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L’11 settembre e i paradossi dell’immagine

"... E i funerali di stato a che servono? I militari in missione chi servono?".(CapaRezza - dal brano "Cose che non capisco"). Facciamo un piccolo gioco sull'immaginario collettivo?

Chiudete gli occhi, rilassatevi. Trasformate lo schermo nero che avete creato dietro le vostre palpebre chiuse in una sorta di tela su cui proiettare le immagini depositate nella vostra mente. Alzi la mano chi ricorda perfettamente almeno un'immagine riguardante l'attentato dell'11 settembre alle Torri Gemelle di New York. Bene, siete in tanti. Complimenti! Potete abbassare le mani... Ora alzi la mano chi, invece, conserva nella propria memoria un'immagine della guerra libano-israeliana del 2006. Uno... Due... Nessun'altro? Come prevedevo. Perfetto: abbassate pure le vostre mani e aprite gli occhi. In realtà non avevo bisogno di fare questo "esperimento": sapevo già quale parte della storia il Quinto Potere aveva deciso di sfruttare. O di inflazionare.

Tra qualche giorno cadrà il decimo anniversario dell'attentato alle Torri Gemelle di New York e ancora una volta la televisione, i giornali, il web ci bombarderanno senza sosta con le terribili immagini degli aerei dirottati e fatti schiantare sul World Trade Center della "Grande Mela" e sul Pentagono a Washington. Ancora una volta ci stupiremo, c'arrabbieremo, ci commuoveremo, avvertiremo un brivido sinistro e assumeremo senza battere ciglio la nostra brava dose di anestetico sotto forma di immagini. Qualche rete televisiva manderà in onda il solito documentario dedicato a quella maledetta mattina di settembre e in prima serata alcuni film per ricordare giustamente l'eroismo di poliziotti e pompieri morti durante il crollo delle torri. Gli americani in questo, poi, sono bravissimi: una volta il nostro Massimo Troisi disse, ironizzando, che in realtà gli americani avevano fatto la seconda guerra mondiale non per sconfiggere Hitler, Mussolini e i giapponesi, bensì per avere la possibilità in un secondo momento di girare dei film di guerra a Hollywood.

E' sorprendente la quantità di riprese (e di angolazioni) effettuate al momento dello schianto sia del primo che del secondo aereo sulle Torri Gemelle: gli obiettivi dell'attacco che hanno suscitato la maggiore indignazione da parte dell'opinione pubblica. Altrettanto sorprendente, tuttavia, è la totale assenza di immagini chiare riguardanti l'oggetto (dicono un aereo) che ha impattato sul Pentagono: il punto nevralgico della sicurezza americana e quindi il luogo che dovrebbe essere maggiormente monitorato tramite uno o più sistemi di telecamere a circuito chiuso. Ma questo, ci tengo a precisare, non è un post pro complottisti.

Anche io, usando il post che state leggendo, ho deciso di contribuire a perpetrare questo stato di trance mediatico sull'11 settembre pubblicando la foto di un aereo - il secondo - in procinto di impattare sull'altra torre ancora intatta. Tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, riceviamo e ritrasmettiamo segni (immagini, sequenze video, simboli, oggetti...) in un ambiente semiosferico non casuale ma influenzato da una serie di poteri interconnessi (potere politico, economico, religioso...). Noi utenti dei mass media siamo le unità cellulari del potere che si nutre a sua volta della nostra voglia di essere protagonisti e informati. Vedere è sapere: tutto il resto (il pensiero, ad esempio) non conta.

La cosiddetta 'grande informazione' decide di alimentare il nostro immaginario collettivo con simboli provenienti dall'attentato dell'11 settembre perché preferisce lo stupore alla verità; lo stupore e la paura che ne consegue rappresentano le chiavi d'accesso al consenso popolare usate dalle "vittime potenti", in questo caso dagli U.S.A.: l'infranta inattaccabilità della superpotenza americana stupisce di più, quindi fa più notizia, della 'solita' scaramuccia israelo-libanese o israelo-palestinese risolta a suon di razzi katiuscia e conseguenti ritorsioni da parte dell'esercito di Gerusalemme. Il terrore è una forma di linguaggio che paradossalmente non serve tanto agli attentatori, quanto ai capi dei paesi colpiti dal terrorismo affinché possano ancor di più agire indisturbati a livello internazionale. Ma non dico nulla di nuovo...

