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4 novembre: non festa ma lutto

È passato un altro 4 Novembre, celebrato in tutta l'Italia come festa dell'unità nazionale e delle forze armate. Ma cosa ha a che vedere la prima con le seconde? L'unità nazionale è rappresentata dalla nostra Costituzione repubblicana, che all'art. 11 proclama solennemente il "ripudio della guerra" come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Eppure da decenni la retorica militarista continua a mistificare la realtà (siamo uno stato che fa guerre non dichiarate e vende armi a mezzo mondo) e presenta le forze armate come un presidio di pace e di sicurezza. Ma i veri pacifisti non ci stanno e continuano a gridare il loro "Signornò!"

È stato questo uno dei primi slogan della mia militanza antimilitarista - scusate il bisticcio - ed è sempre risuonato istintivamente dentro di me ad ogni ritorno di questa fatidica data. Sì, lo so che l’antimilitarismo non si porta più e che, al massimo, ci si può dichiarare genericamente “per la pace” (“pacifisti” è già troppo impegnativo…). Il fatto è che quando cominciano ad riapparire sui muri i soliti manifesti con soldati sorridenti e bambini che sventolano bandierine tricolori mi viene una specie di prurito, una vera e propria reazione allergica alla retorica patriottarda che ci affligge da oltre 90 anni, collegando senza giusto motivo la celebrazione dell’Unità d’Italia ed il legittimo orgoglio nazionale alla esaltazione delle Forze Armate.

Questa c.d. “Festa” segue da decenni veri e propri rituali, che si trascinano stancamente e mettono a dura prova la fantasia dei disegnatori dei suddetti manifesti i quali, nel dubbio, riprendono un’iconografia trita e ritrita, fatta di bandiere che garriscono al vento, scie aeree di frecce tricolori, stellette stilizzate e simile ciarpame. Anche le celebrazioni vere e proprie seguono da sempre un rituale consolidato, fatto di alzabandiera, compunti omaggi a base di corone d’alloro ai troppi monumenti ai Caduti, solenni discorsi di circostanza, parate militari ed esposizioni di uniformi di tutti i tipi. Eggià, perché sarà pur vero che si celebra l’Unità d’Italia, ma è altrettanto vero che a quanto pare nessuno è riuscito finora ad unificare almeno in parte i tanti corpi militari o militarizzati della nostra “Repubblica che ripudia la guerra”.

Parafrasando la nota poesia “’A livella” di Totò, qualcuno potrebbe dire che: “Ogn’anno, il 4 novembre, c’è l’usanza / per i Caduti sventolar bandiere. / Ognuno l’add’’a fa’ chesta crianza / ognuno l’add’a ave’ chistu penziero…”  Però, scusatemi, io non ci riesco proprio a rivolgere il mio pensiero ad un’Italia dipinta come la patria delle forze armate e non degli Italiani. E con me tanti altri che non riescono ad entusiasmarsi di fronte alle periodiche sfilate di sferraglianti carri armati e che non apprezzano affatto che le nostre piazze e perfino le nostre discariche siano presidiate da truppe in assetto da guerra, come se stessimo a Damasco o Kabul anziché a Napoli o Palermo.

La verità è che il lento logoramento del tempo, la crisi di qualsiasi ideologia e la subdola strategia di chi ha fatto fuori il servizio militare di leva (e al tempo stesso l’obiezione di coscienza) per sostituirli con la “professione soldato” e con un insipido e generico “servizio civile nazionale” hanno di fatto cancellato anni di lotte antimilitariste, di battaglie per affermare la difesa popolare nonviolenta e per la riconvertire l’industria bellica.

La verità è che il nostro beneamato Paese è tuttora tra i primi esportatori mondiali di armamenti ed uno dei più supini alleati in tutte le avventure belliche degli ultimi decenni, regolarmente spacciate per“missioni umanitarie”, o quantomeno come operazioni di “peacekeeping”.

