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Venezia: il concero di Natale nella Basilica di San Marco

Applausi per la Cappella Marciana diretta da Marco Gemmani

Si è rinnovato un doppio appuntamento molto sentito dai veneziani, il concerto di Natale nella Basilica di San Marco, organizzato dalla Fondazione Teatro La Fenice, in collaborazione con la Procuratoria di San Marco.

I solisti della Cappella Marciana, come è conosciuta la Cappella musicale della Basilica di San Marco, la più antica formazione professionistica a tutt’oggi attiva, diretti da Marco Gemmani, hanno dato vita ad un programma musicale intitolato “Natale a San Marco 1670”, composto da pagine vocali e strumentali di Giovanni Legrenzi (Clusone, Bergamo, verso il 1625 – Venezia, 21 maggio 1690), con l’intenzione di far rivivere una liturgia cantata così come si sarebbe potuta svolgere quattrocento anni fa nella cattedrale veneziana. Il programma – come ha scritto Franco Rossi, consulente scientifico del Teatro La Fenice, nel libretto del concerto – ha proposto una scelta di musiche sacre tratte da varie fonti e intercalate da quattro brani strumentali “idealmente posti il primo all’inizio della serata, un secondo intervento dopo il Gloria, un terzo che funge idealmente come toccata per l’elevazione e un quarto all’altezza del communio. E’ la ricostruzione di una possibile messa marciana, ottenuta inserendo i canonici momenti dell’ordinarium missae secondo la tradizione veneziana, quindi con il sacrificio del “Sanctus” e dell’ “Agnus Dei”. “Kyrie”, “Gloria” e “Credo” sono tratti dall’opera 9 del 1667, tutti basati sul doppio coro, quasi un coro battente di cinquecentesca memoria. Per completare il programma sono state eseguite cinque altre composizioni : i mottetti “Quid timetis pastores”, tipicamente natalizio e con funzioni di introito, e “Obstupescite caelites, a sua volta dotato di una forte valenza natalizia, tratti dall’opera 3 del 1655. Infine i due mottetti “O mirandum mysterium”, per il santissimo Natale dopo il “Credo” e “Non sussurate plus, venti tacete”, collocato prima del “Credo”, tratti dall’opera 17, pubblicata postuma (1692). La conclusione della liturgia è affidata all’antifona mariana “Alma redemptoris mater”, tratta dalle “Compiete con le Lettanie e Antifone della Beata Vergine, a 5 voci, opera 7” del 1662”.

Impeccabili, come sempre, sia il settetto dei musicisti (sei strumenti ad arco, più l’organo), sia i 15 cantanti, con una menzione speciale per l’alto Andrea Gavagnin, solista in “O mirandum mysterium” e la soprano Maria Grazia Maitzegui, solista in “Non sussurate plus, venti tacete”.

La Basilica era stracolma in entrambe le serate. Acusticamente penalizzati gli ascoltatori delle ultime file, tra i quali, purtroppo, continuano ad essere presenti i “patiti dello Smartphone”: quelli che impulsivamente lo accendono e lo spengono senza soluzione di continuità per consultare Internet ; quelli che scattano foto, che chissà se saranno mai riguardate e quale collocazione subiranno.

Giovanni Legrenzi, uno dei maggiori maestri del barocco veneziano, iniziò la propria carriera come organista nel 1654 nella cattedrale bergamasca di Santa Maria Maggiore. Tra il 1657 e il 1664 risiedette a Ferrara, dove fu maestro di cappella dell’Accademia dello Spirito Santo. Si trasferì poi a Venezia, dove dal 1672 sarà maestro di coro del più importante ospedale veneziano, l’Ospedaletto. Nel 1676 concorse invano al posto di direttore della Cappella di San Marco, poiché gli venne preferito Natale Monferrato: tuttavia grazie alla fama che si conquistò nel mondo, dovuta alle numerose opere teatrali, nel 1680 fu chiamato a succedere ad Antonio Sartorio come vicemaestro della Cappella di San Marco, dove il 23 aprile 1685, alla morte del Monferrato, fu nominato primo maestro, una carica che mantenne fino alla morte.

Nella veste di direttore della Cappella di San Marco, scrive ancora Franco Rossi “ Legrenzi si pone come il continuatore ideale della presenza marciana di Claudio Monteverdi e Francesco Cavalli : il primo a marcare la prima metà del secolo, il secondo a condizionarne la parte centrale, il terzo a chiuderne i conti, dopo aver tentato di restituire agli organici marciani quell’equilibrio e quell’ordine ripetutamente messi in discussione da assunzioni non sempre equilibrate e quindi non all’altezza dell’immagine di quell’organismo che – a detta degli stessi procuratori di San Marco – rappresentava la più bella gemma del diadema dogale”.

 

 

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