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Wadada Smith e Baby Sommer a Padova

12 Maggio, Padova, cinema teatro Torresino

Wadada Leo Smith & Gunter “Baby” Sommer

Wadada Leo Smith, tromba

Gunter “Baby” Sommer, batteria, percussioni

Inizialmente programmato il 25 marzo, l’incontro di due grandi maestri del free ha invece concluso con un concerto memorabile la rassegna curata da oltre 60 anni, pur se con differenti denominazioni, del centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova. In poco più di un’ora Smith e Sommer hanno stregato un pubblico non numeroso, ma attentissimo a cogliere ogni singola nota. L’inizio è veemente, con silenzi, attacchi e stop all’unisono. Limpide le sonorità della tromba e ricche quelle del drum set, che si presenta come una batteria, sostanzialmente jazz, ad eccezione di un timpano sinfonico, in sostituzione del comunemente indicato ‘large tom-tom’. Ma Sommer ha alle spalle anche dei grandi gongs, un piccolo set di campane tubolari e una grancassa sospesa, come nella consuetudine della musica classica. E’ un assemblaggio azzeccato, felice perché conferisce un maggior senso panico nei momenti misteriosi, contraddistinti da un fraseggio minimo. Smith passa da momenti intensi a tromba libera, all’adozione di sordine, a un quasi silenzio, riempito da soffi, percussività con i pistoni dello strumento, assecondato da Sommer che utilizza campanellini ed accarezza i tamburi con le mani. Una campana tubolare percossa distintamente a marcare i quarti, sembra il segnale della nebbia per le imbarcazioni costrette ad affrontare lo stesso la navigazione.

Impeccabile una lunga introduzione con le spazzole sul rullante con cordiera, che genera uno swing gustoso che non perde un grammo di dinamismo. La tromba a volte accenna a lamenti, avvolta da un continuum di gong. Simpatici due interventi di Sommer, il primo con l’armonica a bocca, quasi a spezzare la drammaticità della tromba, il secondo con uno scacciapensieri.
 
Concentratissimo, Sommer è di una puntualità e di una professionalità esemplari. Perfino quando adotta due piccole scope di saggina, al posto delle ‘brushes’ filiformi tradizionali. Guardando le bacchette, da lui ideate e marchiate, ci accorgiamo che sono singolari.
 
Uguali per lunghezza alle altre che si conoscono, si distinguono per lo spessore del fusto, che si assottiglia gradatamente dalla base alla punta, a
differenza di una bacchetta normale, che diventa omogeneamente più sottile negli ultimi 7 centimetri in prossimità della punta. La musica è totalmente libera, si capisce che esprime una sensazione interiore di quel particolare momento, diverso dal successivo. Il pubblico ne è cosciente e rimane senza fiato, ammaliato dall’energia di due maestri non certo giovanissimi – va verso i 70 Wadada, verso i 68 “Baby” Sommer- che sembrano due giovani leoni immersi in una esuberante giungla sonora. E per ultimo, una considerazione. Non è certo facile mantenere con soltanto due strumenti una tensione ed un’attenzione tali da non stancare. Smith e Sommer ci sono riusciti, grazie anche al piacere di suonare, individuale prima, collettivo poi.
 
 
Foto di Enrica Orlandi.

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