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 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Elogio dell’ebraismo di Raffaele Mantegazza

Elogio dell’ebraismo di Raffaele Mantegazza

Il primo incontro è avvenuto con la Storia e soprattutto con le testimonianze di Primo Levi ed Elie Wiesel che lo hanno portato ad ampliare le letture su questo argomento. Rimasto colpito dalla tenace “salvaguardia della dignità e dell’identità” come resistenza al “progetto che lo voleva cancellare dalla faccia della Terra”, è nato in lui il desiderio di approfondire la conoscenza di quel che descrive come “una strana miscela di religione, ritualità, cultura, fede, speranza, lettura”. 

Si è così lentamente avvicinato fino a far sbocciare, come lo definisce egli stesso, un innamoramento, attraverso lo studio dell’ebraico biblico e i due viaggi compiuti rispettivamente ad Auschwitz e a Gerusalemme. Le conoscenze apprese e i relativi sentimenti che ne sono derivati hanno dato vita a “Elogio dell’Ebraismo” pubblicato da Fefè Editore, un libricino di poco più di cento pagine in cui l’autore, Raffaele Mantegazza, professore di Scienze Umane e Pedagogiche al Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano Bicocca, riflette su alcuni concetti fondamentali nell’ebraismo. Diviso sostanzialmente in due parti, la prima riporta cinque capitoli, i cui titoli sono i nomi (ebraici) dei cinque libri della Torah, ovvero del Pentateuco, mentre nella seconda i capitoli sono sei come gli ordini della Mishnà, la Legge orale trascritta dal Rabbino Yehuda Hanassi nel III secolo dell’Era Cristiana. Ognuno di essi è introdotto da una breve strofa di canzoni italiane (Dalla, Vecchioni, Fossati, Concato, Ligabue, Nannini, Guccini e così via).

Il Nome e la presenza (e/o assenza) divina nella Storia e nel mondo, il legame fra quest’ultima e la sofferenza umana, l’attesa e la dinamicità della Creazione intesa come Azione sono i primi argomenti trattati. A questi seguono altri numerosi, quali ad esempio, l’Identità - “che è sempre in cammino, che non è mai del tutto certa di se stessa” - e che parte appunto dai nomi scelti per noi dai nostri genitori e la cui cancellazione, sostituita dai numeri, fu una delle tante terribili torture psicologiche – insieme a quelle fisiche - perpetrate dai nazisti nei campi di sterminio; la relazione che gli ebrei di ogni sfumatura (dai più osservanti agli atei) hanno con la Divinità; il viaggio nel deserto, la nostalgia e l’esperienza dell’esilio; la lingua, con l’importanza delle parole e il valore (anche numerico) di ogni singola lettera; la speranza e il riposo sabbatico; il rispetto e la considerazione per le donne, per lo “straniero”, per i bambini e tutti gli esseri viventi; il dolore e la sofferenza (in genere, ma soprattutto degli innocenti) e la difficoltà a comprenderli.

Le idee espresse più ricorrentemente sono la dinamicità (sinonimo di cammino o evoluzione), la profondità, l’apertura e l’esperienza (acquisita con il “fare” e che può costituire un modello di insegnamento). Molti concetti sono illustrati, seppure in estrema sintesi, in maniera chiara, discorsiva e comprensibile al grande pubblico. Spesso traspare il profondo (e lodevole) desiderio di sfatare i pregiudizi, partendo proprio dalla negazione dei miti (ad esempio quando spiega che l’”elezione” non ha niente a che fare con un’idea di superiorità, attribuzione che però è stata fin troppo usata per fomentare la violenza e scatenare le persecuzioni), ma in qualche caso si notano piccoli “cedimenti”, come alcune telegrafiche considerazioni sull’attualità politica o come quando accenna alla trasmissione matrilineare dell’identità, ma non parla della possibilità di diventare ebrei attraverso un lungo percorso di studio, approfondimento e crescente consapevolezza. Nel complesso, quindi, un testo scorrevole che, pur partendo da sentimenti e riflessioni personali, può stimolare la ricerca e l’approfondimento da parte di chi desidera avvicinarsi a questo mondo.

 

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