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Veloci, velocissimi, praticamente fermi

Come purtroppo noto da tempo, mentre siam qui a fantasticare su ammortizzatori sociali universali, la ricerca affannosa di fondi per rifinanziare per l’ennesima volta la cassa integrazione in deroga segna un pericoloso stallo. Ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha di fatto esplicitato che si va verso un razionamento delle risorse. Sarà interessante capire in quale direzione e con quali criteri. Sempre ieri, Poletti ha precisato i dettagli di una bizzarra proposta di “pensionamenti flessibili” per gli over 50. Perché questa pare essere la nuova piccola emergenza tra enormi emergenze legate al lavoro, oltre che un tentativo di aggirare le nuove norme della riforma Fornero.

Sulla cig in deroga le parole di Poletti, intervistato da Repubblica TV, sono inequivocabili: "Stiamo facendo le verifiche per capire la situazione di fatto, le risorse già presenti in Inps, i fabbisogni delle Regioni e le risorse disponibili” ha detto Poletti. Per il ministro occorre, infatti, “evitare operazioni che redistribuiscano risorse in direzioni dove non sono necessarie”. E ha aggiunto: “Noi stiamo facendo la connessione e l’allineamento dei dati” mentre alle Regioni “abbiamo chiesto di verificare i criteri di distribuzione".

Piuttosto chiaro ed esplicito, no? Si chiama razionamento. Ma non tutto appare chiaro: ad esempio, se la cig in deroga copre situazioni di emergenza occupazionale, di fatto occultando disoccupazione, in quali casi vi sarebbero “direzioni non necessarie”? O si rischia il posto di lavoro o si lavora. Quanto ai “criteri di distribuzione”, stesso discorso. Alla fine, esiste la probabilità che si vada verso “tagli lineari” delle erogazioni per cig in deroga; sarebbe una forma di riduzione del danno ma sempre entro un sistema che non è più gestibile “al margine”. Il tutto tacendo del fatto che questi sono fabbisogni finanziari aggiuntivi in un quadro di finanza pubblica in cui le coperture per tutta la “lista della spesa” di Renzi appaiono sempre più evanescenti (e non dite che non ve lo avevamo detto, da subito).

Interessante, ma non è un apprezzamento, è invece l’ideuzza di Poletti per le forme di pensionamento “flessibile”:

«Ci sono tante imprese che sarebbero disponibili ad anticipare una buonuscita perché hanno bisogno di ricambio. Sto lavorando a un’idea molto semplice: ti manca un anno al pensionamento? Ti do un assegno che non è la pensione fino a quando raggiungi i termini. Per questo anno la tua impresa continua a pagare i contributi previdenziali come tu fossi tornato a lavorare e l’assegno che ti ho dato un po’ me lo restituisci nei tuoi 30 anni di pensione e un po’ te lo paga lo Stato»

C’è da avere le vertigini, a commentare questa costruzione barocca. Andando con ordine: le aziende hanno “bisogno di ricambio” o solo di ridurre gli organici liberandosi di soggetti anziani ma non ancora pronti per la pensione? L’eventuale “proposta” di Poletti sarebbe quindi uno scivolo pubblico per ridurre l’occupazione o l’ennesimo disperato tentativo di “staffetta generazionale”? Difficile credere alla seconda ipotesi se l’impresa deve pagare i contributi del prepensionato e quelli dell’eventuale neoassunto. Poi, l’assegno-ponte sarebbe in parte a carico dello Stato, quindi ci sarebbero oneri e non è chiaro con quale copertura. Questo è il gemello del Poletti che sta pensando a contratti di reinserimento degli over 50. Immaginiamo non si tratti degli stessi over 50 per i quali si starebbe tentando il prepensionamento, e comunque serve il “ricambio”, quindi potremmo mettere i secondi al posto dei primi. Questa sarebbe la parte del JobsAct dove si impara ad usare le tre tavolette, immaginiamo.

Ma soprattutto, a che serve aver fatto una riforma pensionistica agganciata a parametri demografici se poi dobbiamo abbassare a forza l’età di pensionamento con un accrocchio del genere? Forse per accontentare l’ala sinistra del Pd (quella dei Damiano, ad esempio), per la quale deve sempre e comunque esserci una deroga a qualunque cosa riguardi le norme sul lavoro? Se proprio vogliamo sposare questo modello superfisso, in cui ad ogni uscita deve esserci un’entrata (e non accadrebbe comunque), tanto vale usare i coefficienti di trasformazione (cioè la demografia), ed applicare penalizzazioni sulla pensione di chi esce anzitempo.

Ad ogni buon conto, la notizia del giorno è che il Jobs Act, quello vero, cioè il contratto unico a tutele crescenti ed ammortizzatori sociali universali, Poletti lo vede spostato “entro il primo semestre 2015″. Ecco a voi, in tutto il suo perverso splendore, la realtà. Quella contro cui sta andando a sfracellarsi la futuristica velocità dichiarativa del premier.

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