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Web: SOPA, il decreto americano di censura alla rete

SOPA sta per Stop Online Piracy Act, ovvero lo strumento legale per fermare la pirateria online. Il Congresso degli Stati Uniti sta per approvarlo, e un po’ dappertutto crescono le proteste per quella che potrebbe essere l’ennesima censura alla rete.

La SOPA, chiamata anche H.R.3261, è una proposta di legge presentata il 26 ottobre 2011 alla Camera dei rappresentanti statunitense dal deputato (repubblicano) Lamar S. Smith e da un gruppo di 31 sostenitori (anch’essi repubblicani). La legge, qualora venisse approvata nella stesura proposta, permetterebbe ai titolari di copyright di agire direttamente per impedire la diffusione di contenuti protetti. Al momento la legge è in discussione presso la commissione giustizia del Congresso degli Stati Uniti.

E’ molto contestata perché darebbe la possibilità al Dipartimento di Giustizia, ma anche ai titolari di copyright, di procedere legalmente contro i siti web accusati di diffondere o solamente facilitare le infrazioni del diritto d’autore. Inoltre, a seconda del richiedente, le sanzioni potrebbero includere il divieto agli advisor pubblicitari o ai siti di gestione dei pagamenti (ad esempio Paypal) di mantenere rapporti d’affari con il sito accusato delle infrazioni, ai motori di ricerca il divieto di mantenere attivi link che portano al sito in questione, e infine la richiesta agli ISP (Internet Service Provider, i gestori di rete) di bloccare l’accesso al sito web. A titolo esemplicativo: la legge potrebbe bloccare lo streaming di un video di cui non si possiedono i diritti d’autore, e il reato per chi lo ha pubblicato è punibile con il carcere. Ma non è finita qui. La norma potrebbe considere reato anche semplicemente linkare contenuti che violano i diritti d’autore, in quanto ne facilita la diffusione.

I contrari sono naturalmente le aziende e le società che lavorano attivamente e prevalentemente in rete; favorevoli, manco a dirlo, l’industria musicale, cinematografica e farmaceutica. I critici spingono verso la non approvazione perché la SOPA obbligherebbe i gestori dei siti e gli ISP a controllare preventivamente tutto il materiale pubblicato dagli utenti. A farne le spese, principalmente, i siti di social network come Twitter, Facebook o Youtube che si basano quasi esclusivamente sui contenuti inviati dagli utenti. Uno degli emendamenti proposti, forse per indorare la pillola agli statunitensi, vorrebbe limitare il campo di applicazione della legge ai soli siti in cui la registrazione avviene al di fuori dagli Stati Uniti. Sta di fatto, però, che i poteri legali della legge sono molto ampi. Si potrebbe persino arrivare a censurare i risultati dei motori di ricerca, o a richiedere l’intervento dell’ICANN – la società che si occupa della registrazione dei domini internet – bloccandone il Domain Name System (DNS), ovvero il sistema che trasforma i numeri in nomi dei siti web.

I favorevoli invece dicono due sole cose: la pirateria penalizza l’arte; contro la pirateria ci vogliono le misure forti. In entrambi i casi sono stati sbugiardati più e più volte, probabilmente non ne avranno ancora abbastanza. Due paroline sulla rilevanza penale della legge: la SOPA punisce fino a cinque anni di carcere tutti i reati che sanziona; chi è colpito dall’ordinanza ha massimo fino a cinque giorni di tempo per presentare ricorso, ma il blocco del sito avviene prima ancora che un eventuale processo possa stabilire le responsabilità del gestore.

Avete letto finora lo scenario possibile. Immaginatevi ora un sito di e-commerce, quelli in cui è l’utente a mettere online i prodotti, immaginate la scena: un funzionario del dipartimento di giustizia dice che il prodotto digitale dell’utente X viola il copyright della multinazionale Y (mettete voi il nome); il funzionario fa immediatamente chiudere il sito e blocca tutti i link in entrata dai motori di ricerca bloccando i DNS all’hosting che lo ospita. Immaginatevi il proprietario del sito che ha cinque giorni massimo per presentare appello, ma nel frattempo perde chissà quanti soldi di vendite non effettuate; mettete pure il caso che il processo si protragga per un bel po’ e il proprietario del sito – che non ha commesso nessun reato, a parte la sciocchezza di fidarsi di un utente registrato – viene scagionato e gli fanno riaprire l’attività tipo due mesi dopo. Ecco, in questo caso limite quanto credete possa aver perso quell’imprenditore del web che credeva di poter lavorare onestamente – senza mai arricchirsi, dato che non si chiama Steve – fino alla fine dei suoi anni? Sapete quanto conta la reputazione e l’affidabilità su Internet? Tutto!

Dal settembre 2010 all’ottobre 2011, ovvero in tredici mesi, tra Camera e Senato son state presentate ben tre leggi che vogliono, in un senso o nell’altro, bloccare i contenuti illegali su internet: a settembre 2010 la Combating Online Infringement and Counterfeits Act (COICA) era stata bloccata in Senato; nel maggio del 2011 il senatore del Vermont Patrick Leahy, democratico, ne ha presentato un’altra versione riveduta e corretta, la Protect IP Act (PIPA), bloccata per un pelo dal senatore Ron Wyden. La SOPA, a ottobre, è l’ennesima versione rivista delle due precedenti.

Tra il 14 e il 16 dicembre scorso, la proposta di Smith non ha passato il vaglio della sottocommissione che si occupa della proprietà intellettuale e di Internet, in commissione giustizia della Camera. Non l’ha passato semplicemente perché i deputati contrari hanno presentato una cinquantina di emendamenti che hanno portato il presidente della commissione a rimandarne la discussione a data da destinarsi.

I contrari alla SOPA sono molto battaglieri, e lo sono perché le più grandi aziende del settore si sono riunite in una sorta di lobby di potere per contrastare l’approvazione della legge. La lobby è diventata una coalizione, NetCoalition, in cui spiccano i nomi di Google, Facebook, Yahoo, Amazon, eBay, PayPal e Wikipedia. La coalizione ha già fatto capire che non intende soprassedere all’abuso contro la rete, ed avrebbe deciso, in caso di approvazione della legge, di mettere temporaneamente offline i propri siti in segno di protesta (ci pensate? Facebook e Google inaccessibili per diversi giorni: chissà quanto disperati in crisi d’astinenza vedremo in giro).

Fortunatamente la NetCoalition ha anche pensato di proporre, oltre che protestare: è stata presentata al Congresso una proposta di legge alternativa al SOPA chiamata OPEN, i cui maggiori sostenitori, manco a dirlo, sono Google e Facebook. I deputati favorevoli al SOPA si sono espressi negativamente giudicandola insufficiente. L’ultimo ad esprimersi contro la proposta di Smith è stato Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti e fondatore di Current, la Tv online fatta dai cittadini.

Questo è quanto sappiamo sinora, gli eventuali aggiornamenti cercheremo di non farceli mancare.

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