L'informazione, spinta da evidenti e pressanti esigenze di sopravvivenza in un mondo affetto da una crisi economica che non risparmia le superpotenze, ha bisogno di vendere i propri "prodotti stupefacenti" a un pubblico sempre più vasto e così facendo alimenta proprio quel tipo di comunicazione emotiva tanto amata dal potere, a discapito della Verità. Gli attentatori e i giornalisti, quindi, svolgono una medesima "funzione terroristica" anche se da posizioni diverse. I terroristi, per definizione, scelgono il terrore per trasmettere un messaggio politico, economico, religioso, culturale. L'informazione diffonde ripetutamente il messaggio terrificante del terrorista non per informare i cittadini (tutti quanti abbiamo capito, ormai, che dieci anni fa sono crollate le due Torri Gemelle a New York! Non necessitiamo di ulteriori dati visivi al riguardo: eppure le televisioni di tutto il mondo continuano a trasmettere ossessivamente le immagini degli aerei mentre penetrano nelle Torri Gemelle) bensì per mantenere costante nel tempo una necessaria tensione emotiva tra la gente, che per l'ennesima volta assiste ipnotizzata al fatto terribile accaduto, e i potenti di turno che sono ben lieti di difendere l'Uomo Occidentale (sano, bello, informato, giusto, pulito, nutrito, istruito, superiore in ogni campo, ineccepibile dinanzi al Dio dei cristiani...) dalle minacce esterne. Qualunque esse siano: aliene, naturali, estremiste. Un occidentale che con il proprio silenzio-assenso, la connivenza di chi non vuole rinunciare a certi privilegi, apertamente cede i propri diritti ai governanti in nome di una garanzia che non esiste: le tanto decantate 'agenzie' statunitensi (oggetto anch'esse di film e telefilm inneggianti all'efficientismo a stelle e strisce) esistevano anche prima dell'11 settembre 2001... Eppure.

La politica è "politica d'immagini": le ripetute sequenze dell'11 settembre servono non a ricordare le vittime ma a mantenere vivo lo sdegno pubblico che è alla base di un interventismo geopolitico e militare utile solo ai potenti e agli industriali che nella guerra da sempre, da quando esiste un'industria bellica, subodorano affari succulenti. Quando ci fu il terremoto a L'Aquila un paio di esseri insulsi dichiararono al telefono di ridere dalla notte precedente, pregustando i guadagni relativi alla ricostruzione. Allo scoppiare di una guerra sono molti gli industriali che ridono: da quelli che producono i dentifrici per le truppe a quelli che costruiscono carri armati ed elicotteri militari.

funerali di stato, trasmessi puntualmente in televisione, dei presunti "eroi" caduti nelle cosiddette "missioni di pace", hanno la stessa funzione delle immagini sull'11 settembre che di tanto in tanto ci propinano come un ossessivo intercalare durante la regolare programmazione: mantenere uno stato d'allerta tra la popolazione per giustificare la guerra. Nessuno si è preoccupato, finora, di analizzare onestamente le cause politiche ed economiche che stanno alla base del terrorismo. Capire il meccanismo di un'insoddisfazione capace di reclutare decine e decine di kamikaze, significherebbe delegittimare le ragioni apparenti costruite dai "buoni" e che animano questo terzo, silenzioso, non dichiarato conflitto mondiale.

Partendo da tale premessa quali scenari evoluzionistici si prospettano?

1) Dal punto di vista geopolitico e militare l'immagine ripetuta dell'attacco al World Trade Center di New York ha già sortito l'effetto voluto: è stata dichiarata guerra all'Afghanistan dei Talebani e all'Iraq di Saddam Hussein, producendo a tavolino finte motivazioni per invadere territori non direttamente coinvolti nell'attacco dell'11 settembre, inventando democrazie accondiscendenti nei confronti della politica espansionistica americana e sbandierando una vittoria sul terrorismo internazionale che non c'è... Sulla retina dei nostri occhi è rimasta impressa l'immagine di un aereo di linea che 'entra' in un grattacielo: e tutti quanti a dire "sì!" Sì alla guerra, sì al Patriot Act, sì alla commedia vomitevole e inutile delle cosiddette "missioni di pace".

