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Welcome in the Eighties: "Tutti vogliono qualcosa"

Stati Uniti, inizio anni ’80. Jake (Blake Jenner) promessa del baseball e matricola, inizia la sua carriera da studente universitario. Presto fa conoscenza con i suoi compagni di abitazione, di studi e di squadra i quali, senza remora alcuna, cercano di divertirsi al massimo negli ultimi tre giorni che precedono l’inizio ufficiale delle lezioni e degli allenamenti di baseball. Tra party sfrenati, risse da bar, bevute colossali, sfide competitive, “caccia” alle ragazze ed episodi sui generis, Jake perde la testa per Beverly (Zoey Deutch), studentessa di arti performative, cercando di conquistarla in tutti i modi.

A distanza di due anni dall’enorme successo di critica e pubblico di Boyhood (id., 2014), torna il geniale regista texano Richard Linklater (Before Sunset, A Scanner Darkly) con la sfrenata commedia Tutti vogliono qualcosa (Everybody Wants Some!!, 2016). Diversamente dal suo penultimo lavoro, l’ultima fatica di Linklater fin dalle battute iniziali, mette in scena una delle trame più classiche a cui il cinema ci ha abituato: quella del gruppo omogeneo di studenti – ognuno con le personali nevrosi e complessi intimi – che si appresta a varcare la soglia che separa l’adolescenza dall’inizio della vita adulta. Tutti vogliono qualcosa affonda le sue radici in modelli capostipite della commedia demenziale incentrata sul college come Animal House (la goliardia e il divertimento senza freni), per poi passare per i più seri Un mercoledì da leoni (il gruppo di amici con la passione in comune per qualcosa), Stand By Me – Ricordo di un’estate (l’unione del gruppo) e American Graffiti (le incognite dell’età adulta).

Se in Boyhood il regista offre allo spettatore la crescita progressiva (dalla tarda infanzia alla maggiore età) del protagonista nel reale arco temporale di dodici anni, in Tutti vogliono qualcosa gli anni antecedenti all’inizio degli studi universitari, sembrano che siano già abbandonati alle spalle, buttati nel dimenticatoio della memoria. Non a caso la sequenza di apertura del film di Linklater è l’esempio lampante di questo fondamentale passaggio di testimone, con il protagonista Jake a bordo della sua auto, lanciato a tutta velocità (con My Sharona dei The Knack a tutto volume alla radio) verso il mondo del college e quello goliardico e sfrenato delle matricole, con il suo sguardo che si posa sul brulicante macrocosmo fatto di ragazze, alcol e rock ‘n’ roll, mentre quello della macchina da presa si concentra sugli emblemi, sopra i marchi tipici (i vinili, il lettore lp presenti tra i bagagli del protagonista) di una decade ormai lontana.

Nonostante la semplicità della trama, è davvero molto riduttivo relegare Tutti vogliono qualcosa nell’ambito della classica e banale commedia che sa di già visto, poiché Richard Linklater dipinge un corale e sentito affresco di storie e personaggi con un personale background psicologico: il regista non solo porta sullo schermo l’archetipo dello studente americano medio, bensì la paura insita dentro ognuno dei personaggi satelliti che ruotano intorno al protagonista Jake. Una paura ancestrale composta dalle responsabilità – da studenti e da uomini – che si affacciano nella vita di tutti una volta terminata l’adolescenza. In questo l’opera di Linklater, nonostante la differenza di registro di genere, condivide più di un punto in comune con Boyhood, come quella voglia di crescere senza, tuttavia, prendere la vita fin troppo sul serio, vivendo il più possibile alla giornata, riuscendo così ad essere sorpresi da ogni nuova occasione o evento che l’esistenza stessa offre.

Dietro la scorza di genere, Tutti vogliono qualcosa cela il messaggio più importante ed altamente ad impatto emotivo dell’intera pellicola: quello di un tempo passato in cui la socializzazione era genuina, sentita sia a livello fisico sia spirituale, legata inevitabilmente al face to face, all’incontro in carne ed ossa con altre persone simili e non, in cui anche una dichiarazione d’amore, il corteggiamento erano davvero un’arte composta da sentimenti ed emozioni.

Tutti vogliono qualcosa guarda lontano dall’odierna epoca dei social network e dalle facce incollate ai monitor dei Pc e sui display di smartphone e tablet, in cui tutto (amicizia, amore, socievolezza) è filtrato attraverso gli avatar e le identità virtuali della società 3.0. L’ultimo film di Linklater non solo è una nostalgica dichiarazione d’amore per gli anni Ottanta e per il suo cinema generazionale poiché, Tutti vogliono qualcosa, è un chiaro memento di un periodo privo di frontiere sociali e umane che, sicuramente, non tornerà.

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