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"Il Catalogo". Vedi Napoli e poi... rifletti

Chi lo ha detto che Napoli è morta? Alle volte basta un piccolo vicoletto, stretto e claustrofobico per rinascere nelle arti. Questo è quello che è accaduto alla prima de “Il Catalogo” che racconta la storia di due coniugi bramosi di avere un figlio e che, disperati, scelgono di farsi aiutare dal signor Law e il suo catalogo di bambini.




“Cominciai a sognare anche io insieme a loro, poi l’anima d’improvviso prese il volo” cantava De Andrè.


Ed è esattamente questa la sensazione che si percepisce una volta preso posto.

La regia di Angela di Maso è cupa e minimal, si sofferma sui sensi ed è concisa colpendo a fondo l’animo dello spettatore.

Adorerete il signor Law e il suo ricordare fisicamente Charles Baudelaire; questo lo rende cupo come un "beccamorto" come si suol dire a Roma... inoltre il fatto che si chiami Law, che significa "legge" in inglese, da l’impressione di avere a che fare con un avvocato, l’avvocato del diavolo. Lui ha ragione, ha sempre ragione, una ragione che sfonda l'ipocrisia umana, quella che prima ti fa storcere il naso ma che, se ti addentri un po' di più, ti fa annuire.

Adorerete alla follia la distruzione e rieducazione dei coniugi. Noi tutti siamo voyeuristi, anche voi lo sarete, rimarrete seduti li a guardare prima l'entrata in scena, poi la distruzione di due persone e poi la loro rieducazione. Alla fine, dinanzi a voi, non troverete più gli stessi che si sono presentati da Law; saranno diversi, liberi da ogni catena, persone nuove.

E poi c’è lui, il richiamo classico, quello che permette a Law di ripetere le battute iniziali (che fa molto cinema classico). Non ha fatto altro che suggerirci che Eric e Rose non erano più quelli dell'inizio ma erano persone nuove.

Persone nuove quindi un nuovo colloquio, un nuovo appuntamento. Tutto ricomincia da capo.

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