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Usa: i “diritti” del feto portano in carcere le donne

Sono tan­te le don­ne che, nel mon­do, non han­no il pie­no di­rit­to di sce­glie­re se por­ta­re o meno una gra­vi­dan­za, per col­pa di le­gi­sla­zio­ni mol­to re­strit­ti­ve che con­si­de­ra­no l’a­bor­to il­le­ga­le. Come av­vie­ne in pae­si for­te­men­te con­di­zio­na­ti dal­la Chie­sa cat­to­li­ca o da cer­te con­fes­sio­ni cri­stia­ne, la cui dot­tri­na iden­ti­fi­ca l’in­ter­ru­zio­ne di gra­vi­dan­za al­l’o­mi­ci­dio. Non man­ca­no i casi di don­ne che per que­sto mo­ti­vo ri­schia­no la vita, come è ac­ca­du­to a “Bea­triz” a El Sal­va­dor, o che la per­do­no, come suc­ces­so a Sa­vi­ta Ha­lap­pa­na­var in Ir­lan­da.

An­che ne­gli Sta­ti Uni­ti in que­sti ul­ti­mi anni si as­si­ste a un ri­flus­so no-choi­ce, con l’ap­pro­va­zio­ne di nor­ma­ti­ve mol­to ri­gi­de che mi­na­no i di­rit­ti ri­pro­dut­ti­vi del­le don­ne. Pro­mos­se dal­le com­po­nen­ti più con­ser­va­tri­ci e in­te­gra­li­ste del cri­stia­ne­si­mo, han­no in­tro­dot­to i “di­rit­ti del feto” e pene pe­san­ti per le don­ne che at­ten­ta­no a tali “di­rit­ti”, fa­cen­do tor­na­re in­die­tro il pae­se di de­cen­ni, a pri­ma del­la sto­ri­ca sen­ten­za Roe vs Wade con cui la Cor­te Su­pre­ma ha con­sen­ti­to l’a­bor­to nel 1973.

In Min­ne­so­ta, Wi­scon­sin, Okla­ho­ma e Sou­th Da­ko­ta sono sta­te ap­pro­va­te leg­gi che con­sen­to­no alle au­to­ri­tà di ar­re­sta­re e li­mi­ta­re la li­ber­tà per­so­na­le di don­ne in­cin­te so­spet­ta­te di usa­re so­stan­ze che po­treb­be­ro dan­neg­gia­re il feto: dro­ghe, per esem­pio. Come ac­ca­du­to re­cen­te­men­te in Wi­scon­sin ad Ali­cia Bel­tran. Alla quat­tor­di­ce­si­ma set­ti­ma­na di ge­sta­zio­ne ave­va fat­to de­gli esa­mi pre­na­ta­li, ave­va chia­ri­to che l’an­no pri­ma ave­va abu­sa­to di pil­lo­le ma che ave­va smes­so: dal test del­le uri­ne in­fat­ti era emer­so che era pu­li­ta. I me­di­ci però ave­va­no in­si­sti­to che par­te­ci­pas­se a un pro­gram­ma di di­sin­tos­si­ca­zio­ne e lei si era ri­fiu­ta­ta. Ri­sul­ta­to, qual­che set­ti­ma­na dopo è sta­ta ar­re­sta­ta dal­la po­li­zia e por­ta­ta in tri­bu­na­le, dove il dot­to­re l’ha ac­cu­sa­ta di dan­neg­gia­re il feto. La don­na è sta­ta con­dan­na­ta a se­gui­re 78 gior­ni di te­ra­pia per non an­da­re in ga­le­ra. Scon­so­la­ta, vi­sto che non po­te­va per­met­ter­si un le­ga­le e c’e­ra in­ve­ce una par­te av­ver­sa che cu­ra­va gli “in­te­res­si” del feto, ha com­men­ta­to: “Non sa­pe­vo che i bam­bi­ni non nati aves­se­ro de­gli av­vo­ca­ti”.

