Uno sbattezzo travagliato da Pistoia
Da anni l’Uaar promuove lo sbattezzo e fornisce quotidianamente assistenza a tante persone che chiedono informazioni e cercano sostegno per una scelta che, specie per i più giovani, può essere tanto liberatoria quanto difficile da affrontare. Soprattutto se la famiglia è bigotta e non vede di buon occhio certi gesti che denotano indipendenza e spirito critico e se il parroco è particolarmente riottoso. Il diritto all’apostasia, riconosciuto anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, comprende la libertà di cambiare la religione in cui si è cresciuti per scegliere ateismo, agnosticismo o una fede: per quanto sancito anche da importanti trattati internazionali non è ancora del tutto accettato.
Nell’ottica di fornire un servizio aperto a tutti e per consentire la rivendicazione di un diritto, la nostra associazione ha anche attivato da qualche tempo uno “sportello sbattezzo”. È possibile recarsi presso la nostra sede di Roma e compilare la modulistica per lo sbattezzo, che viene spedita tramite raccomandata a/r alla parrocchia interessata a spese dell’associazione. Inoltre, l’Uaar ha approntato un modulo specifico che rende esplicita la domiciliazione della richiesta di sbattezzo presso i nostri uffici di Roma, di modo che il parroco sia tenuto a rispondere all’indirizzo dell’Uaar. Ciò può essere utile nel caso l’interessato avesse dei problemi nel ricevere corrispondenza nel proprio domicilio (si pensi al caso di genitori che non condividono questa scelta). Il modulo può essere richiesto a [email protected] o contattando la sede e va poi rispedito o consegnato in originale all’associazione, che provvederà all’invio della domanda alla parrocchia e, ottenuto riscontro positivo, girerà l’incartamento allo sbattezzato: il tutto sempre a nostre spese.
Sebbene sia pratica ormai consolidata da una decina d’anni grazie ai pronunciamenti del Garante per la privacy e accettata dalla Conferenza episcopale italiana, ci sono ancora preti o vescovi che negano la rettifica dei propri dati sensibili. Qualche anno fa ci fu ad esempio un caso che coinvolse la curia di Siena, andato a buon fine grazie all’intervento dell’Uaar. Alle volte occorre sollecitare parroco e diocesi, in rari casi si può arrivare a una segnalazione o un ricorso al Garante per la privacy (tre volte nel 2013): per qualsiasi problema o richiesta di supporto, come associazione siamo sempre a disposizione.
La difficoltà dell’iter non dipende solo dalla conoscenza della parrocchia dove è avvenuto il rito (indispensabile, perché le altre non sono tenute a rispondere) o da casi particolari (per i quali invitiamo a consultare le domande frequenti). Conta molto l’attitudine del sacerdote: spesso risponde velocemente ma talvolta oppone resistenze, allunga i tempi o crea complicazioni. Una di queste è contattare i parenti dello “sbattezzando”, eventualità che crea imbarazzi e dissidi in famiglia. Va detto che la scelta dello sbattezzo è assolutamente personale e riguarda solo il parroco (in quanto responsabile dei registri battesimali) e l’interessato. Il prete quindi, poiché è trattamento dei dati personali, non può divulgare la notizia a terzi e dovrebbe attenersi a un comportamento di scrupolosa riservatezza.
Purtroppo non sempre è così. Vogliamo quindi raccontarvi una storia che riguarda una parrocchia di Pistoia, mantenendo le identità riservate. Alcuni mesi fa ci contatta una giovane residente all’estero, battezzata in questa chiesa. Vista la difficoltà nel seguire la questione da un altro paese e per agevolare la risposta, sceglie di domiciliare la richiesta presso i nostri uffici. A quel punto spediamo la prima raccomandata con ricevuta di ritorno, che però torna indietro per compiuta giacenza dopo diverse settimane. Contattiamo la curia di Pistoia via email, la cui cancelleria molto disponibile ci fa sapere che il prete che gestisce quella parrocchia risiede però in un’altra. A quel punto spediamo il sollecito a quest’ultimo recapito e quindi alla diocesi. Passa il tempo ma non otteniamo il riscontro dovuto.
Verso fine luglio l’interessata ci contatta perché, invece di rispondere a lei con la conferma della trascrizione, il parroco si è lamentato con la madre, abitante in zona e del tutto ignara della questione, dicendole tra l’altro che non intendeva spendere soldi per la busta e la raccomandata. L’ingente spesa per una raccomandata a/r è di 4,30 €, un costo che difficilmente avrebbe fatto traballare le casse parrocchiali. Motivazione francamente pretestuosa, che mostra la scarsa volontà collaborativa del religioso: non era nemmeno tenuto a inviare una raccomandata. Al di là di questo, va chiarito che divulgare la notizia dello sbattezzo a terzi è da considerarsi una violazione della privacy. Ci viene poi riferito che il prete avrebbe fatto la trascrizione ma si rifiuta di rispondere e che non importa quante lettere riceverà, perché lui “non ha paura”. Nonostante sia tenuto a fornire conferma scritta dell’avvenuta annotazione.
