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 Home page > Tribuna Libera > Unicredit, arriva la resa dei conti per Jean Pierre Mustier

Unicredit, arriva la resa dei conti per Jean Pierre Mustier

Oltre alla sfiducia del Consiglio di Amministrazione dietro alla fine della stagione di J. P. Mustier in UniCredit c’è una questione di feeling. Con la banca i suoi dirigenti il feeling e quasi al termine. Nei piani bassi soprattutto nei semplici lavoratori dipendenti di Unicredit è progressivamente maturata quella che non esito a definire esasperazione sia per l’uomo che per uno stile di guida. 

Come dipendente, da poco in quiescenza, non ho gradito il ritorno nella Banca, dopo un prima discussa esperienza, del Ceo francese, ma la mia opinione personale poco contava da dipendente e poco conta ora che sono fuori della Banca.

La seconda esperienza di J.P. Mustier in Unicredit non ha mai attecchito fino in fondo in una struttura già abituata ai cambi di registro, visto che in precedenza era passata dai modi decisi di Alessandro Profumo a quelli improntati all’ascolto e alla tolleranza di Federico Ghizzoni.

Una questione di sintonia e prima ancora di empatia, questa volta. che va ben oltre alla dialettica sindacale spesso improntata a toni decisamente bruschi, nel rapporto incrinato con le persone c’era qualcosa di strutturale, che risale nel tempo. E che ora sembra venuto a galla tutto insieme. Compiuto il grande risanamento di fine 2016, inizio 2017, che ha visto il manager francese portare a casa l’aumento di capitale più grande di sempre per una banca europea (13 miliardi) accompagnato da una riduzione del perimetro societario a colpi di cessioni, ha faticato a prendere forma la fase successiva, la nuova normalità fatta di gestione ordinaria, prassi, rapporti tra prime, seconde e terze linee oltre che con la clientela.

La gestione delle risorse quando top manager, gestori e bancari si attendevano che la pressione si potesse finalmente allentare è rimasta quella tipica di una fase di crisi, improntata a un monitoraggio strettissimo dei processi, a una suddivisione certosina delle responsabilità dentro a un organigramma in continuo mutamento.

Con il risultato di aver deresponsabilizzato buona parte della piramide, con le prime linee affaticate da una marcatura stretta, intimorite dalla severità di trattamento riservata a chi commetteva errori, e la base intrappolata in uno spazio di manovra vissuto come sempre più stretto. Su tutto, la difficoltà a capire e condividere da parte del popolo di UniCredit un’attenzione alla creazione di valore finanziario, quello che piace agli analisti prima ancora che agli investitori, a scapito di quello commerciale.

L’addio apparentemente morbido del banchiere francese, che ha assicurato la permanenza fino ad aprile 2021, scadenza naturale del suo mandato e di tutto il board, potrebbe lasciar credere che ci sia ossigeno per procedere con relativa tranquillità nella ricerca del nuovo manager. Invece serve fare presto. A chiederlo è il mercato, che nella sostanziale assenza di visibilità sulle prossime mosse e di un capo azienda (se non per gli affari ordinari), anche ieri ha punito il titolo con un -8%, che si aggiunge al -5% di lunedì 30 novembre. A pretenderlo è anche il buon senso: nessuno, all'interno del Cda di piazza Gae Aulenti, ora vuole lasciare la banca a lungo senza una guida e una rotta definita.

Il 59enne banchiere francese sconta una rottura progressiva delle relazioni anche con il mercato, che non ha capito quale fosse la linea dell’istituto: proporre la restituzione del capitale in eccesso ai soci anziché sviluppare la banca è parso come un abdicare al suo ruolo. Inoltre, nel board, nel quale da ottobre siede l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan come presidente designato, sarebbero state nette le divergenze sul piano di dividere in due Unicredit con la creazione di una subholding per le attività estere. Sarebbe stato questo, più che la discussione su un’eventuale mossa su Mps ben vista dal governo, uno dei motivi della rottura tra Mustier e il board. Gli occhi del mercato sono comunque puntati su Monte dei Paschi di Siena e alla dote che potrà arrivare dal governo, che Mustier avrebbe quantificato in una necessità di almeno quattro miliardi, comunque non un buon affare viste le condizioni in cui versa l’antica Banca toscana e tenuto conto del buon affare della principale concorrente italiana Banca Intesa con l’acquisizione di Ubibanca.

Foto: Wikimedia

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