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Vita, lavoro e lavoratori in Occidente

 

“La malattia dell’Occidente. Perché il lavoro non vale più” è un saggio molto chiaro e diretto che intreccia alcune degenerazioni economiche, politiche e sociali (www.laterza.it, ottobre 2010).

L’opera di Marco Panara è concisa, scorrevole e circostanziata. La tesi principale è molto semplice: la rendita è il peggior predatore del lavoro. Infatti “Sul totale della ricchezza prodotta ogni anno nei paesi industrializzati, la quota che va a remunerare il lavoro negli ultimi 25 anni è diminuita mediamente di 5 punti, mentre la quota che va a remunerare il capitale è cresciuta di altrettanti punti”. Inoltre “c’è stato anche un grande spostamento anche all’interno del mondo del lavoro, con l’accentuarsi del divario tra quelle élites, grandi manager, grandi professionisti, brillanti trader finanziari, e la massa. Il grosso della crescita è andato ai primi, le briciole ai secondi” (p. 5).

Purtroppo le macchine, i robot e i software hanno reso molti lavori manuali e cognitivi meno necessari, meno produttivi, meno professionalizzanti. Gli anni di esperienza valgono sempre meno e con il rapido sviluppo delle nuove tecnologie possono diventare un vero e proprio handicap. Sono i lavori ripetitivi legati alla produzione e ai servizi quelli più a rischio, mentre quelli legati ai servizi interpersonali sono quelli meno a rischio. Invece molte categorie di lavoro di tipo simbolico-analitico sono più soggette alla concorrenza internazionale dei professionisti di tutto il mondo.

Del resto la globalizzazione e la tecnologia hanno messo in competizione circa 500 milioni di lavoratori dei paesi industrializzati, ben pagati e con diritti tutelati, con più di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, pagati poco o pochissimo e privi di molti diritti (Luciano Gallino). In realtà alcuni diritti stanno scomparendo in modo più o meno diretto anche nei paesi occidentali attraverso il lavoro temporaneo, la scomparsa dei benefits e gli i livelli delle assicurazioni sanitarie sempre più scarsi: “le compagnie mantengono tutto il potere mentre tutti i rischi sono trasferiti a chi lavora” (Peter Cappelli, Wharton Scholl dell’Università della Pennsylvania).

D’altra parte gli abitanti della terra aumentano continuamente e senza controllo, la superficie terrestre rimane la stessa e i terreni agricoli diminuiscono a causa dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione e della desertificazione. La produttività agricola non aumenta più come una volta e troppo cibo viene trasformato in carburante (soprattutto mais). Di anno in anno troppi bambini crescono e diventano ragazzi e uomini che si dedicano ad attività criminali, oppure accettano di essere disoccupati o di rimandare la vita di coppia e la nascita dei figli.

Le speculazioni finanziarie sulle materie prime e sul cibo aggravano questa crisi politica, economica e demografica, approfittando della crescita continua delle persone da sfamare, istruire e movimentare. Le morti causate dai batteri e dai virus sono in forte diminuzione, l’età media si è allungata molto in quasi tutti i paesi e quindi entro pochi anni anche in Occidente ci sarà molta gente che non avrà abbastanza soldi per mangiare. Nel resto del mondo milioni bambini continuano a morire di fame perché sono nati nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e dalle persone sbagliate (senza un certo grado di istruzione alla natura dell’utero e degli spermatozoi non si comanda).

Inoltre “ogni euro di costo in più del pieno della propria auto o della bolletta del gas è un euro sottratto ad altri consumi”. Per questo motivo il risparmio energetico dovrebbe essere il primo obiettivo di un governo al passo coi tempi. Oltretutto “vale la pena di ragionare sul fatto che avere una quota di energie rinnovabili più elevata può essere conveniente anche se il costo per kilowattora prodotta è più alto, per la semplice ragione che quei soldi continuano a girare qui” in occidente, anziché essere accumulati e sperperati dai soliti principi sauditi e “soci”.

E ora apro una piccola parentesi: i misfatti nucleari del Giappone non sono assolutamente da sottovalutare. Infatti ci hanno abilmente nascosto che “il rischio di incidenti aumenta se la manutenzione non è scrupolosa” (Martin Rees, astrofisico, Cambridge University, “Il secolo finale. Perché l’umanità rischia di autodistruggersi nei prossimi cento anni”, 2004). In realtà in Giappone ci sono stati grossi errori di progettazione e installazione, in quanto bastava chiedere a un geologo, a uno storico o a un nonno, per comprendere che la cosa più idiota da fare era quella di costruire delle centrali in riva al mare, a causa degli tsunami (che possono susseguirsi facilmente per tre volte in un secolo).

Per quanto riguarda l’Italia si può dire che “si è passati da una condivisione delle rendite tra lavoro e capitale nei settori monopolistici e protetti prima della privatizzazione, ad una concentrazione (ed aumento) delle rendite solo sul capitale dopo la privatizzazione, a causa, da un lato, della minore aggressività sindacale – con le organizzazioni dei lavoratori tese più a recuperare l’inflazione che a condividere gli aumenti della produttività – e, dall’altro, al cattivo funzionamento del mercato che ha consentito di non trasferire ai consumatori la maggiore efficienza raggiunta”.

Il lavoro “low cost” italiano è in forte aumento: si può considerare una percentuale totale del 37 per cento se consideriamo il 14 per cento del lavoro part time, il 12,5 per cento del lavoro temporaneo e il 10,5 per cento del lavoro nero (con salari bassi e nessun diritto). Comunque in Italia si sono annullati gli investimenti per pagare gli interessi sul debito pubblico creato da una classe dirigente incompetente e dispotica. Gli studi di Kenneth Rogoff e di Carmen Reinhart rivelano che un debito pubblico sopra il 90 per cento del Pil rallenta la crescita dell’1 per cento.

In generale non si può dire e “pensare che sia costruttivo per lo sviluppo e la creazione di ricchezza tassare il lavoro e l’impresa più del patrimonio e della rendita”. Le ricchezze private andrebbero gestite anche in modo da incentivare quelle attività produttive che possono dare origine a quote maggiore di ricchezza per l’intera società. Se quasi tutti i guadagni derivanti dalla maggiore produttività vengono sottratti dalle tasche dei consumatori e dei lavoratori per finire “giocati” nei titoli più o meno fasulli scambiati dai capitalisti, vuol dire che il mercato è pilotato da pochi furbi.

Niente di nuovo sotto il sole del capitalismo, ma questo modello estremo non può funzionare ancora per molto: i lavoratori disoccupati o sottopagati sono tutti consumatori mancati.

Marco Panara insegna alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Orientale di Napoli e cura il supplemento “Affari & Finanza” del quotidiano “la Repubblica”.

Nota – Gli “Hedge Fund” operano con leve altissime, utilizzando principalmente il denaro preso a prestito dalle banche, la cui base monetaria reale è creata dal duro lavoro della stragrande maggioranza dei veri lavoratori. Non sarebbe ora di iniziare a regolamentare questo settore “paranormale” e anarchico che causa più danni e più vittime di tutti i terrorismi internazionali?

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