Alcuni parroci, specie quelli anziani o che vivono in contesti di provincia o che hanno un carattere particolarmente sanguigno, complicano le cose magari perché non conoscono bene la normativa o la procedura di sbattezzo. Può anche giocare una deformazione “professionale” che li rende più arroganti: ritenere che la legge “secolare” sia subordinata a quella religiosa di cui loro sarebbero i rappresentanti locali, investiti da Dio. In questi casi ovviamente, non bisogna perdere la pazienza e va mantenuto il dovuto rispetto che manca dalla controparte, visto che si è nel giusto e non si chiede né più né meno che il rispetto di un diritto elementare.
Decidiamo quindi di segnalare via email alla curia il comportamento poco consono del prete, chiedendo loro di intervenire perché questi dipende dalla diocesi. Attendiamo fiduciosi che arrivi la risposta dovuta. Verso Ferragosto risponde lo stesso parroco con una email in cui accusa noi di “supponenza” e di “pretese”. Conferma di aver annotato lo sbattezzo ma ribadisce che si rifiuta di inviare la raccomandata (mai pretesa). “Ho detto con molta chiarezza alla madre”, continua, “di dire alla figlia che se vuole la spedizione mi faccia avere busta e importo per la raccomandata”. Poco dopo assicura che chi lo conosce “sa bene” che “non sono né egoista né, come si dice qui da noi, ‘tirchio’”. “Solo che non sopporto chi tutto pretende!”, si sfoga, “Ma chi siete voi per pretendere che io spenda anche un euro per la vostra associazione? Dovrei collaborare con voi? Ma quando mai? Denunciatemi pure. Io farò vedere il registro al giudice.”
La tenzone ormai si è fatta tragicomica. Abbiamo un parroco che non conosce bene la procedura né le direttive della Cei. Ma insiste, sulla base di una impuntatura personale, trincerandosi nelle sue posizioni con malcelato vittimismo, magari sentendosi un eroe che resiste a un sopruso. Siamo di nuovo costretti a segnalare alla curia la risposta piccata del parroco, chiedendo la cortesia di farci avere il dovuto riscontro. Evitiamo commenti sul prete, ma ci permettiamo di ricordare in chiusura che con il suo comportamento danneggia l’immagine della diocesi, “tra l’altro il tutto per una spesa di pochi euro”.
Rispondiamo anche al parroco, facendo presente che il sollecito da prassi si invia anche alla curia e che è stata proprio la diocesi a fornirci le indicazioni. “Non siamo quindi noi a imporle di farlo, ma è proprio la conferenza dei vescovi”, spieghiamo, “Non si preoccupi, non si tratta nemmeno di collaborare con noi”. Lui ribatte polemicamente: “Avete ragione visto che voi siete ‘razionalisti’ mentre io sono solo uno sciocco ‘fideista’”. Ovviamente non ci siamo mai sognati di sostenere una cosa del genere, men che meno di scriverglielo: “Si figuri se ci mettiamo a offendere o se dividiamo il mondo in maniera così rozza e manichea”, precisiamo. Comunque pare che ormai si sia calmato e conferma l’invio di un fax al nostro ufficio: probabilmente è intervenuta la curia.
Qualche giorno dopo infatti il cancelliere vescovile ci comunica formalmente per email “di aver avuto assicurazione” dal sacerdote che questi “ha apposto l’annotazione richiesta sul Registro dei Battezzati della Parrocchia”. Lo stesso parroco ci aveva inviato addirittura la scansione dell’atto battesimale (che solitamente non viene inviato né è consultabile dall’interessato) con la tanto agognata annotazione della volontà di non far parte della Chiesa cattolica. La ragazza ha finalmente ottenuto lo sbattezzo, anche se abbiamo dovuto sudare un po’ (calura estiva a parte).
Questa è una storia che ha avuto complicazioni ma è andata a buon fine. E che può offrire spunti per tutti coloro che intendono sbattezzarsi o incontrano delle difficoltà. Ricordate che la legislazione per la tutela dei dati personali è dalla vostra parte e che il parroco per quanto scontroso non può violare la vostra riservatezza. Mantenete la calma e tenete presente che solitamente la curia è collaborativa e interviene nei confronti dei preti più litigiosi perché non ha alcun interesse ad essere multata o a vedere divulgate certe disavventure che ne incrinano l’immagine. Specie in questi tempi dominati mediaticamente dal pacioso papa Bergoglio. E ricordate che l’Uaar può darvi una mano nella difesa di un vostro diritto. Non solo questo, ovviamente.
Questo articolo è stato pubblicato qui
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox