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Un potere che non interessa a nessuno

Esiste una figura che dopo quella della madre o del padre è in grado di condizionare il destino di un essere umano più di ogni altra e che tuttavia viene dall'opinione pubblica italiana e dalla nostra politica considerato alla stregua di un burocrate, destinato soltanto ad occuparsi di scartoffie ed a far funzionare gli ingranaggi della macchina statale esattamente come ogni altra parte del sistema, senza alcun riguardo per la specificità del suo ruolo. 

Questa figura prende il nome di docente. Tutti i giorni di un intero anno scolastico milioni di allievi possono pendere dalle sue labbra, da un suo giudizio positivo, da un suo voto buono o da uno cattivo, in tanti casi anche da un suo sorriso o da un semplice sguardo. Forse chi mi legge starà sorridendo e si starà domandando se anche suo figlio guarda con ammirazione a quella prof. isterica che in classe nessuno rispetta, si starà rispondendo che è impossibile se non si è dotati di un qualche carisma farsi amare dai propri allievi e il mio lettore avrebbe senz'altro ragione. Tuttavia l'esperienza mi induce a credere che esistano sì docenti poco motivati, che non hanno presa sugli studenti e che non sono in grado di trasmettere il proprio sapere, ma che il rapporto docente discente sia un rapporto mutuo ed una responsabilità, sia pure minore è sempre e comunque da ascrivere all'altra parte. Aggiungerei che la percentuale di insegnanti poco motivati è di molto inferiore a quella di quanti sentono la docenza in maniera responsabile, anche se, come ho appena scritto, l'insegnamento è un viaggio che si fa almeno in due e non esiste senza un qualche "incontro". Lo stesso mio lettore a cui poco fa facevo riferimento obiettera` che queste sono caratteristiche tipiche dell'amore, dell'amicizia e non del rapporto allievo docente e qui mi vedrei costretta a contraddirlo e a dissentire perché il rapporto tra studente ed insegnante ha anch'esso qualcosa in comune tanto con l'amore quanto con l'amicizia, benché abbia ovviamente delle specificità che non consentono di assimilarlo totalmente né all'uno né all'altra. In particolare in comune con i rapporti citati quello intercorrente tra allievo ed insegnante ha un inevitabile porsi senza sovrastrutture del primo nei confronti del secondo. Non considero ovviamente facenti parte del novero gli studenti universitari, tuttavia dalle elementari e fino a gran parte della scuola secondaria superiore, gli allievi per ragioni anagrafiche sono sguarniti di una serie di strumenti in grado di schermarli efficacemente dal mondo esterno e questo a prescindere dalla propria volontà o intelligenza. In qualche modo gli studenti sono nudi nei confronti di chi considerano autorevole e possono a lui affidarsi, attendendosi in cambio solo il bene. È in questo momento di irripetibile apertura e fiducia che un docente può guardare davvero ai giovani individui che ha di fronte e se ha intuito e coraggio può provare a scommettere, ad investire su quelle straordinarie risorse che mai più saranno mostrate ad altri nella loro completezza. Su quel docente grava una responsabilità senza confini, quella di indicare una possibile strada, consapevole di doverne accantonare decine di altre. Ma i percorsi che dovrà saper indicare non attengono a ciò che un giovane dovrà fare del proprio futuro. No, un insegnante deve consentire ad i suoi alunni di essere sé stessi, di essere cioè autentici, cosa questa che in poche altre occasioni sarà loro permessa e soprattutto richiesta. In tal modo la scuola può diventare un laboratorio prezioso, il solo ancora consentito nella nostra società, che sembra aver più bisogno di maschere che di persone. Mi viene infatti da chiedermi se siano poi così distanti i ragazzi occidentali, ingabbiati in una competitività che li obbliga a rinunciare a chi sono per aderire ai cliché da cui sono circondati, dai giovani di paesi più poveri, obbligati sin da piccoli a lavorare o a prostituirsi, ad abdicare cioè anch'essi a qualcosa di migliore. Tanto ai primi quanto i secondi viene insegnato che ciò che fanno è giusto e questo impedisce loro di porsi domande, anche solo di pensare, di immaginare e dunque desiderare una ribellione, perché quelle sono le regole della società nella quale vivono e vivere per l'individuo senza la società non è cosa praticabile e forse nemmeno possibile senza pagare un altro prezzo, quello della rinuncia all'essere animali sociali, dell'essere cioè non monadi ma relazione. Il docente è sempre un'occasione e soprattutto un medium ulteriore oltre quello familiare tra un giovane e l'ambiente in cui vive. Può fargli vedere e desiderare ciò che non conosce, può rendere appetibili valori estranei all'ambiente dal quale lo studente proviene, può cioè inserire un dubbio, una domanda nella giovane vita che ha di fronte a cui quel ragazzo dovrà trovare una risposta. È questa la ragione, banale se si vuole ma ancora l'unica, per ritenere che la scuola sia ancora la sola vera strada per emanciparsi, la sola possibilità offerta ai cittadini per creare le migliori condizioni possibili nelle quali riuscire a vivere, l'unica rivoluzione infondo ancora possibile. Rosamaria Fumarola.

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