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Emirati Arabi: dietro la facciata patinata

Raramente chi si trova a visitare gli Emirati Arabi Uniti scopre la sgradevole realtà che si nasconde dietro la superficie patinata: lunghe condanne in carcere per mettere a tacere chi chiede riforme politiche pacifiche. Ce lo racconta un membro dello staff di Amnesty International al rientro da una recente visita nel Paese.

Potrebbe essere difficile credere che gli Emirati Arabi Uniti abbiano un lato oscuro. Dalla Grande Moschea Sheikh Zayed di Abu Dhabi all’altezza mozzafiato del Burj Khalifa, dai grattacieli scintillanti di Dubai alle acque turchesi di Jumeirah Beach, tutto sembra quasi perfetto. Ma l’audace modernità del paese e la sua bellezza senza tempo nascondono un segreto oscuro che difficilmente i milioni di turisti e investitori stranieri verranno mai a sapere. Dopo le rivolte che hanno sconvolto il Medio Oriente e il Nord Africa, la paura si è impossessata degli Emirati. Le autorità hanno imposto restrizioni ancora più forti a ciò che la gente può dire o fare. Chiunque chieda riforme politiche pacificamente rischia ora di essere marchiato come “islamista”, arrestato arbitrariamente per reati contro la sicurezza nazionale non meglio definiti, e venire emarginato.

 

Per cosa si va in prigione

Il processo di massa “UAE94” è un esempio eclatante. Il 2 luglio 2013, 69 dei 94 imputati – molti dei quali avvocati per i diritti umani, giudici, intellettuali e studenti – sono stati condannati a pene detentive tra i 7 e i 15 anni di carcere per reati contro la sicurezza nazionale. Alcuni degli imputati erano membri di al-Islah (associazione per la riforma e la guida sociale), un gruppo impegnato nel dibattito religioso e politico pacifico dal 1974, anno della sua fondazione.

Tra i condannati figura l’illustre avvocato e difensore dei diritti umani Mohammed al-Roken, del cui caso si è occupata Amnesty International. Aveva assunto la difesa di alcuni delicati casi politici contro il governo che nessun altro avvocato avrebbe accettato, secondo quanto riferito da Mohammed Saqer, uno degli otto imputati nel processo UAE94 processato in contumacia. Tra gli altri prigionieri noti ricordiamo Mohammed al-Mansoori, Sheikh Dr Sultan Kayed Alqassimi, Hussain Ali al-Najjar Al-Hammadi e Saleh Mohammed al-Dhufairi.

Amnesty ritiene che Mohammed al-Roken e molti degli altri condannati siano prigionieri di coscienza. La nostra ricerca mostra che il processo è stato iniquo e pieno di incoerenze ed errori. Altri sono stati incarcerati ai sensi di una nuova severa legge sui cyber-crimini, solamente per aver commentato il processo UAE94 su Twitter.

 

Spogliati e incappucciati

Durante una recente visita negli Emirati Arabi Uniti, i parenti dei prigionieri mi hanno raccontato storie inquietanti dei loro cari che quando lasciano la cella vengono spogliati, costretti a indossare solo un asciugamano allacciato in vita e incappucciati. Ci hanno raccontato di mariti, figli e fratelli portati in un luogo segreto di detenzione e trattenuti senza accusa per mesi e senza poter contattare un avvocato o le loro famiglie. Durante il processo di massa, molti imputati hanno raccontato al giudice di essere stati torturati e maltrattati.

Tra i maltrattamenti, sono stati segnalati casi di esposizione a luce forte per 24 ore al giorno, detenzione in celle deliberatamente sovrariscaldate, pestaggi subiti durante lunghi periodi di isolamento, privazione del sonno, peli di barba e torace strappati violentemente. Un prigioniero ha raccontato di essere stato tenuto a testa in giù per così tante ore da essersi urinato addosso. Le loro testimonianze sono state ignorate, così come le richieste di condurre indagini sulle accuse plausibili che le dichiarazioni usate come prove sarebbero state estorte sotto tortura.

 

Famiglie aggredite e messe a tacere

A Dubai ho notato che molte persone erano riluttanti a parlare del processo. Chi l’ha fatto era estremamente circospetto nell’uso delle parole. Qualcuno ci ha chiesto di non rivelare il suo nome. Temono ritorsioni solamente per aver parlato con noi. Le famiglie dei prigionieri hanno cercato ripetutamente un incontro e hanno scritto alle autorità. Ma nemmeno i media locali o i gruppi locali di difesa dei diritti umani sono interessati a quello che hanno da dire. Al contrario, i parenti si sono scontrati con una campagna orchestrata per metterli a tacere. Sono stati aggrediti, si sono visti rifiutare un posto di lavoro, congelare il conto in banca, intercettare le telefonate e controllare gli spostamenti. Almeno un amico di queste persone è stato avvicinato dai servizi segreti affinché fornisse informazioni riservate in cambio di denaro.

Quando abbiamo partecipato a una proiezione pubblica di un documentario sul processo UAE94 a cura di una nuova organizzazione chiamata International Gulf Organization (IGO, organizzazione internazionale del Golfo), nei 40 minuti del video le problematiche sui diritti umani documentate da Amnesty International non erano state toccate. Durante la sessione di dibatto che è seguita, a cui ha partecipato un pubblico filogovernativo, non abbiamo potuto fare domande sui problemi ignorati dal video. I familiari dei prigionieri non sono stati fatti entrare e, ancora una volta, sono stati messi a tacere. 

 

Emirati senza libertà

Con l’arresto di Mohammed al-Roken rimane solo un avvocato negli Emirati così coraggioso da prendere in carico i casi di sicurezza nazionale. Ora lui e il suo staff sono oggetto di intimidazioni. Mi hanno riferito che tutte le voci dissidenti negli Emirati sono state messe a tacere. Nel cuore della modernità scintillante di Dubai, temo che questa sensazione sia giusta. La comunità internazionale deve ora diventare la voce di questi prigionieri e delle loro famiglie.

 

Daniela Riva per “Segnali di Fumo – il magazine dei diritti umani

 

Fonte: Wire

Foto: Andrea (Flickr)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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