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Ute Lemper al Teatro La Fenice di Venezia

2 Agosto 2013, Ute Lemper sings Brecht and Weill

Ute Lemper, voce; Vana Gierig, pianoforte; Victor Villena, bandoneon

Non si è limitata ad eseguire esclusivamente un repertorio tratto dalla collaborazione tra Bertolt Brecht (1898-1956) e Kurt Weill (1900-1950), invitata dal regista spagnolo Alex Rigola ad aprire il 42° festival internazionale della Biennale Teatro.

Con la consueta ironia che la contraddistingue, Ute Lemper, prima di iniziare, si è detta stanca di essere identificata come interprete esclusiva del repertorio tra le due guerre dei due grandi compositori, preferendo condurre per mano il pubblico in un viaggio musicale fatto di canzoni che piacciono a lei.

Ciò che si avverte immediatamente, appena partono le prime note, è la sua capacità di vivere sul palcoscenico per un tempo indefinito con naturalezza, amando il proprio lavoro e mettendo una grande passione in tutto quello che canta. Mai tesa, è in grado di variare il timbro e il tipo di emissione sonora, dal sussurro fin quasi alla sguaiatezza.

I suoi frequenti recitativi sono di una seduzione e di una musicalità unica, mostrando doti di attrice, che rendono lo spettacolo ancora più affascinante. All’inizio, fasciata da un vestito di lamè nero brillante, impreziosito, a seconda delle canzoni, da un boa di piume rosse, l’artista parte con Die Moritat von Mackie Messer, dall’Opera da tre soldi (1928). Grazie ad un arrangiamento meno canonico del solito, ne esce un brano fresco che si collega ad altri del Kabarett berlinese e a Bilbao Song, tratta da Happy End (1929). Sorprende tutti cantando in yiddish un lied ebraico, per poi passare ad un pezzo swingante, dalle connotazioni del blues, in cui imita in maniera incredibile la voce della tromba.

Mai sentita un’improvvisazione così ben strutturata, ricca di uno scat che riproduca così fedelmente uno strumento a fiato. Vien da pensare e sperare che, ritornando alle sue frequentazioni giovanili, possa approntare un recital esclusivamente jazzistico, accompagnata dalla classica sezione ritmica piano-basso-batteria.

Conclusa la parte dedicata alla coppia Brecht/Weill, Ute propone Ich bin die fesche Lola, rendendo omaggio alla Marlene Dietrich de L’angelo azzurro, con un’appendice affidata a Surabaya Johnny, tratta ancora da Happy End. Come succede spesso, chiede il nome ad un signore in prima fila, “Luciano”, servendosene per simpatici siparietti comico/sentimentali, suscitando l’ilarità della platea.

E’ il momento di ricordare Edith Piaf e allora, in un francese ineccepibile, ecco Milord. Dopo Germania e Francia, una breve escursione argentina ricorda Astor Piazzolla attraverso una imponente Yo soy Maria, tratta dall’opera Maria de Buenos Aires. Il pubblico è conquistato. Qualunque melodia lo farebbe, a questo punto, emozionare.

E allora Ute ritorna alla Francia cantando due pezzi di Jacques Brel, Ne me quitte pas e Amsterdam, in quest’ultima alternando l’inglese al francese. E’ il momento del brano/sorpresa, che sorpresa del tutto non è, perché anche tre anni fa l’aveva eseguito nella tournee italiana di The last tango in Berlin.

Si tratta di Amarcord di Nino Rota, cantato in parte in italiano, evocando con rispetto il mondo felliniano tra illusione e fantasia. Si arriva al finale e allora Ute si distende sul pianoforte per una Medley che riparte da Mackie Messer, prosegue con un’inusuale versione di Cabaret inserita in una melodia diversa, sulla quale ancora una volta la cantante dà il via ad un’improvvisazione mozzafiato con la voce della tromba e ritorna al tema iniziale fischiettandolo lentamente, in un ad libitum che coinvolge l’intero teatro.

Applausi frenetici, urla, complimenti a gran voce, fanno ritornare la diva sul palcoscenico per una versione accorata di Avec le temps di Leo Ferrè. Ottima la scelta di presentarsi accompagnata soltanto dal fedele pianista Vana Gierig e da un nuovo, rispetto alla tournee del 2010, bandoneonista, l’essenziale Victor Villena.

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