2) Poi esiste il problema dell'immagine inflazionata: la ripetizione all'infinito di un messaggio potrebbe avere l'effetto opposto. Si potrebbe andare incontro a una sorta di assuefazione, di acquisita insensibilità nei confronti di certe immagini. Ciò creerebbe una nuova dicotomia nell'albero evolutivo dell' "homo videns" sartoriano2-a) l'essere umano sottoposto a tale bombardamento mediatico potrebbe diventare insensibile a tutte le immagini riguardanti l'argomento "11 settembre" e quindi non rispondere con la stessa emotività iniziale; nella peggiore delle ipotesi potrebbe sviluppare un'incapacità nel distinguere le immagini reali da quelle cinematografiche; un atteggiamento che erroneamente potrebbe essere catalogato come puro e semplice cinismo (prima dell'era della comunicazione tecnologizzata, gli eventi storici importanti, in particolar modo quelli bellici, erano vissuti in prima persona e chi sopravviveva a tali eventi - in mancanza di internet e di cinematografia di genere - aveva la grande responsabilità umana e culturale di trasmettere la propria storia verbalmente, facendo del proprio meglio per descrivere i vari dettagli e rendere così il racconto veritiero e onesto. A volte spiegando il perché delle cose partendo da un punto di vista ingenuo, personalizzato ma non influenzato da vasti condizionamenti mediatici, come succede oggi); 2-b) da un altro punto di vista l'insensibilità sviluppata nei confronti di certe immagini potrebbe essere utilizzata dal potere per controllare l'emotività della popolazione (abbiamo detto in precedenza che la comunicazione emotiva è fondamentale per far approvare determinate decisioni politiche e militari, ma non sempre è così: a volte è più utile una mancanza di reazione emotiva; vedi, ad esempio, la totale assenza di immagini riguardanti la presunta uccisione di Osama Bin Laden in Pakistan: l'assenza di immagini potrebbe essere la prova che l'uccisione non è mai avvenuta; che l'uccisione è avvenuta ma in un luogo e in un tempo differenti da quelli dichiarati davanti alle telecamere dal Presidente Obama (che di fatto chiede al mondo di crederlo "sulla parola" inventando un nuovo tipo di politica: la politica "per fede"); che l'uccisione di Osama non avverrà mai, lo sceicco del terrore potrebbe essere vivo e ben custodito in un luogo segreto degli U.S.A., le sue conoscenze potrebbero essere utili all'intelligence (come successe dopo la seconda guerra mondiale, quando alcuni scienziati nazisti collaborarono attivamente con l'America - vedi il caso di Wernher von Braun); l'assenza di immagini da Abbottabad e la "provvidenziale" scomparsa dei Navy Seals che presero parte all'operazione in Pakistan, tutti morti in un misterioso incidente d'elicottero in Afghanistan, potrebbero essere i due tasselli principali di una gigantesca bugia messa in piedi per farci credere alla definitiva uscita di scena del terrorista Osama Bin Laden.

Quindi sia l'immagine inflazionata che la totale assenza di immagine rappresentano due condizioni contrapposte capaci di condurre alla non verità. Ancora una volta in medio stat virtus: alcune immagini di media qualità, catturate con mezzi poveri, visionate poche volte e non riproposte in maniera ossessiva dai media, possono ugualmente raccontarci una grande storia. La cosa più importante è la curiosità che impieghiamo nella visione delle immagini: vedere e rivedere, ad esempio, un documentario d'epoca sul dittatore Mussolini serve a ben poco se poi non siamo in grado di porci, partendo da quelle immagini, domande alternative che vanno al di là della storia ufficiale. Anche in questo caso vale la regola dell'immagine inflazionata che blocca le nostre menti.

In un'epoca come quella attuale in cui il surplus di informazione visiva rende tutti noi partecipi di storie lontanissime, altrimenti impossibili da raccontare (basti pensare ai video realizzati con dei semplici telefonini durante la rivolta in Iran o nei vari paesi interessati recentemente dalla cosiddetta "primavera araba"), la criticità da applicare alle immagini, messe facilmente a nostra disposizione da reporter improvvisati, deve essere rafforzata. Dovendo tuttavia scegliere tra le immagini diffuse dai grandi mezzi d'informazione controllati e influenzati direttamente o indirettamente dai vari poteri politici ed economici e quelle liberamente realizzate e fatte circolare dalla gente comune, io scelgo sicuramente il secondo tipo di immagini perché più vere, ufficiose, capaci di catturare particolari sfuggiti ai reporter di professione. Il giornalismo partecipativo ha una grande responsabilità: integrare e in alcuni casi sostituire la verità ufficiale.

L'immagine, fissa o parte integrante di una sequenza animata, può avere un effetto ipnotico. Anche quando crediamo di controllare l'afflusso di immagini verso il nostro cervello - ad esempio spegnendo la televisione - riceviamo ugualmente tramite altre vie fotogrammi selvaggi, simboli, messaggi, segni...

Difendersi da questo sistema sviluppando una propria controcultura è difficile, ma non impossibile.

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