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"Scuola reale" e "scuola immaginaria"

Nel dibattito sulla riforma della Scuola bisogna distinguere tra scuola "reale" e scuola "immaginaria". La scuola reale è la scuola che esiste, la scuola che vive e soffre delle sue contraddizioni, la scuola che è andata formandosi e deformandosi in questi anni difficili, duri e confusi, mentre molti di coloro che avrebbero dovu­to dedicarle attenzione, cure e sacrifici, si sono distratti o rifugiati nell’ attesa o nella progettazione della scuola "immaginaria", di una scuola che sarebbe dovuta uscire tutta nuova e fiammante dalla testa di Minerva, per prendere il posto della scuola esistente.

 

Il panorama della nostra scuola è lo specchio fedele della situazione generale del Paese. L’inquietudine, l’incertezza, l’instabilità, il disordine, la disgregazione della società italiana trovano nella scuola la sintesi più emblematica.

Non c’è settore della scuola che si salvi: l’università vive in uno stato di perenne emergenza; la scuola media superiore versa nel disordine ed in condizioni di a­narchia culturale ed organizzativa; la scuola dell’ obbligo solo per motivi anagra­fici non risente di questi fermenti, ma soffre delle tensioni che dall’esterno vi portano insegnanti, genitori, libri. Non c’è pace tra i banchi e sulle cattedre.

"Se Dio non c’è, tutto è permesso" dice Dostoevskij. In tutti questi anni sono mancate appunto una politica scolastica e una politica culturale: questo vuoto ha creato la disgregazione. La scuola, in tutti questi anni, è stata amministrata senza grandi idee: in tante riforme progettate o attuate non c’è mai stato un disegno a grande respiro, ma piuttosto frammentarietà, provvisorietà, superficialità, segni di debolezza politica e culturale. L’apparato formativo della società italiana, an­ziché rinvigorirsi si è indebolito ed è precipitato nel disordine. La scuola italiana è diventata spesso il luogo di manovre ignobili per fini politici. Tutto s’è tenuto d’occhio, meno che i reali interessi della scuola, tutto meno la sua vera funzione. Certo, che fare per la scuola italiana non è né semplice né facile; però ciò di cui la scuola ha bisogno urgente, immediato, è il ritorno ai concetti di rigore e dovere basi per il successo di ogni seria riforma. Ciò non vuol dire che si deve tornare alle bocciature, all’autoritarismo, alla severità per la severità. Tornare al rigore e al dovere significa che la scuola deve essere scuola, e cioè luogo dove l’alunno va per imparare e il maestro per insegnare e non laboratorio di ideologie, chiacchie­re, risse. La scuola è scuola: è impegno per insegnanti e studenti nella ricerca del­la conoscenza, della verità, del rispetto reciproco; impegno a costruire insieme, a vivere insieme, a capire i difetti propri e degli altri, ad aprire onestamente gli oc­chi sul mondo, a vederne le storture ma anche la realtà. Bisogna ridare semplicità e serenità al luogo in cui si consuma la giovinezza dei nostri figli. E’ in questo spirito che va vista come fondamentale la missione degli insegnanti. E va sottoli­neata senza retorica la parola missione, tanto in disuso ormai nel mondo degli in­segnanti e troppo spesso invece usata a sproposito e demagogicamente nel mon­do politico. La scuola italiana guarirà naturalmente dalle sue malattie se a curarla sarà l’impegno umano e intellettuale degli insegnanti. Maestri e professori eccel­lenti ancora ne esistono: vessati, impediti nel loro lavoro dal fastidioso guazza­buglio di circolari, decreti, progetti, promesse di riforme, essi ancora rappresen­tano l’essenza vera della scuola italiana, l’equipaggio su cui può ancora contare quella nave senza bussola che è l’ordinamento scolastico italiano. La stragrande maggioranza dei cittadini italiani,

Perciò è necessaria e urgente un’ inversione di tendenza, non solo se si vuole sal­vare la scuola "reale", ma non vedere ancora una riforma della scuola rimanere al di là e al di sopra delle divisioni politiche, sa benissimo che se la scuola, in questo paese dalle istituzioni scollate, in qualche modo ha retto negli ultimi anni, lo si deve all’impegno quotidiano di una catego­ria tanto spesso umiliata e bistrattata.

Il personaggio chiave della scuola è l’insegnante. Ogni discorso, ogni progetto, ogni disegno, ogni riforma serve a ben poco senza un corpo docente adatto. Le idee camminano sulle gambe degli uomini. A dire queste cose sembra di cadere nell’ovvietà. Politici ed operatori sociali, quando si soffermano sui problemi del­la scuola, si perdono nei particolari, sfuggendo in realtà il nodo vero del proble­ma, che invece va individuato negli uomini, nelle persone che nella scuola ope­rano.

Le tante riforme suggerite, progettate o varate in questi anni, non hanno dato e non daranno alcun risultato se prima non si porrà mano a quella che è certamente la riforma base della scuola italiana: lo status degli insegnanti. La scuola italiana ha bisogno di insegnanti non improvvisati, non occasionali, non di persone che vi si siano rifugiate trovando in essa provvisoria o provvidenziale, anche se mode­sta, sistemazione per sbarcare il lunario. Insegnare deve diventare, o ridiventare, un privilegio e quindi una conquista. E’ indispensabile riconsiderare il ruolo e la condizione dell’insegnante: gli uomini a cui la società affida l’educazione e la formazione dei giovani, non possono, non debbono essere dei travet.

Ciò significa che bisogna riconsiderare il meccanismo del reclutamento degli in­segnanti, il che implica problemi culturali ed economici. Bisogna, in sostanza, ri­valutare la professionalità degli insegnanti a tutti i livelli. E’ la più necessaria e profonda riforma della scuola: il capovolgimento di quella maledetta situazione per la quale si assiste alla progressiva emarginazione della professione di docente e alla sua concezione come attività di ripiego.

La conseguenza di questo stato di cose? Da una parte, si è cresciuta una genera­zione di giovani all’insegna dell’appiattimento e della pigrizia; una generazione debole moralmente, impreparata, timorosa di affrontare la realtà della vita; una generazione che rifugge le responsabilità, i sacrifici, educata esclusivamente alla conoscenza dei diritti, ed all’ignoranza di ogni forma di dovere; dall’altra, si è scoraggiata anche la parte migliore degli insegnanti: li si è costretti ad una sorta di abdicazione dalle responsabilità, dall’impegno di educatori umiliandoli e mor­tificandoli.

Perciò è necessaria e urgente un’inversione di tendenza, non solo se si vuole salvare la scuola “reale”, ma non vedere ancora una riforma della scuola rimanere puramente "immaginaria".

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