La verità è che solo negli ultimi 10 anni, di questi “missionari” in armi su vari fronti (dalla Somalia al Ruanda, dalla Bosnia al Libano, dal Kosovo all’Iraq ed all’ Afghanistan) ben 120 italiani, in prevalenza giovani, ci hanno lasciato la vita, allargando la tragica lista dei “caduti”. Stando all’intollerabile ipocrisia delle versioni ufficiali, però, – in questi casi si tratterebbe di “caduti di non-guerra”, se non di “martiri” della libertà e della pace…

In questo 4 novembre 2013, l’unica voce di rappresentante del popolo italiano che – fascia tricolore a tracolla sulla maglietta rossa – ha voluto farla finita col coro bipartisan dei politici italioti è stato il neo-sindaco di Messina, Renato Accorinti

“Si svuotino gli arsenali, strumenti di morte – ha dichiarato nel corso del suo intervento, rivolgendo anche un appello ai sindaci di tutti i comuni italiani – e si colmino i granai, fonte di vita. Il monito che lanciava Sandro Pertini sembra ancora ad oggi cadere nel vuoto. Nulla da allora è cambiato. L’Italia, paese che per la Costituzione ‘ripudia’ la guerra, continua a finanziare la corsa agli armamenti ed a sottrarre drasticamente preziose e necessarie risorse per le spese sociali, la scuola, i beni culturali, la sicurezza. Il rapporto 2013 dell’Archivio Disarmo su ‘La spesa militare in Italia’ documenta come l’Italia abbia speso per l’anno 2013, e spenderà per il 2014 e il 2015, oltre 20 miliardi di euro per il comparto militare (oltre un ulteriore miliardo per le missioni internazionali) a fronte di una drammatica crescita della povertà sociale…”

Il Sindaco Accorinti – di fronte ad un imbarazzato pubblico di ufficiali e carabinieri in alta uniforme – ha avuto il coraggio civile di dire pubblicamente ciò che molti Italiani pensano, sottolineando che c’è poco da festeggiare in un Paese dove ci sono nove milioni e mezzo di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Che c’è poco da sventolar bandiere laddove il territorio è stato sempre di più militarizzato, svendendo la sovranità nazionale a chi quasi 70 anni fa ci ha occupato in armi per ‘liberarci’ dai nazisti e continua tuttora ad occuparci in nome di un’equivoca ‘libertà’, che non scaturirà mai dai voli micidiali dei ‘droni’ né dalla rete satellitare e radar che pretenderebbe di controllare tutto e tutti.

LEGGI ANCHE: Accorinti, il sindaco disubbediente di cui avevamo bisogno

Il primo cittadino di Messina è stato il primo amministratore locale che ha colto l’occasione per smascherare il “re nudo” della spesa militare italiana e della subalternità alle logiche USA e NATO che hanno trasformato regioni come la Sicilia e la Campania in portaerei protese sul Mediterraneo e sul Vicino Oriente, trasformando le nostre città in “plessi” distaccati del Pentagono.

Dobbiamo allora ringraziare questo anomalo sindaco in T-shirt e fascia tricolore perché non ha voluto accodarsi ai rituali omaggi pseudo-patriottici ed ha invece ricordato ai suoi concittadini – e con loro a tutti gli Italiani – che il “ripudio” della guerra, previsto esplicitamente dall’art. 11 della Costituzione, non può rimanere un’affermazione teorica e vuota, in totale contraddizione con le scelte della politica in materia di difesa.

L’unico modo per onorare i troppi morti in guerra (e nelle recenti non-guerre…) è ripetere con don Milani che “ognuno è responsabile di tutto” e che nessuno può sottrarsi al dovere di rispondere alla propria coscienza. Ecco perché il 4 novembre deve restare una giornata di lutto e di ricordo, ma non deve essere contrabbandato come una “festa” o come celebrazione della “giornata dell’unità nazionale”.

Come cristiano, poi, non posso che ricordare l’appello di don Milani quando scriveva: “Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano…”

L’avvelenamento che ci viene inflitto dal militarismo non è più come quello di una volta, retoricamente nazionalistico e dichiaratamente guerrafondaio, ma proprio per questo è ancora più subdolo. Il volto buono delle Forze Armate – raffigurato dai soldati che soccorrono popolazioni terremotate o distribuiscono latte ai bambini nei luoghi di conflitto bellico – è una pericolosa e continua mistificazione, un imbroglio degno del bispensiero del “Big Brother” orwelliano, per farci credere che “la guerra è pace” e che essere dei buoni italiani significa fare il tifo per alpini, marò e paracadutisti.

