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Una city finanziaria a Milano: perché non iniziamo a discuterne?

Ho già accennato alla questione del trasferimento della city finanziaria a Milano, cogliendo di sorpresa diversi lettori che si sono chiesti su cosa si fondi questa previsione.

Per la verità avevo in mente di scriverne già da metà dicembre, poi ho rinviato e nel frattempo sono usciti diversi pezzi giornalistici ed anche servizi televisivi, tra cui all’interno della trasmissione di Lily Gruber:

Allora, posso confermare non solo che Milano è, con Parigi e Francoforte, candidata a ricevere la City, ma che è in pole position come grande favorita. E questo per diverse buone ragioni.

In primo luogo per ragioni geopolitiche: Germania e Francia sono concorrenti dirette dell’Inghilterra (o di quel che ne resta), per cui un loro rafforzamento (soprattutto della Germania che già ospita la Bce proprio a Francoforte) non è visto di buon occhio dalla parte inglese della City che, come è ovvio, è maggioritaria. La Francia, poi, presente un’altra incognita (destinata, però, a sciogliersi nel giro di qualche mese): il rischio Le Pen che inquieta molto.

Il secondo ordine di ragioni è di tipo finanziario: tre anni fa, la società che gestisce la Borsa di Londra acquistò anche quella di Milano, per cui, in qualche modo, sarebbe un modo per continuare a gestire “in casa” gli affari che furono della City, a cominciare dalle transazioni in Euro che Londra poteva fare (nonostante non appartenesse all’eurozona) in grazia della sua appartenenza alla Ue e che, ora, non può più fare.

Si tenga presente che quella sola funzione rappresentava l’1% del pil inglese, per cui si capisce che l’ipotesi di regalare ad altri tutto quel ben di Dio non aggradi a chi gestisce la borsa di Londra.

In terzo luogo ci sono ragioni più pratiche: Francoforte è un paesotto di 700.000 abitanti che non ha alcuna particolare vita notturna, anzi, a dirla tutta, è di una noia bestiale, mentre i signori della City sono abituati ad una vita ben più divertente. Milano, sotto questo aspetto, offre abbastanza, anche se meno di Parigi. Però Parigi presenta un’altra difficoltà. Bisogna capire che la City a Londra godeva di una sorta di extraterritorialità, con un regime fiscale proprio, una propria giurisdizione separata da quella inglese ed una propria polizia (infatti, Scotland Yard non indagò mai sulla morte di Calvi, proprio perché il caso ricadde sotto la competenza della polizia della City). Anche la Bce gode di uno statuto simile, il che peraltro è logico, perché, essendo un organo sovranazionale, non può sottostare alla sovranità di un suo singolo componente. Stessa cosa si può dire dell’Onu, del Fmi eccetera. Il punto è che quelli sono organismi sovranazionali di diritto pubblico internazionale, mentre la City è composta da organismi finanziari privati e, in particolare per quanto attiene al fisco, la Francia sempre meno disponibile a concedere molto su questo terreno, mentre l’Italia sarebbe più comprensiva. Ecco perché Milano è la grande favorita.

Detto questo, la questione merita di essere considerata attentamente per le sue conseguenze. Certamente questo darebbe maggior peso all’Italia, favorirebbe un ruolo più internazionale di Milano e così via, ma comporterebbe anche conseguenze meno auspicabili. In primo luogo, tutte le città in cui si insedi un organismo internazionale, con molto personale ad alto livello di spesa (Bruxelles, Francoforte, Strasburgo, la stessa Londra), sono città dove la vita costa molto. E si capisce: affitti, costo degli immobili, negozi eccetera levitano verso l’alto proprio per la presenza di una fascia di famiglie ad alto reddito.

Milano è già una città costosa (forse la più costosa d’Italia) e l’arrivo di circa 10.000 famiglie ad alta capacità di spesa avrebbe sicuramente una ulteriore impennata che butterebbe fuori della città non pochi degli attuali abitanti, respingendoli verso i paesi. A meno che non ci fosse un fortissimo piano di edilizia popolare che allarghi la città, assorbendo i comuni dell’area metropolitana. Insomma o Milano si decide a diventare una vera metropoli o, in questo caso, diventerebbe in breve l’appendice, o meglio, il cortile della City finanziaria.

Se poi dovesse aggiungersi l’arrivo della Agenzia europea del Farmaco (altri 20.000 operatori a reddito medio alto), non solo quanto abbiamo detto sarebbe ancora più vero, ma questo squilibrerebbe il rapporto fra le due grandi città italiane: una Milano sempre più ricca, internazionale, in pieno decollo ed una Roma che sta affondando, dove l’unica cosa internazionale che resta è il Vaticano.

Ed anche questo metterebbe in moto dinamiche poco controllabili (ma ne riscriveremo). Insomma, forse è il caso che iniziamo a discuterne?

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