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Votare ad aprile con il Mattarellum? Improbabile, se non impossibile

Renzi ha ufficializzato la posizione del Pd favorevole al ripristino del Mattarellum (a quanto pare, con una variazione: la quota proporzionale non sarà solo del 25% ma del 50%) ed ha lasciato intendere la sua preferenza per il mese di aprile per le elezioni. Le due cose (mattarellum ed aprile) stanno insieme? Difficile, molto difficile. Vi spiego perché.

Della pretesa bontà del Mattarellum diremo nei prossimi giorni, qui ci limitiamo a parlare della praticabilità in tempi brevi della cosa.
In primo luogo, non basta dire Mattarellum, perché ci sono molti dettagli tecnici da definire anche per poter mettere insieme una maggioranza parlamentare che voti la nuova legge: quanti saranno i seggi per il proporzionale e quanti per il maggioritario uninominale? Ci sarà l’obbligo di presentarsi nell’uninominale per accedere alla quota proporzionale? Saranno ammesse coalizioni? Ci saranno clausole di sbarramento per il proporzionale ed a che livello? E per il proporzionale ci saranno listini distinti o si procederà proclamando i migliori risultati non vincenti nell’uninominale? E, nel caso di liste saranno bloccate o tornerà la preferenza? E che dimensioni avranno le circoscrizioni per il proporzionale? Ci sarà lo scorporo dei voti del vincente nell’uninominale per definire la distribuzione dei seggi proporzionali? Scorporo totale o parziale? E via di questo passo.

Si badi che ciascuna di queste scelte potenzialmente avvantaggia o svantaggia un partito piuttosto che un altro, per cui, pur nell’accordo generale per il Mattarellum (cioè un sistema misto proporzionale-maggioritario uninominale) poi ci sono una infinità di dettagli tecnici da definire su cui, salvo l’ipotesi improbabile di un accordo per una “legge fotocopia” della precedente, è prevedibile che ciascuno cercherà di ottenere la misura più favorevole a sé ( o che immagina possa esserlo).

L’ipotesi di una legge fotocopia non sembra probabile, anche perché c’erano significative differenze fra Camera e Senato e qui si vorrebbe fare norme il più possibile simili e, peraltro già la modifica annunciata di una quota a metà fra maggioritario e maggioritario introduce una modifica sensibile. Inoltre, in un contesto tripolare non riducibile, lo stesso Mattarellum di 11 anni fa darebbe risultati molto diversi e probabilmente non auspicabili per il Pd che è il proponente.

Infine, c’è un altro elemento di cui tener conto: la sentenza della Corte Costituzionale che potrebbe porre dei paletti (come già accadde per la sentenza precedente) che occorrerebbe tener presenti anche nel caso di una legge diversa dall’Italicum. Insomma, delle modifiche sul testo saranno decisamente probabili e su questo si accenderà lo scontro fra i partiti. La cosa più probabile è un accordo fra Forza Italia (che è in fase fortemente proporzionalista) ed il Pd, mentre la Lega si è detta disponibile per andare a votare subito, però una volta che si apra la discussione sui dettagli, queste dichiarazioni di convergenza corrono il rischio di squagliarsi come neve al sole. Staremo a vedere.

