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30 anni di pace tra Israele ed Egitto

Sono passati 30 anni. Trent’anni senza guerre, che, per una regione come quella calda e turbolenta che è il Medioriente, è qualcosa che può essere in un certo senso considerato straordinario. Il 26 marzo del 1979, infatti, veniva firmato sui prati di Camp David negli Stati uniti, il primo trattato di pace israelo-arabo. Il Presidente egiziano Muhammad Anwar al-Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin (del Likud) si stringevano la mano sotto lo sguardo sorridente di Jimmy Carter (Partito democratico). Poco più di un anno prima, il 20 novembre 1977, Anwar al-Sadat fu il primo leader arabo ad atterrare all’aeroporto di Ben Gurion e (l’unico finora) a tenere un discorso alla Knesset. Grande emozione suscitò in Israele tanto che uno dei più popolari cantanti israeliani di oggi, David Broza, scrisse una canzone che lo portò poi al successo: "Yihé tov" (Andrà bene), in cui canta: "Ecco, arriva il Presidente dell’Egitto, come sono contento nel riceverlo. Le piramidi negli occhi e la pace nella sua pipa...".


In maniera analoga e contraria il trattato di Camp David venne accolto malissimo nel mondo arabo: l’Egitto fu espulso dalla Lega (e il suo quartier generale si trasferì a Tunisi), per esservi riammesso soltanto 10 anni dopo; 18 Paesi ritirarono i loro ambasciatori dal Cairo; Sadat pagò con la sua vita nel 1981 e ancora oggi viene definito "traditore" dai fondamentalisti islamici e da alcuni nasseriani. Una pace in cui pochi inizialmente credevano (nei trent’anni precedenti l’Egitto aveva mosso 4 guerre al suo vicino) e che rompeva alcuni schemi (e tuttora sfata alcuni pregiudizi): fu siglata da un ministro di destra, Begin, già esponente di spicco dell’Irgun (considerata da molti come un’organizzazione terroristica) e portò allo smantellamento degli insediamenti israeliani nel Sinai da parte dell’allora generale Sharon (anch’egli demonizzato, considerato dagli antisionisti un terrorista e uno contro la pace). Una dimostrazione, quindi, che quando qualcuno vuole veramente e sinceramente fare la pace con Israele, senza ambiguità di sorta, la ottiene: Israele cedette un territorio che è da solo più grande di quello che ora costituisce lo Stato ma Sadat non volle Gaza (evidentemente già allora si poteva avere un’idea dei problemi che poteva causare e avrebbe infatti causato).



A parte l’assenza di guerre (che è già di per sé notevole), questa è, però, una pace un po’ fredda: gli egiziani non vanno per turismo in Israele ("se andate su una spiaggia di Tel Aviv non trovate un egiziano" ha scritto l’Haaretz, citato dal Corriere della Sera), Mubarak non ha mai fatto una visita di Stato oltre confine e ogni tanto scoppia qualche piccolo incidente diplomatico. Questo anniversario, poi, è stato del tutto ignorato nella terra dei Faraoni, mentre si è tenuto un ricevimento al Ministero degli Esteri israeliano e un convegno all’università di Gerusalemme e fino all’ultimo non si sapeva se l’ambasciatore egiziano in Israele avrebbe partecipato al ricevimento. Inoltre, non sempre gli israeliani sono stati ben accolti in Egitto (a parte alcuni attentati in cui sono stati il principale obiettivo, l’anno scorso alcuni profughi non poterono tornare a visitare la loro terra d’origine "per motivi di sicurezza").

Dall’altra, però, ha portato ad una cooperazione in campo agricolo (Joint Agricultural Committee Egypt-Israel che organizza incontri semestrali, è responsabile di centinaia di progetti al fine di migliorare le conoscenze e le capacità di entrambi i Paesi e che ha prodotto numerosi seminari grazie ai quali molti egiziani hanno potuto conseguire una formazione in Israele), in campo economico, sanitario e perfino militare.

C’è anche un centro culturale israeliano al Cairo e uno omologo a Gerusalemme, ma purtroppo, al momento, poco attivi. Insomma, come ha notato il Ministro degli Esteri Tzipi Livni durante il ricevimento, "non c’è dubbio che la cooperazione tra Israele e l’Egitto è più grande delle differenze di posizione" che dividono i due Paesi.

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