Pro-life advocates participate in a rally to protest against abortion in Los Angeles

Se­con­do un’as­so­cia­zio­ne che se­gue tu­te­la i di­rit­ti ri­pro­dut­ti­vi, la Na­tio­nal Ad­vo­ca­tes for Pre­gnant Wo­men, ci sono cen­ti­na­ia di casi di de­ten­zio­ne mo­ti­va­ti con la tu­te­la dei “di­rit­ti” del feto, come quel­lo di Bel­tran. An­che la leg­ge del Wi­scon­sin è al va­glio di co­sti­tu­zio­na­li­tà e pro­prio quel­lo che è ac­ca­du­to alla gio­va­ne è sta­to por­ta­to come pro­va con­tro lo sta­to. Nor­me li­ber­ti­ci­de del ge­ne­re tra l’al­tro sono con­si­de­ra­te ec­ces­si­ve e inu­ti­li per com­bat­te­re l’a­bu­so di al­cool e dro­ghe an­che dai gi­ne­co­lo­gi sta­tu­ni­ten­si, che già le ave­va­no con­te­sta­te nel 2011. Anzi, sono re­pu­ta­te per­si­no con­tro­pro­du­cen­ti, per­ché lo spau­rac­chio del­l’ar­re­sto por­ta le don­ne, spe­cie quel­le meno agia­te e che han­no pro­ble­mi con cer­te so­stan­ze, a non fare con­trol­li pre­na­ta­li. Ma la pro­pa­gan­da dei grup­pi an­ti­a­bor­ti­sti igno­ra tut­to que­sto e spin­ge gli sta­ti a in­tro­dur­re mi­su­re re­pres­si­ve.

Ben­ché i non cre­den­ti stia­no or­mai emer­gen­do nu­me­ri­ca­men­te, so­prat­tut­to tra i gio­va­ni, la po­li­ti­ca è an­co­ra for­te­men­te in­fluen­za­ta dal fon­da­men­ta­li­smo. A li­vel­lo for­ma­le e in teo­ria, il si­ste­ma sta­tu­ni­ten­se non pri­vi­le­gia al­cu­na re­li­gio­ne e ga­ran­ti­sce pie­na li­ber­tà di cul­to, con l’Esta­blish­ment Clau­se, ma le po­si­zio­ni più fa­na­ti­che son mol­to vo­cian­ti. In al­cu­ni sta­ti la le­gi­sla­zio­ne di­scri­mi­na an­che gli atei nel­l’ac­ces­so alle ca­ri­che pub­bli­che.

Non c’è al­cu­na lo­gi­ca in tut­to que­sto, come non c’è, in Ita­lia, nel­la leg­ge 40 sul­la fe­con­da­zio­ne as­si­sti­ta, che in se­gui­to ai dik­tat dei ve­sco­vi ha a sua vol­ta ri­co­no­sciu­to i di­rit­ti del con­ce­pi­to. Si nota sol­tan­to la vo­lon­tà di tra­sfor­ma­re dot­tri­ne re­li­gio­se a cui fa ri­fe­ri­men­to solo una par­te del­la po­po­la­zio­ne in leg­gi re­pres­si­ve. Per for­tu­na, la nor­ma­ti­va estre­mi­sta no-choi­ce vie­ne mes­sa in cri­si quan­do si ar­ri­va in giu­di­zio, come av­ve­nu­to per quel­la del Te­xas, ap­pe­na di­chia­ra­ta in­co­sti­tu­zio­na­le. Wen­dy Da­vis, pro­ta­go­ni­sta del­la bat­ta­glia con­tro quel­la leg­ge in Se­na­to, dove ten­ne un di­scor­so di die­ci ore, è ora in liz­za per la ca­ri­ca di go­ver­na­to­re. Una le­gi­sla­zio­ne lai­ca è pos­si­bi­le, quan­do i lai­ci fan­no pe­sa­re le pro­prie con­vin­zio­ni.

 

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