Quindi si usano due tecniche: si vendono riserve auree, trasformandole in valuta pregiata, e si comprimono le importazioni, già agonizzanti. Riguardo al primo aspetto, nel primo trimestre di quest’anno il Venezuela ha venduto oro per 1,7 miliardi di dollari. Nel 2015 Caracas aveva già smobilizzato circa un miliardo di dollari di oro, attraverso uno swap col demonio capitalista chiamato Citigroup. Quest’anno, tra debito sovrano e quasi-sovrano, quest’ultimo riconducibile alla compagnia petrolifera nazionale PDVSA, il Venezuela dovrà pagare circa 6 miliardi di dollari. Il motivo per il quale il regime ha deciso di restare solvibile ad ogni costo sul debito in valuta detenuto da non residenti è da ricercare nel fatto che il paese non vuole vedersi sequestrare impianti petroliferi ed altri investimenti effettuati all’estero (ed anche altro, pubblicamente inconfessabile), ma la situazione è chiaramente insostenibile.

Con un deficit pubblico stimato al 17% del Pil ed una monetizzazione furiosa che ha prodotto un’iperinflazione attesa quest’anno al 1.600%, il paese è ormai perso.Saccheggi e disordini sono ormai parte del paesaggio. Nel frattempo, sempre per “risparmiare” dollari, il regime punta a finire l’opera di distruzione della domanda interna e quindi a schiacciare senza pietà le importazioni. I numeri fanno spavento, non meno delle motivazioni usate dal regime. Nel 2015 le importazioni del Venezuela sono state pari a 37 miliardi di dollari. Il governo pianifica di abbatterle a 20 miliardi quest’anno, più per mancanza di valuta che per azione deliberata, dopo tutto. Ma è una contrazione equivalente ad un evento bellico, ed oltre. Ma Miguel Perez Abad, ministro di industria e commercio, giorni addietro è riuscito a dichiarare, in una intervista a Bloomberg:

«Manterremo l’attuale livello di restrizioni per forzare il settore produttivo dell’economia ad aumentare la produzione. Siamo fiduciosi di poter tagliare il valore delle importazioni a 15 miliardi di dollari»

Distruggere la domanda interna per “forzare il settore produttivo ad aumentare la produzione”, in un paese privo da tempo immemore di una propria industria manifatturiera sarebbe anche esilarante, come battuta, se non ci fosse di mezzo la vita di milioni di persone. Dopo di che, le imprese smetteranno di produrre per mancanza di importazioni, verranno sequestrate dal regime, forse qualche imprenditore diverrà il capro espiatorio ed il martire per le masse affamate e disperate. Il regime venezuelano appare sempre più simile a quello di Nicolae Ceausescu, che ridusse alla fame un intero popolo per poter ripagare il debito estero, a mezzo di distruzione della domanda interna. Verosimile che Maduro rischi la stessa fine, proseguendo su questa strada.

Interessante nemesi, per il paese che aveva deciso di lottare contro la dittatura del dollaro ammassando oro. Per non parlare del fatto che, quando si dispone di una moneta sovrana, sarebbe utile evitare di farne carta da parati o destinabile ad altre funzioni, ad esempio corporali. Ma dietro questi comportamenti assai poco rivoluzionari, che spingono a ripagare ad ogni costo il debito estero si nasconde, con ogni probabilità, il fatto che esponenti del regime hanno costituito imponenti riserve occulte su banche estere, che rischierebbero di essere bloccate in caso di insolvenza sovrana. A pensar male si fa peccato ma con questi regimi si coglie nel segno.