Il 4 novembre può essere solo la prosecuzione del contiguo 2 novembre: un giorno di lutto per commemorare i tanti, troppi, nostri fratelli che sono morti, sacrificati sull’altare della patria, o meglio, della mostruosa assurdità delle “inutili stragi” di ieri e di oggi.

Il 4 novembre, per me, è anche l’occasione per ricordare con rimpianto un’importante figura di obiettore di coscienza, ecopacifista e nonviolento, Massimo Paolicelli, morto pochi giorni fa, dopo 30 anni d’infaticabile ed entusiastico impegno antimilitarista e disarmista. Purtroppo Massimo è finito prima di poter vedere il sindaco di Messina che mostrava la bandiera della pace – su cui era scritto “L’Italia ripudia la guerra” – davanti ai carabinieri impettiti nell’omaggio ai Caduti. Peccato: ne sarebbe stato felice e si sarebbe messo anche lui a sventolare festosamente quel simbolo di tante lotte pacifiste.

 

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Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.217) 7 novembre 2013 18:33

    Grattati e fatteli passare i pruriti ! viviamo immersi nella violenza di ogni genere e specie, senza alleanze e un esercito finiremmo preda del primo bandito internazionale di turno. L’articolo 11 della Costituzione resta fermo e valido, nel senso che la volontà del popolo italiano non è quella di aggredire chicchessia e le controversie vanno risolte con mezzi pacifici, MA questo non significa che dobbiamo essere inermi e alla mercé di chiunque.

  • Di paolo (---.---.---.88) 12 novembre 2013 18:48

    Capisco che per molti individui , in specie se un po’ sempliciotti o poco attrezzati culturalmente , è inevitabile associare la celebrazione delle forze armate con una sorta di esaltazione simbolica della guerra . Analogo commento l’ho fatto all’articolo indicato nel link ,criticando come inopportuno il comportamento del sindaco Accorinti ,quanto meno proprio per averlo caricato di questo significato che ritengo improprio.
    Ma da un dottore in lettere ,da un umanista che certamente conosce la storia dei popoli , la cosa lascia francamente un po’ perplessi .

    Ermete ,mi dici cosa c’entra una istituzione come le Forze Armate con il pacifismo e l’art. della Costituzione Italiana che ripudia la guerra ?
    Per converso allora significa che tutti i paesi del mondo ,tranne forse l’isola di Tonga , che dispongono di un esercito sono per principio costituente guerrafondai ?
    Hai mai sentito parlare di forza di dissuasione ? Di legittima difesa e di diritto alla propria libertà nel caso si venga aggrediti ? Senza una forza di contrasto adeguata come penseresti di bloccare l’eventuale aggressore ,offrendo le "brioches " . E se a quello non gli bastano ?

    Il Pacifismo è come il buonismo o il perbenismo ,ovvero categorie che poco o nulla hanno a che vedere con la pace ,la bontà e l’esemplarità di comportamento . Sono spalmature spesso e volentieri usate come le maschere di carnevale , ovvero per nascondere la faccia reale , una specie di fioretto alla propria coscienza . Un po’ come dice Papa Francesco a proposito degli evasori fiscali che fanno beneficienza ...
    Ovviamente non mi riferisco al tuo caso personale ,è un discorso generale .

    Sono invece totalmente d’accordo sul fatto che queste celebrazioni hanno ormai un che di stantio , di anacronistico ,di superato , di antistorico . Oggi le parate militari non servono più a nulla perché è profondamente cambiato il modo di fare le guerre , forse c’è perfino il rischio di diventare patetici ,.... ma che cacchio c’entrava Accorinti in quel contesto li’ ,cos’è una furbata propafantistica,del tipo " Comune denuclearizzato " , tanto per darsi la crema del migliore ?
    Basta mi fermo , scusa la lungaggine .
    ciao Ermete

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