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Commento di

su Un'opera per questi giorni: Egon Schiele, L'abbraccio (o Gli amanti)


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21 febbraio 2015 23:17

Nel campo dell’arte figurativa sono prossimo all’analfabetismo, però leggo sempre con interesse e piacere i suoi articoli sull’argomento. Dopo aver letto il suo articolo su Egon Schiele mi sono chiesto perché provo questo interesse, dal momento che trovo la sua opera sgradevole, se non repellente. Questa è l’opinione di un incompetente, di uno che riesce a cogliere la forza e la complessità espressiva di un’opera basandosi solo sulla sua sensibilità, dunque si tratta di un’opinione che vale ciò che vale e che, me ne rendo conto, limita o rende impossibile un confronto con chi possiede una grande competenza artistica.
Tuttavia, forse, sono riuscito a focalizzare il motivo del mio interesse per artisti che sento di detestare, o per i quali provo un misto di odio/amore. Come per Vincent van Gogh, con le opere del quale ho trascorso una intera giornata nel museo a lui dedicato senza riuscire a decidermi tra l’uno e l’altro sentimento.

Il ragionamento ha preso spunto dal ricordo dell’impatto che ha avuto su di me il primo incontro, quasi casuale, con Giotto agli Scrovegni. E’ avvenuto qualche anno fa nel corso di una vacanza sul Brenta.
Informandomi qua e la, tra guide e consigli di viaggio, risultò che la visita alla cappella degli Scrovegni meritava una puntata alla vicina Padova. Questo conferma la mia riprovevole ignoranza ma anche, almeno spero, la volontà di emanciparmene, anche se in modo piuttosto disordinato.

L’effetto dell’incontro con Giotto è stato qualcosa di assolutamente inaspettato: mi sono commosso fino alle lacrime, riuscivo a stento a fermare il tremito del labbro inferiore. Ero completamento istupidito, in mezzo ai turisti col naso all’aria, costretto a nascondere furtivamente ai miei l’inaspettata scossa emotiva che stavo vivendo.

Non intendo analizzare qui cosa mi aveva colpito così profondamente in Giotto, anche perché sarebbe ridicolo farlo con una persona che lo sa molto meglio di me, però voglio metterlo a confronto con ciò che mi colpisce in Egon Schiele e in altri autori moderni, e voglio farlo, per semplicità, usando un concetto che, pur stando alla Cultura come un piatto da scongelare sta alla Cucina, ha il merito di sintetizzare il punto centrale del confronto: l’artista è lo specchio della società, il testimone e l’anima della sua epoca.

Se Giotto e Schiele sono riducibili entrambi a specchio della loro epoca, a giudicare dalla profonda differenza della loro opera si dovrebbe dedurre che il primo è vissuto in un’epoca di armonia e di amore per l’umanità, libera da miseria, violenza, oscurantismo, arbitrio, e il secondo invece è vissuto in un’epoca oscura, arida, priva di speranze e di bellezza.
Ma così non è. Anzi, secondo questi indicatori il confronto tra l’una e l’altra epoca è decisamente a favore di quella di Schiele. Allora perché Schiele dipinge corpi deformati dalla violenza e dall’aridità, dall’angoscia vuota e senza speranza, dando forma a ciò che percepisce della sua epoca, mentre Giotto, in un’epoca quantomeno altrettanto dura e priva di speranza, rappresenta la bellezza di una visione del mondo e dell’umanità che va oltre ciò di cui è testimone?

Mentre Schiele conferma la sua epoca, con questo rafforzando i suoi limiti, Giotto gli oppone la sua diversa visione, scoprendo ciò che essa nasconde. E fonda il Rinascimento.

Ecco, è questo che mi irrita di artisti come Schiele: il loro voltolarsi in ciò che è, incapaci di vedere oltre. O rifiutando di farlo.


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