettiva si potrebbe anche pensare si trasformare il 41 bis da regime speciale a regime ordinario di detenzione (derogabile, quando è il caso, in senso favorevole ai detenuti), o addirittura a pena di specie diversa, inflitta dal giudice con la sentenza di condanna, e prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell'esecuzione, alla stessa stegua di quanto accarde attualmente per tutte le altre pene in genere».

Dalle parole comparse sulla relazione presentata dal Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio l’11 luglio scorso a Roma si evinceva effettivamente un cambio deciso di rotta per il 41 bis, il simbolo più forte nella lotta alla mafia che lo stato diede nel periodo delle stragi 92' -'94.

Il rapporto, con l’introduzione del sottosegretario Gianni Letta, è una risposta alla Relazione sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani (CEDU) al Parlamento per l’anno 2010, che ha tutto il sapore di un richiamo generale sui ritardi della giustizia italiana nei confronti dell’amministrazione della giustizia in Italia e con un riferimento particolare sui ricorsi dei detenuti al carcere duro.

La posizione di Palazzo Chigi ha dapprima scosso e subito dopo animato non non solo l'opposizione, ma tutto l'ormai imponente apparato antimafioso che soprattutto sopo la morte dei due giudici simbolo della lotta alla mafia, Falcone e Borsellino, si è ormai affermato con forza in tutto il territorio nazionale.

Scandalizzato, il fratello minore del magistrato, Salvatore Borsellino definisce questa come una «proposta oscena, una proposta che rientra in quel pagamento di cambiali di quella che è stata una trattativa, nonchè causa determinante nell'uccisione di mio fratello», ribadendo la sua indignazione soprattutto per il fatto che «la proposta venga fatta proprio a pochi giorni di distanza da quella commmorawione di quella strage».

Più pacato il commento della sorella del magistrato Rita Borsellino, europarlamentare del PD, che da Bruxelles invita alla calma e alla riflessione prima di proporre decisioni tanto drastiche su un argomento cosi delicato come quello del 41 bis: «Ancora una volta è di certo da criticare la precipitosità con cui si può pensare di prestare il fianco a una situazione come questa. Penserei a quello che è stato e ai risultati che sta dando e eventualmente discutendone alcuni aspetti, non certo di abolirla tout court».   

A proposito del giudizio della corte, da europarlamentare e conoscitrice delle differenze storico-culturali presenti all'interno dell'Europa, ci aiuta a comprendere come effettivamente possa essere visto in maniera differente e decontestualizzata da parte degli altri paesi europei il regime di carcere duro applicato in italia: "proprio questi giorni qui a Bruxelles in commissione abbiamo parlato anche di 41 bis, perché c'è un rapporto che si sta portando avanti in commmissione per le LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni ndr), su criminalità, criminalità organizzata e anche mafia e si è discusso anche di carcere duro. È chiaro che ci siano delle perplessità da parte di paesi che non conoscono e forse non capiscono bene neanche quello che è il regime di carcere duro e noi, rappresentanti dell'Italia, abbiamo spiegato più volte che non è di certo un regime di tortura, ma una misura più che altro preventiva affinché non ci siano contatti con l'esterno. Non mi sembra ci fosse una chiusura tale da pensare addirittura di abolire una misura come questa che ha almeno limitato quelli che sono i danni delle fughe di attività dal carcere".

Effettivemente appare peculiare il fatto che la commissione si sia pronunciata per la prima volta dopo 15 anni in maniera specifica contro il 41 bis, come ci spiega Mauro Palma, rappresentante italiano nel Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, "Sino a poco tempo fa la corte dei diritti dell'uomo era in pieno accordo con la corte costituzionale diceva che le misure fossero tali da prevenire il trasferimento di informazioni e comandi all'esterno. Evidentemente questa volta ha detto no stanno andando aldilà cosa che peraltro io condivido. Finora in effetti mi ero sempre stupito di quanto la corte fosse stata molto cauta, anceh perchè nei nostri rapporti eravamo stati abbastanza pesanti, siccome la corte prende le notizie dai nostri rappporti mi era sempre sembrato un po' strano che non arrivasse a delle conseguenze".

Ma bisogna anche aggiungere che il rapporto era incentrato sui ritardi della giustizia italiana, nei confronti dei quali i provvedimenti presi e le varie riforme fatte finora evidentemente non sono stati adeguati.

Ammettendo la legittimità della continuità del regime carcerario duro, "ritenuto ammissibile dalla CEDU, purché previsto in relazione a motivate esigenzea", il governo, date le polemiche che in questi tre giorni l'argomento ha scatenato, non ha potuto far a meno che presentare una nota ufficiale con le proprie precisazioni sul regime detentivo art.41 bis.

In questa si chiarisce inoltre che le intenzioni del governo fossero incentrate su un'ottimizzazione delle "risorse umane che, secondo la relazione, si libererebbero se il regime di carcere duro fosse previsto nella sentenza di condanna".

Una precisazione necessaria e forse tardiva, che andava esattamente nella direzione auspicata dal magistrato Antonio Ingroia: "ovviamente ci auguriamo che il governo torni sui propri passi. Il 41 bis negli ultimi 20 anni è stato il caposaldo dell'azione antimafia e ha costituito una spina al fianco dell'organizzazione mafiosa. Un passo indietro su questo fronte sarebbe un quindi cedimento contro la mafia che ci preoccuperebbe molto".

La proposta del senatore del Pd Giuseppe Lumia, che bolla come scuse le questioni sollevate dall’Europa. "Le conosciamo da anni, per cui tirarle in ballo adesso è una giustificazione che non convince. La legge in vigore, infatti, risponde alle problematiche evidenziate". E continua poi avanzando invece un'interessante controproposta alla relazione CEDU: "La presa di posizione di un organo così autorevole, piuttosto, può creare illusioni e aspettative che devono essere immediatamente smentite con i fatti. Il governo, quindi, se vuole riparare al danno dia un segnale chiaro e netto: riapra Pianosa e l’Asinara; in tal modo, inoltre, darà piena attuazione alla normativa sul 41 bis”.

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