Per ora vediamo la scaletta dei tempi. Ovviamente la discussione non potrà iniziare prima di gennaio, ma già qui c’è un problema: prima della sentenza della Corte o dopo? Dopo potrebbe significare uno slittamento ci circa un mese dopo il 24 aprile, tenendo conto dei tempi di deposito della sentenza e delle sue motivazioni. Si può anche procedere prima, ma con il rischio di una sentenza che poi ponga limiti tali da rendere potenzialmente incostituzionale la nuova legge. Però, siccome non è la faccia quello che manca a queste forze di maggioranza, facciamo conto che partano subito infischiandosene della Corte. Dunque una bozza su cui discutere possa esser pronta già il 7 gennaio, dopo di che occorrerà una consultazione preliminare delle forze politiche sulle linee di massima, quindi la discussione in Commissione, poi il passaggio in aula e, infine, il passaggio per l’altro ramo del Parlamento. Ipotizziamo che Camera e Senato procedano in parallelo, ciascuno esaminando ciascuno il progetto di legge che lo riguarda e dopo passando all’approvazione di quello che viene dall’altro ramo. Diciamo che il tutto richieda un mesetto, ma con qualche elasticità, perché è probabile che il Senato finisca prima della Camera (che è più numerosa e con più gruppi parlamentari) quindi la legge per il Senato debba restare in attesa qualche giorno in più. Insomma, saremmo a metà febbraio. Dopo occorrerà rifare sia i collegi uninominali che le circoscrizioni per il proporzionale (anche se potrebbe esserci il solo collegio unico nazionale). Il problema delicato sino i collegi uninominali sia per ragioni tecniche che politiche.

Dal punto di vista tecnico occorre considerare che, di solito, le leggi elettorali maggioritario-uninominali prevedono questi limiti per i collegi:

a-  una forchetta fra il limite minimo di elettori ed il numero massimo, contenuta in una determinata percentuale (nella legge precedente era del 5% circa)

b-  il carattere territorialmente “continuo” dei collegi, per cui non è possibile annettere ad un collegio enclaves circondate da territori di altri collegi

c-  l’appartenenza di tutti i collegi alla rispettiva regione ed alla eventuale rispettiva circoscrizione proporzionale.
Tutto questo fa sì che spostare un comune o un quartiere da un collegio ad un altro implica, a cascata, la revisione di tutti, o quasi, i collegi della regione (ne so qualcosa avendo partecipato, all’epoca per conto di un candidato del Pds, alla proposta per i collegi uninominali della Puglia nel 1993). Ovviamente non è possibile adottare i collegi uninominali della volta del 1993 perché la popolazione è mutata e soprattutto perché, a quanto pare i collegi uninominali non saranno più472 ma 315 (se dovesse esserci una ripartizione 50 e 50).

Ma la spina maggiore è quella di carattere politico: il partito di governo, che controlla il Ministero dell’Interno, cercherà una distribuzione più favorevole a sé e più sfavorevole per gli avversari. Spesso questo si rivela un calcolo illusorio, ma in molte situazioni può effettivamente aiutare a vincere qualche seggio in più. Però occorre tener presenti le pressioni dei partiti alleati e dei singoli candidati (magari parlamentari uscenti) che vogliono un certo disegno piuttosto che un altro, perché sperano in un risultato migliore. Poi, se ci fosse un accordo sulla legge con Forza Italia o chi vi pare, l’accordo potrebbe riguardare –tacitamente: si intende- anche un certo numero di collegi da garantire all’altro. Ed alla fine l’operazione diventa la quadratura del cerchio che può comportare dall’uno ai due mesi. Ma noi siamo ottimisti e diciamo che per gli ultimi giorni di marzo sia tutto finito, dopo, però, occorre attendere i tempi della vacatio legis successivi alla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale della legge e dei relativi collegi. E siamo a metà aprile.

Ammettendo che il Presidente sciolga le Camere un secondo dopo, anche il limite minimo dei 40 giorni porterebbe le elezioni all’ultima settimana di maggio (quindi ben oltre aprile), ma i partiti dovrebbero trovare i candidati, raccogliere le firme e fare la campagna elettorale in 40m giorni, il che pare difficile, per cui, pur non usando il termine di legge massimo (75 giorni) è facile prevedere una scadenza a metà giugno.

Questo nel migliore dei casi e senza intoppi come un ostruzionismo parlamentare o un accordo “difficile” che tardino i tempi, dopo di che si prospetterebbe il voto a settembre.

Per votare nella finestra aprile-giugno c’è solo un rimedio: votare con il sistema elettorale che la Corte Costituzionale dovesse indicare e senza toccare i collegi.

Domanda: ma Renzi, Salvini, Meloni, Boschi, Gentiloni ecc. hanno una vaga idea di come si fa una legge elettorale?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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